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Pluri intervista ai protagonisti del Trittico in scena nel Teatro dell'Opera di Firenze

Trittico Polittico

servizio di Angela Bosetto e Simone Tomei

Pubblicato il 14 Novembre 2019

191114_Fi_00_Trittico_GiacomoPucciniFIRENZE - L’idea del Trittico risponde a una tripartizione che, attraverso il verismo brutale (Il tabarro) e un dramma borghese (Suor Angelica), giunge al sollievo di un’ironica tragicomicità (Gianni Schicchi). Proprio come il viaggio fra Inferno, Purgatorio e Paradiso nella Divina Commedia, ci troviamo davanti a una graduale ascesa che, dalla notte, conduce al giorno.
Bizzarra e divertente, ma altrettanto significativa, è la nascita del nome stesso di Trittico, riportato nel libro Giacomo Puccini intimo di Guido Marotti, grande amico del compositore. La cornice fu il circolo dei pittori di Torre del Lago, dove emersero le più bizzarre proposte (“triangolo”, “treppiede”, “trinità”, “tritòno”) fino a che, narra il Marotti, «qualcuno esclamò:
– Trittico!...
– Ma trittico.... – disse uno.
–.... vuol dire.... – continuò un altro.
– .... tre facce.... – aggiunse un terzo.
– .... che si spiegano.... – completò un quarto.
La discussione si accese vivacissima; fummo tutti d’accordo sull’improprietà della parola; non di meno stabilimmo, in barba alla Crusca e alla ... farina, di battezzare le tre opere: Il Trittico

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Sembra inoltre che sia stato lo stesso Marotti (sebbene tale conclusione sia piuttosto opinabile) a pronunciare questa frase: «E questo nome ormai, con buona pace dei puristi, non lo toglie più nessuno, perché i mutamenti anagrafici sono vietati dalla legge».
L’occasione di una nuova conversazione a più voci su questi tre titoli ce l’ha offerta il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, in occasione del Trittico prodotto insieme al Teatro Lirico di Cagliari e al Teatro del Giglio di Lucca. Abbiamo quindi voluto dare la parola ad alcuni dei protagonisti dell’avventura fiorentina, ascoltando le loro idee, emozioni e sensazioni circa uno dei massimi capolavori di Teatro in musica.

191114_Fi_01_Trittico_ValerioGalliSUL PODIO PUCCINIANO - Intervista al direttore Valerio Galli
Se dovessi immaginare il Trittico in forma di entità vivente, lo descriveresti come tre creature con un’anima sola oppure come tre anime che condividono un unico corpo?
Direi tre diverse anime nello stesso corpo, perché, quando Giacomo Puccini compose Il tabarro, non aveva ancora l’idea del Trittico, anzi pensava di accoppiarlo con Le Villi o La rondine. Fu solo con l’intervento di Giovacchino Forzano (librettista di Suor Angelica e Gianni Schicchi) che si giunse all’unione delle tre opere.
Quale elemento musicale lega le tre opere e qual è l’aspetto della partitura che consideri più  innovativo?
Ci sono tanti piccoli dettagli a livello armonico, ma è difficile individuare un legame vero e proprio fra i tre titoli proprio perché Puccini li ha voluti completamente diversi l’uno dall’altro. Il Trittico comincia con il dramma pucciniano più cupo in assoluto (quanto ad atmosfere tetre, Il tabarro supera persino Tosca), poi giunge il pannello lirico per eccellenza: Suor Angelica, opera, che per me, è sole, vita e bellezza, tranne che per la terribile notizia e quanto comporta. Tuttavia anche il passaggio alla morte (in Do maggiore) è sinonimo di luce. Non sono molto credente, ma la luminosità conclusiva, che riprende quella iniziale in Fa maggiore, mi spinge sempre a riflettere. E alla fine arriva Gianni Schicchi, che è una bomba di energia incredibile.
Armonicamente Puccini usa molto l’accordo di settima, che un po’ screzia la tonalità pura dell’incipit di Suor Angelica e torna nelle altre due opere. Circa l’innovazione, mi ha invece colpito il duetto fra Michele e Giorgetta nel Tabarro: è costruito su due temi che vengono ripetuti continuamente cambiando orchestrazione. Si tratta di un procedimento molto moderno e non ricordo che Puccini abbia mai lavorato in modo analogo sulla ripetizione dell’elemento musicale.
Con il debutto nel Tabarro hai completato anche il “tuo” Trittico. Secondo te, da musicista e da lucchese, in quale di questi atti unici il genio toscano di Puccini splende maggiormente?
La toscanità di Gianni Schicchi non si discute. Complice Forzano, il libretto fu uno dei pochi non toccato da Puccini, che si limitò a chiedere all’autore di inserire il terzetto delle donne (prima che Schicchi vada a letto). Sapendo quanto Puccini fosse esigente e abituato a entrare a gamba tesa nei lavori di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, il fatto che non abbia rimaneggiato in alcun modo il libretto dimostra quanto si sentisse sulla stessa lunghezza d’onda. C’è qualche concessione alla Toscana anche nel Tabarro (ad esempio il Talpa dice «Se s’andasse a mangiare?»), però credo che sia una costante un po’ in tutto il repertorio pucciniano.
Quale colore attribuiresti ad ogni titolo del Trittico e perché?
Al Tabarro associo il colore dell’acqua cupa e vorticosa, anche perché negli archi Puccini usa molto la sordina, il che conferisce all’opera un senso di inquietudine. Suor Angelica, per me, è pura luce, quindi il suo cromatismo dovrebbe collocarsi fra il bianco e il giallo, simile al raggio di sole «che batte sulla fonte e la fa d’oro». La tinta di Gianni Schicchi potrebbe essere il rosso, ma forse perché sono un po’ influenzato dall’Inferno dantesco e dalla famosa locandina di Leopoldo Metlicovitz.
Non può infine mancare un ricordo personale del tuo amico Rolando Panerai, recentemente scomparso e al quale è dedicata questa produzione.
Ho avuto il privilegio di dirigere le sue ultime recite di Gianni Schicchi, sia come interprete nel 2011, sia come regista lo scorso aprile, entrambe a Genova. Per me è stato un onore incredibile averlo potuto conoscere ed essere andato spesso a pranzo a casa sua, dove mi raccontava e insegnava innumerevoli cose, per me assai preziose. Mi parlava tantissimo di direttori, grandi cantanti e vecchie usanze teatrali. Gli ho sempre detto: “Rolando, sei il mio maestro!” Una volta mi fece una lezione sulla direzione d’orchestra che mi lasciò stupefatto. Avrebbe dovuto proporla all’interno di una masterclass perché, a volte, ho l’impressione che certi insegnamenti non si tramandino e così si perdano. Panerai, invece, mi ha trasmesso un pezzo di storia, non solo musicale, ma anche umana, dal suo incontro con Titta Ruffo a quando conobbe Ildebrando Pizzetti nel 1961, in occasione della prima assoluta de Il calzare d’argento. Per non parlare degli aneddoti divertenti, come la volta in cui il coro della Scala andò in crisi durante le prove dell’Elisir d’amore perché in sala, oltre a Carlo Maria Giulini, c’erano pure Arturo Toscanini e Victor de Sabata e ciascuno dava le proprie indicazioni. Ripeto: tutte queste memorie, anche le più piccole, per me sono oro. E, dopo la generale del Trittico, mi sono trovato a dire al cast: “Allora, ragazzi, come diceva Panerai: continuate a studiar la parte!”

191114_Fi_02_Trittico_DenisKriefUN TRIPLICE GIOIELLO - Colloquio con Denis Krief (Regia, scene, costumi e luci)
Ogni opera del Trittico è una pietra preziosa: come incastonarle in un unico gioiello?
Ciascuna delle tre opere splende per conto proprio e sono così diverse che non cerco nemmeno di trovare un rapporto tra di loro. Il tabarro si basa su un dramma francese della Belle Époque (La Houppelande di Didier Gold), Suor Angelica trae spunto da Genoveffa di Brabante di Friedrich Hebbel (figura chiave del primo romanticismo tedesco, dato che fu lui a recuperare la saga dei Nibelunghi) e Gianni Schicchi è ispirato dall’Inferno di Dante: più italiano di così… Adesso c’è la mania delle trilogie, ma in questo caso l’importante è essere leali nei confronti di Puccini (che ha composto tre opere differenti) e allestire al meglio ogni singolo titolo, che si valorizza già da solo. Sebbene usi la stessa “scatola scenica” per contenere l’intero Trittico, ho scelto di essere neutrale, optando per una scenografia che trae il proprio senso dalla regia e dalla storia che viene raccontata.
Con questi tre capolavori del Ventesimo secolo, che guardano al futuro senza saperlo, Puccini annuncia, in modo forse involontario, il destino dell’arte rappresentativa italiana dal dopoguerra in poi. Il tabarro fa pensare al Neorealismo, Gianni Schicchi anticipa la commedia all’italiana di Mario Monicelli, Dino Risi e Luigi Comencini, mentre Suor Angelica (dramma manzoniano che si ricollega alla cultura ottocentesca) ha vari punti di contatto con Europa ’51 di Roberto Rossellini.
Chiariamo però una cosa: Puccini non cerca di essere “cinematografico”, semmai saranno gli altri a utilizzare le sue intuizioni perché lui aveva già capito i trucchi su come si racconta una storia in modo avvincente. All’epoca di Puccini il cinema era muto, quindi poco interessante per un musicista. Tuttavia, i grandi maestri della recitazione (a partire da Stanislavskij) stavano già influenzando il mondo del canto e Puccini, da buon conoscitore della contemporaneità, non poteva certo ignorarlo. Che poi questo grandissimo autore sia stato ampiamente saccheggiato da cinema, teatro e arti figurative è un altro paio di maniche.
Gianni Schicchi piacque subito, mentre Il tabarro e Suor Angelica impiegarono molto più tempo per farsi apprezzare. È vera la teoria secondo cui, delle tre, Schicchi è anche l’opera più facile da mettere in scena?
Assolutamente no. Semmai è facile metterla in scena… male! In Gianni Schicchi, come nel Falstaff di Giuseppe Verdi, occorre una mano registica molto agguerrita, motivo per cui l’ho affrontato solo nell’ultima parte nella mia carriera e mai mi sarei permesso prima. Sul palco ci sono una dozzina di personaggi, bisogna costruire i rapporti fra tutti e, quando due di loro dialogano, non si possono immobilizzare gli altri. Insomma, peggio del primo atto della Rondine, che per me rimane difficilissimo.
Il tabarro appartiene a un filone drammaturgico già più conosciuto e non crea particolari problemi a livello teatrale. Basta lavorare bene con gli attori sulla corporeità e non ci sono problemi di cadere nella gigionata, al contrario di Schicchi, dove tutti gesticolano e il rischio è perenne. In Suor Angelica serve trovare la giusta semplicità e rispettare l’anomala costruzione del dramma, dato che non si può fermare la musica per il cambio scena fra chiostro e parlatorio. Spetta al regista risolvere il problema.
Questo spettacolo nasce in coproduzione con il Teatro del Giglio di Lucca e il Teatro Lirico di Cagliari. A Cagliari debutta Suor Angelica, a Lucca si aggiunge Gianni Schicchi e ora, a Firenze, il Trittico viene completato dal Tabarro. Hai concepito i tre allestimenti tutti insieme oppure è stato un lavoro di sviluppo progressivo?
Separatamentissimamente! Allestendo la tetralogia wagneriana ho capito che bisogna fare ogni titolo per ciò che è e concentrarsi esclusivamente su quello che racconta. Affrontarli in tempi separati è stata una scelta personale: non me la sentivo di gestire così tanti personaggi ex novo in contemporanea. Così, invece, ho avuto il tempo di studiare bene ciascuna opera e quindi di approfondirla in occasione della ripresa successiva. Gli eventuali punti di contatto fra le tre opere, in caso, li può valutare il pubblico. Di certo abbiamo tre cadaveri. Se mi passate la battuta, il regista è un po’ come un serial killer. Ogni volta che inizia la stagione lirica, dico: bene, quanti morti mi aspettano quest’anno? E in Gianni Schicchi Puccini (autentico serial killer, se pensiamo a tutti i personaggi che ha ammazzato) decide di salutare la morte con una risata, squisitamente toscana.
Nell’orchestrazione del Trittico, Puccini guardò a Richard Strauss e al Naturalismo francese. Questo aspetto come ha influito sulla tua regia?
Ritengo che Strauss faccia parte di una corrente artistica che appartiene più alla Germania, mentre in Italia, a inizio Novecento, erano in auge altri due straordinari movimenti da non sottovalutare: la metafisica e il futurismo. Ritroverete entrambi nella concezione scenografica del mio Trittico. Il libretto del Tabarro è assai naturalista e l’irremovibilità della Zia Principessa in Suor Angelica ci può sembrare un po’ tedesca, ma Puccini li ha interiorizzati subito e l’umanità di entrambi i drammi è tutta italiana. Gianni Schicchi, invece, spesso mi commuove proprio perché rappresenta il ricordo poetico di un’Italia autentica, nel bene e nel male. Un’Italia che forse non c’è più e questo è un altro problema...

191114_Fi_03_Trittico_AnnaMariaChiuriVOCE UNA E TRINA - La parola ad Anna Maria Chiuri (La Frugola/Zia Principessa/Zita)
Quali emozioni suscita in te essere (ancora una volta) la spina dorsale femminile del Trittico?
È una grande fortuna poter vestire più volte gli abiti di personaggi cosi diversi, che devono esprimersi completamente nel corso della stessa serata. Il mio primo Trittico è stato a Modena nel 2007, poi al Teatro alla Scala nel 2008, quindi ancora a Modena nel 2018, ora qui a Firenze e nel 2020 a Tokyo. Ogni volta è una sfida che mi diverte e mi mette alla prova. La mia parte preferita è Frugola, forse perché mi somiglia un po’ con il suo modo di sdrammatizzare l’esistenza: allegra, felice, amata e innamorata della vita. Vocalmente è la più complessa, ma, siccome non mi abbandona mai, cerco di onorarla nel miglior modo possibile. Zita è un’atleta di ritmo ed energia: altro che vecchia! Penso sempre a Tina Pica in Pane, amore e… (1955) e alla sua replica alla frase di Vittorio de Sica («Fratello… ricordati che devi morire»): «Fratello…Vatti a coricare!»
Poche parole ben assestate: anche Puccini ne aveva compreso l’efficacia.
La Zia Principessa richiede l’accettazione del peggio che può scaturire in ognuno quando la vita non gli regala nulla di cui gioire. Si muove lentamente, cammina con calma e ha uno sguardo che raggela l’anima pura di Angelica, ma, al tempo stesso, cerca nel silenzio un luogo in cui fuggire da un’esistenza senza desideri. Molti mi hanno chiesto perché non mi limito a interpretare il personaggio più “importante”, la Zia Principessa, tralasciando gli altri due, che molti considerano da comprimari. Io, però, mi diverto di più a sognare la casetta con il piccolo orticello, nel silenzio dei miei raccoglimenti, con la roba d’argento e le pezze di tela.
Un ricordo del tuo primo Trittico a fianco del grande Rolando Panerai?
Debuttai in Gianni Schicchi nei panni di Lauretta nell’autunno 1993 a Torre del Lago. Rolando Panerai era regista dell’opera, proposta in dittico con Zanetto di Pietro Mascagni, il cui allestimento era firmato da Fiorenza Cossotto. Si trattava della mia prima esperienza in palcoscenico e ricordo che fu molto divertente e istruttiva. Lavorare con Panerai mi aiutò a capire sia quanto studio e dedizione comportasse questo mestiere, sia quanto la vita di ogni giorno fosse molto più importante del palco. Il Maestro era un grandissimo didatta, ma il suo lato più interessante era quello dell’uomo che sapeva sempre gioire della musica e della quotidianità. Cosa potremmo comunicare se esistessimo solo in virtù delle luci della ribalta? La vita “normale” è ciò che noi rappresentiamo: amori contrastati, conflitti sociali, guerre, malattie e gelosie. Panerai mi ha fatto comprendere, usando le sue stesse parole, che “la vita è come un metro da sarta: 20 centimetri al palcoscenico e 80 alla vita”.
Alla Frugola è difficile non voler bene e Zita ha il vantaggio di essere personaggio comico, ma riusciresti a spezzare una lancia in favore della terribile Zia Principessa?
Frugola è adorabile: una donna che raccoglie tutto ciò che gli altri gettano via. Ridona vita e valore ad oggetti abbandonati e gode di ogni giornata, buona o cattiva che sia, perché per lei la cosa importante è avere un uomo accanto che la ama, un gatto e un sogno. Quanti di noi hanno molto meno di lei...
Zita è a capo di una famiglia sgangherata e conservatrice, che si oppone all’uomo “nuovo”, nonostante costui possa risolverne i problemi. Mi ricorda un po’ le nonne che cercavano il meglio per le loro figlie e valutavano gli eventuali partiti solo in base alla posizione sociale senza considerarne l’ingegno e le altre qualità. È divertente vestire i suoi panni, soprattutto dopo aver interpretato il ruolo della Zia Principessa.
La Zia non ha neppure un nome. Tutti lo hanno nel Trittico tranne lei: l’innominata, la carnefice, l’inesorabile. Provo una grande pena e affetto per questa vittima. Nel Tabarro Michele uccide per gelosia ma viene quasi assolto. Alla Principessa non è concesso nulla: la sorella e il cognato l’hanno obbligata a rinunciare alla propria vita, che forse sarebbe stata felice se quella sprovveduta nipote non avesse buttato tutto all’aria, macchiando il bianco stemma di famiglia. La Zia è sola e inaridita, in nome della legge e del dovere. Non ha alcun sogno e pure il nipote è morto. Come si può non avere pietà di lei?
Frugola sogna una casetta tutta sua: il sogno di Anna Maria qual è?
Continuare ad avere voce per far vivere ancora tanti bei personaggi, ma anche io vorrei una casetta «con un piccolo orticello. Quattro muri, stretta stretta, e due pini per ombrello. Il mio vecchio steso al sole, ai miei piedi Caporale, e aspettar così la morte che è rimedio d’ogni male!» Non chiedo molto no?

191114_Fi_04_Trittico_FrancoVassalloLA DOPPIA ANIMA MASCHILE DEL TABARRO - Intervista a Franco Vassallo (Michele) e ad Angelo Villari (Luigi)
Nel Tabarro, il vero protagonista è il fiume, che, oltre a costituire un’allegoria, influenza i pensieri e le azioni dei personaggi. Quale ruolo ha avuto l’ambiente in cui siete nati sulla vostra vita?
Vassallo – Vero, il fiume è il protagonista dell’opera (insieme ai due oggetti da cui Michele non si separa mai: la sua pipa e, appunto, il suo tabarro), il “leitmotiv”, il paesaggio umido che permea l’intera vicenda.
L’ambiente ha sempre un ruolo fondamentale nella nostra formazione, soprattutto nel periodo dell’infanzia e della giovinezza. Io sono nato e cresciuto a Milano, città multiforme e poliedrica che amo moltissimo, di cui però ho molto sofferto la mancanza di verde e l’aria inquinata. Mi sentivo un po’ il “ragazzo della via Gluck”.
Per questo ero felicissimo quando i miei mi portavano sul lago di Como, nella villetta che mio nonno aveva costruito in riva all’acqua, dirimpetto ad alte montagne e immersa nel verde. D’estate ci passavo settimane e, a volte, mesi interi: era il mio laboratorio di ricerca interiore, dove rinascevo a contatto con la natura, riossigenandomi nel corpo e nell’anima e sciogliendo a volo la creatività!
Villari – Sono nato e cresciuto a Messina, città marittima che credo mi abbia trasmesso due caratteristiche ben specifiche: la solarità e il carattere calmo, ma al tempo stesso irruente, proprio come il mare. Queste peculiarità si riflettono spesso anche nel mio modo di cantare.
Come descrivereste il vostro rapporto con Puccini?
Vassallo – Puccini è un gigante della lirica, l’indubbio erede di Verdi, anche se è diversissimo da lui, essendo figlio di un tempo con una sensibilità completamente differente. Quello che mi ha sempre colpito nel teatro pucciniano è la mancanza assoluta di catarsi, in Verdi ancora molto presente, anche nelle tragedie più cupe. In Puccini, invece, non vi è mai alcun rimando a dimensioni immanenti o trascendenti: la tragedia è annullamento, gorgo, abisso, fine di ogni cosa. Questo rende ancora più viscerali i suoi drammi, nonché più vicini a noi uomini contemporanei, che viviamo in un mondo dove “Dio è morto”, come già osservava  brillantemente Friedrich Nietzsche sul finire del XIX secolo. Personalmente amo molto Puccini (mi chiedo se sia possibile non amarlo!) e la sua musica travolgente, così intensa e vitale. In genere, le pagine di massima ispirazione Puccini le dedica al soprano e al tenore, ma ci sono anche ruoli baritonali meravigliosi, tra cui spicca sicuramente quello di Michele nel Tabarro.
191114_Fi_05_Trittico_AngeloVillariVillari – Credo che, proprio per i motivi sopracitati, Puccini trovi in me una certa predilezione in virtù del suo essere musicista romantico e passionale. Ho già cantato diverse sue opere e presto debutterò nella Fanciulla del West: che il Cielo me la mandi buona!
Franco, all’ultimo Festival Verdi di Parma, hai cantato per la prima volta nei panni di Miller, condannato ad assistere, impotente, alla morte dell’adorata figlia Luisa. Quanto questo debutto ha influenzato la resa del lato paterno del personaggio di Michele?
Vassallo – Per quanto Miller e Michele siano due ruoli che amo molto, non noto particolari legami tra di loro. Miller vede morire una figlia che è già una giovane donna, mentre Michele perde un bimbo neonato. L’unica cosa che li accomuna è l’impotenza di fronte all’ineluttabilità del fato, ma, mentre per Miller la persona più importante della sua vita è Luisa, per Michele lo è la moglie Giorgetta, con cui spera di ricominciare da capo, avendo altri bambini e superando così insieme la tragedia vissuta. Ma è proprio Giorgetta che, a causa del lutto, si allontana inesorabilmente dalla sua vita precedente e dallo stesso Michele, con cui recuperare un rapporto vero e profondo è ormai impossibile.
Tu invece, Angelo, sei stato Canio a settembre, sempre al Teatro del Maggio. In Pagliacci uccidevi chi ti rubava la moglie, mentre oggi subisci quella sorte…
Villari – Ho avuto la fortuna, oltre che il piacere, di debuttare a febbraio in questo teatro con una produzione di Cavalleria Rusticana andata molto bene, in cui interpretavo Turiddu, ossia l’amante ammazzato dal marito di lei. Poi, sempre al Maggio sono stato Canio dei Pagliacci, l’uomo maturo che, reso folle dalla gelosia e dal dolore, decide di vendicarsi di chi gli ha rubato la moglie. E adesso, forse per la legge del contrappasso, torno a essere il giovane amante ucciso dal coniuge tradito. Insomma, sono sinceramente confuso: è meglio tradire o essere traditi? Lascio a voi la scelta perché io non so più che fare!
Nel preparare il vostro ruolo del Tabarro, avete mai provato a mettervi nei panni del personaggio “rivale” e a riflettere su cosa fareste al suo posto?

Vassallo – Sinceramente no, ma, se dovessi essere Luigi, penso che farei esattamente quello che lui fa nell’opera, ossia tentare di vivere al meglio delle sue possibilità, salvo finire inesorabilmente stritolato dal terribile destino che incombe su di lui, come gli altri protagonisti del Tabarro, che sono tutti e tre, ognuno a suo modo, vittime e carnefici.
Villari – Se fossi stato al posto di Michele, di certo avrei preso a botte Luigi, ma non credo sarei mai arrivato a una cosa terribile come l’omicidio. Diciamo piuttosto che lo avrei sbarcato a Rouen a morir di fame e avrei ripudiato mia moglie, senza volerla più vedere. 

191114_Fi_06_Trittico_BrunoDeSimoneRITRATTO DI FOLLETTO FIORENTINO - La parola a Bruno de Simone (Gianni Schicchi)
Come artista, hai fatto del “baritono buffo” la tua cifra stilistica per eccellenza, eppure hai saputo calarti in modo altrettanto efficace anche in ruoli drammatici. Fra questi due ambiti, dove collochi la figura di Gianni Schicchi?
Schicchi è un personaggio che sta a cavallo tra il serio ed il grottesco. Mi spiego meglio: è chiaro che, quando il vero protagonista di un’opera è un morto (Buoso Donati), non c’è molto da scherzare, ma anche che il carattere parzialmente cinico del personaggio può ammantarsi di comicità. Da quando Schicchi fa il suo ingresso, la musica si fa sinistra, sprezzante descrivendo un animo sì “beffeggiatore” (come lo definisce Rinuccio), ma che, al contempo, è quello di un uomo che, pur venendo dal contado, è alquanto acculturato, anzi è un po’ di tutto: leguleio, attore, politico… Il testo straordinario che gli affida Forzano nulla ha che vedere con il buffo (anzi!), né vi è alcuna indicazione in tal senso. È un ruolo per baritono semiserio, che deve aver frequentato la commedia dell’arte (il genere da cui origina questo capolavoro) ed essere un maestro della parola scenica tanto evocata da Verdi ed esaltata dal genio di Puccini. Anche la tessitura vocale esige una vocalità piena, policroma e di grande estensione.
Il tuo Maestro Sesto Bruscantini non solo ha interpretato più volte Gianni Schicchi, ma lo ha fatto proprio sotto la guida del librettista Giovacchino Forzano. Ce ne vuoi parlare?
Ebbi il privilegio di studiare con il Maestro (così amo tuttora chiamarlo) e di cose me ne raccontò tante: alcune le ho persino trascritte sullo spartito. Di Forzano mi diceva che era un gran letterato e molto pignolo. In particolare non voleva assolutamente alcuna inflessione toscana o fiorentina, ma esigeva che, per interpretare Gianni Schicchi, ci si attenesse a un canto equilibrato, scevro di cachinni o effetti sonori che si sovrapponessero a tutto ciò che era indicato preziosamente in didascalia. Questo per ribadire il fatto che il personaggio stesso “ci tiene” ad avere anche un eloquio corretto e privo di cadenza o particolari inflessioni dialettali che rischierebbero di annebbiarne la proprietà lessicale ed espositiva. Sull’Addio, Firenze… il Maestro mi suggerì ciò che gli aveva detto Forzano e cioè di attaccare con un suono da “emigrante”, quasi fisso. L’esigenza di far comprendere ogni sillaba del felice libretto è uno degli obiettivi più importanti da raggiungere in ogni esecuzione, soprattutto nella parte in falsetto, dove Schicchi è Buoso Donati e si sollecita molto a contraffare la voce (da indicazione didascalica), proprio come in una farsa dove il travestimento è di casa.
Panerai fu un altro storico Schicchi. Che ricordo hai del celebre baritono fiorentino e quali differenze o affinità con lui riscontri nel tuo approccio al personaggio?
Ho avuto la felice occasione di cantare Schicchi sotto la guida del compianto Rolando Panerai in un allestimento di cui curava la regia: un ricordo bellissimo del grande cantante, che era come ossessionato dal far rispettare appieno il dettato di Puccini e di Forzano. E, naturalmente, la presenza della Firenze duecentesca era la “conditio sine qua non” in cui tutto ciò poteva essere coerentemente realizzato.
Considero Panerai uno dei più grandi Schicchi di sempre, insieme a Giuseppe Taddei e a Renato Capecchi, pure se si tratta di interpreti molto differenti fra loro. Capecchi è stato il più istrionico e ridanciano: una vera e propria maschera con un notevole peso vocale. Taddei era il più “à plomb” con la sua magnifica pasta vocale, ma non per questo risultava meno divertente. Panerai era il più toscano di tutti ed anche il più serioso anche grazie al suo considerevole spessore timbrico.
Il mio Schicchi “risente” certo della lunga frequentazione dell’opera settecentesca, che mi permette di valorizzare in ogni passo il testo (la “parola scenica” di cui sopra), ma, sin dalla prima volta che l’ho eseguito, ho sempre cercato di cogliere la lezione di questi grandi maestri per farne una sintesi, filtrandola attraverso la mia sensibilità. Se proprio dovessi indicare a chi mi sento più vicino, direi Taddei perché, a mio parere, è quello che ha meglio centrato l’equilibrio, molto delicato, tra il serio ed il comico, già analizzato nella prima domanda.
Quanto di Bruno c’è in Schicchi e quando di Schicchi alberga in Bruno?
Credo che in Schicchi ci sia molto di me. Parlo di me come artista: non penso di essere un truffatore, ma la “recitazione della recitazione” è una cosa che appartiene al mio bagaglio artistico. Entrare e uscire da un personaggio all’altro è tra le più alte gratificazioni cui un artista possa ambire. Schicchi richiede un triplo controllo della personalità, che deve per forza sdoppiarsi ed esprimersi in misura diversa: è il primattore che, indossati i panni di un personaggio, deve poi dismetterli per indossarne altri… sommo giubilo!
Anche io penso di avere una parte di Schicchi. In fondo, nonostante Dante lo collochi nell’Inferno (sappiamo il perché), il personaggio agisce per una giusta causa: far sì che almeno l’amore trionfi e rompa le barriere sociali imposte ai due innamorati dalle differenze di classe. E io, nonostante gli obiettivi limiti, sono sempre propenso alla difesa dei più deboli, in particolare dei giovani che devono essere aiutati a scrivere le basi del loro futuro. Questo dovrebbe essere il primo compito di noi adulti: continuare sì la specie, ma garantirle anche la qualità migliore sotto ogni prospettiva.

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Nella speranza di avervi regalato una lettura piacevole, nonché delle nuove chiavi per approfondire l’ascolto e la fruizione del Trittico pucciniano, ringraziamo gli artisti per la disponibilità accordataci, augurando loro buon lavoro per tutte le quattro recite e buona fortuna per i loro futuri impegni.

Crediti fotografici: Ufficio stampa del Maggio Musicale Fiorentino - Teatro dell'Opera di Firenze
Nella miniatura in alto: Giacomo Puccini






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Nabucco fra Oren e Del Monaco
servizio di Rossana Poletti FREE

20240324_Ts_00_Nabucco_GiancarloDelMonacoTRIESTE - Teatro Lirico “Giuseppe Verdi”. L’avventura del Nabucco in scena in questi giorni al Teatro Verdi di Trieste comincia con una conferenza stampa, nella quale Daniel Oren, maestro concertatore e direttore, ha espresso che questo terzo titolo di Giuseppe Verdi, suo primo grande successo, è molto importante per il popolo ebraico, «... per
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Opera dal Nord-Est
Nel Campielo xe bel quel che piase
servizio di Athos Tromboni FREE

20240318_Vr_00_IlCampiello_FrancescoOmassini_phEnneviVERONA - Fu così che per la prima volta in assoluto Il Campiello di Ermanno Wolf-Ferrari andò in scena nel Teatro Filarmonico di Verona. E fu così che alla "prima" venne accolto da un pubblico numeroso con molti minuti di applausi a fine recita e con vere ovazioni per alcuni protagonisti di quella commedia musicale. Chissà se le cronache del futuro, parlando del
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Opera dal Centro-Nord
Un Trovatore quasi disastro
servizio di Simone Tomei FREE

20240317_Lu_00_IlTrovatore_MatteoDesole_phAugustoBizziLUCCA – Il trovatore di Giuseppe Verdi chiude la stagione lirica 2023/2024 del Teatro del Giglio di Lucca. Si tratta di una coproduzione che vede come attori - oltre l’Istituzione lucchese - la Fondazione Teatri di Piacenza, la Fondazione Teatro Comunale di Modena, la Fondazione Teatro Goldoni di Livorno il Teatro dell’Opera Giocosa di Savona.
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Eventi
Vi presentiamo La Bohčme
servizio di Angela Bosetto FREE

20240316_Vr_00_LaBoheme_2024VERONA – Dopo tredici anni di assenza è ufficialmente partito il conto alla rovescia: la prossima estate La Bohème di Giacomo Puccini tornerà in Arena durante il 101° Festival lirico; il capolavoro di Puccini verrà rappresentato il 19 e il 27 luglio 2024 con la direzione di Daniel Oren.
Trattandosi di una nuova produzione di Fondazione Arena
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Opera dal Nord-Ovest
Idomeneo da manuale
servizio di Simone Tomei FREE

20240227_Ge_00_Idomeneo_AntonioPoliGenova – L’ Idomeneo di Wolfgang Amadeus Mozart è un capolavoro che incanta con la sua profonda drammaticità e la sua sublime bellezza musicale. La trama, ambientata nell'antica Grecia, ruota attorno al re Idomeneo, il quale, dopo essere stato salvato da un naufragio grazie all’aiuto divino, si trova costretto a sacrificare suo figlio
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Eventi
Il 35° nel segno della solidarietā
servizio di Athos Tromboni FREE

20240225_Ra_00_RavennaFestival2024_LogoRAVENNA - il Teatro Alighieri era gremito di pubblico, giornalisti, operatori video e radio per la presentazione della 35.ma edizione di Ravenna Festival 2024, che si svolgerà dall’11 maggio al 9 luglio e farà registrare oltre 100 alzate di sipario; gli artisti coinvolti sono più di mille, dai grandi nomi della musica classica e del canto lirico, fino ad alcuni "menestrelli"
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Opera dall Estero
Grande Das Rheingold in piccolo spazio
servizio di Ramón Jacques FREE

20240222_00_LosAngeles_DasRheingold _GustavoDudamelLOS ANGELES (USA) - La sala concerti Walt Disney Hall, sede dell’orchestra Los Angeles Philharmonic, è situata nel cuore della città e ha festeggiato nel 2023 i suoi vent'anni (è stata inaugurata il 23 ottobre 2003). E’ stata progettata e realizzata con la supervisione dal famoso architetto e designer canadese-americano Frank Gehry (1929)
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Opera dal Centro-Nord
Ecco la Butterfly del fiasco
servizio di Simone Tomei FREE

20240219_Lu_00_MadamaButterfly_AlessandroDAgostiniLUCCA – Al Teatro del Giglio approda con grande apprezzamento del pubblico la versione bresciana di Madama Butterfly di Giacomo Puccini (datata 28 maggio 1904) dopo che il clamoroso fiasco del Teatro alla Scala di qualche mese prima, indusse il compositore a rimettere le mani sulla partitura. La scelta dell’adattamento bresciano per il Teatro del
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Opera dal Nord-Est
Arianna tra il buffo e il commovente
servizio di Rossana Poletti FREE

20240218_Ts_00_AriannaANasso_SimoneSchneider_phFabioParenzanTRIESTE - Teatro Lirico “Giuseppe Verdi”.  Ci è voluto Richard Strauss e la sua Arianna a Nasso per far comprendere quanto poco interessasse a certi ricchi la realizzazione di uno spettacolo, quanto poco comprendessero le dinamiche che stanno attorno e dentro la preparazione di un lavoro teatrale.
«Pago e voglio quello che
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Personaggi
Incontro con Lorenzo Cutųli
servizio di Edoardo Farina FREE

20240215_Fe_00_LorenzoCutuliFERRARA - Il 100° anniversario dalla morte di Giacomo Puccini rappresenta un’occasione per commemorare e ripercorrere la vita e la carriera di uno dei più grandi musicisti italiani.  Le sue Opere, ancora oggi, continuano a essere rappresentate sui palcoscenici più prestigiosi del mondo, celebrando lo straordinario valore artistico delle composizioni
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Opera dal Nord-Est
Il Barbiere eccellente
servizio di Nicola Barsanti FREE

20240209_Ve_00_IlBarbiereDiSiviglia_BepiMorassiVENEZIA - Se pensiamo al fascino di un teatro risorto per più di una volta dalle proprie ceneri, e vi aggiungiamo la suggestione di esservi dentro nel vivo del carnevale della “Serenissima” non può venire in mente un gioiello della produzione rossiniana: Il barbiere di Siviglia. Ed è proprio a quest’opera che abbiamo assistito, la seconda in cartellone
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Opera dal Centro-Nord
Manon Lescaut e il gesto della Lyniv
servizio di Nicola Barsanti FREE

20240202_Bo_00_ManonLescaut_OksanaLynivBOLOGNA - Il Teatro Comunale Nouveau inaugura la propria stagione operistica 2024 con il primo vero e proprio gioiello della produzione pucciniana: Manon Lescaut. Ottima scelta per onorare il centenario della morte del compositore lucchese, avvenuta il 29 novembre del 1924 a Bruxelles.  La Manon Lescaut rappresenta per la carriera
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Echi dal Territorio
Bologna Festival numero 43
redatto da Athos Tromboni FREE

20240201_Bo_00_BolognaFestival_TeodorCurrentzis_phAlexandraMuravyevaBOLOGNA - La 43.esima edizione di Bologna Festival 2024, da marzo a novembre, presenta alcuni dei più interessanti direttori dell’odierna scena musicale quali Teodor Currentzis, per la prima volta a Bologna con la sua orchestra musicAeterna, Vladimir Jurowski con la Bayerisches Staatsorchester e Paavo Järvi con la Die Deutsche
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Jazz Pop Rock Etno
Jazz e altro allo Spirito
redatto da Athos Tromboni FREE

20240129_Fe_00_IlGruppoDei10_TutteLeDirezioni_FrancoFasano.JPGFERRARA - Varato il calendario dei concerti "Tutte le Direzioni in Winter&Springtime 2024", organizzata da Il Gruppo dei 10 con qualche novità e collaborazione in più rispetto ai precedenti. La location è (quasi sempre) la stessa: il ristorante lo Spirito di Vigarano Mainarda (Ferrara), nell’intimo tepore delle sue suggestive sale, immerso nella
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Opera dal Centro-Nord
La bohčme visual della Muti
servizio di Athos Tromboni FREE

20240127_Fe_00_LaBoheme_ElisaVerzier_phFabrizioZaniFERRARA - Suggestivo l'allestimento di La bohème di Giacomo Puccini curato da Cristina Mazzavillani Muti per il Teatro Alighieri di Ravenna, approdato ieri sera al Comunale "Claudio Abbado" di Ferrara. Pubblico della grandi occasioni ("sold-out" si dice oggi, con un inglesismo ormai sostitutivo di "tutto esaurito" d'italiana fattura); pubblico
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Opera dal Nord-Ovest
Don Pasquale allestimento storico
servizio di Nicola Barsanti FREE

20240127_To_00_DonPasquale_NicolaAlaimo_phAndreaMacchiaTORINO - Il titolo designato per l’inaugurazione del cartellone d’opera 2024 del Teatro Regio di Torino è il Don Pasquale di Gaetano Donizetti. Qui riproposto nel fortunato allestimento della fine degli anni '90 del Novecento, firmato da uno dei maestri della drammaturgia musicale italiana: il regista, scrittore e giornalista Ugo Gregoretti, la cui regia
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Jazz Pop Rock Etno
Jazz Club Ferrara 45 concerti
redatto da Athos Tromboni FREE

20240124_Fe_00_JazzClub_GennaioMaggio2024FERRARA - Dal 26 gennaio 2024, prende il via al Torrione San Giovanni la seconda parte della 25.ma stagione di Ferrara in Jazz. Grandi nomi del jazz internazionale e largo spazio ai giovani, per complessivi 45 concerti accompagnati da eventi culturali collaterali, realizzati con il contributo del Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna, Comune
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Opera dal Nord-Est
Bolena e Seymur destino congiunto
servizio di Rossana Poletti FREE

20240123_Ts_00_AnnaBolena_SalomeJicia_phFabioParenzanTRIESTE – Teatro Verdi. Nell’ Anna Bolena di Gaetano Donizetti, in scena al Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, primeggia la qualità del cast. Un gruppo di cantanti straordinari, che contribuiscono in modo determinante al buon esito della rappresentazione. Se si eccettua qualche piccola quasi impercettibile incertezza nel primo atto la prova
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Opera dal Nord-Ovest
Haroutounian una Butterfly di riferimento
servizio di Simone Tomei FREE

20240121_Ge_00_MadamaButterfly_phMarcelloOrselliGENOVA – Prosegue con successo la stagione del Teatro Carlo Felice grazie ad una bellissima produzione dell’opera “nipponica” di Giacomo Pucccini, Madama Butterfly. Il contesto scenico-registico firmato da Alvis Hermanis si sviluppa in uno spettacolo sostanzialmente classico e iconografico dove l’immagine stereotipata del Giappone
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Opera dal Centro-Nord
Un Trovatore cosė cosė
servizio di Nicola Barsanti FREE

20240121_Li_00_IlTrovatore_MatteoDesole_phAugustoBizziLIVORNO - Torna a distanza di 50 anni di assenza al Teatro Goldoni e 27 anni dopo la sua ultima apparizione nella città di Livorno (ma fu al Teatro La Gran Guardia) Il trovatore, uno dei titoli più amati di Giuseppe Verdi. Un ritorno tanto atteso che non convince, pertanto inferiore alle aspettative. Gli anelli deboli di questa produzione riguardano
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Opera dal Centro-Nord
Barbiere di Siviglia stratosferico
servizio di Nicola Barsanti FREE

20240120_Pr_00_IlBarbiereDiSiviglia_DiegoCeretta_RobertoRicciPARMA - Il Teatro Regio di Parma inaugura il cartellone d’opera del 2024 con il fiore all’occhiello di Gioacchino Rossini: Il Barbiere di Siviglia. Com’è noto ai più, nel 1782 Giovanni Paisiello scrisse un’opera dallo stesso titolo e con lo stesso soggetto, da qui la decisione del maestro di Pesaro di intitolare la sua nuova composizione (almeno in un primo
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Opera dal Centro-Nord
Un Barbiere un po' cosė...
servizio di Simone Tomei FREE

20240113_Lu_00_IlBarbiereDiSiviglia_GurgenBaveyan_PhotoKiwiLUCCA - Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini si veste di attualità, attraverso una lettura piuttosto singolare, ma non del tutto dissonante dalle intenzioni musicali e librettistiche, nell’allestimento andato in scena al Teatro del Giglio di Lucca con la firma registica di Luigi De Angelis che ha curato anche scene e luci. In un condominio stile Le Courboisier
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Opera dal Nord-Est
La Bohčme dei ponteggi
servizio di Athos Tromboni FREE

20240113_Ro_00_LaBoheme_FrancescoRosa_phValentinaZanagaROVIGO - Una Bohème senza lode e senza infamia. Così potrebbe definirsi l'allestimento dell'opera di Giacomo Puccini andata in scena al Teatro Sociale. Si tratta di una coproduzione del teatro di Rovigo con il Comune di Padova e il teatro "Mario Del Monaco" di Treviso. Una produzione tutta veneta, considerando la bacchetta affidata a Francesco Rosa
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