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Chiusa la stagione concertistica di Ferrara Musica con un quartetto d'archi pių pianoforte

Progetto Lauter 2019

servizio di Edoardo Farina

Pubblicato il 15 Maggio 2019

190515_Fe_00_ProgettoLauter_Nicola BruzzoFERRARA - Ultimo appuntamento della Stagione Concertistica 2018-19 di “Ferrara Musica” sotto la gestione del Teatro Comunale “Claudio Abbado” dopo la precedente collaborazione invernale con Ferrara Arte in occasione della mostra Courbet e la Natura, il 13 maggio 2019 è tornato il “Progetto Lauter” nel  secondo e suggestivo appuntamento cameristico proponendosi un tema lineare con il repertorio tardo–romantico francese. Boldini e la moda in mostra al Palazzo dei Diamanti ne ha ispirato l’interessante scelta artistica trattandosi prevalentemente di un omaggio al pittore Giovanni Boldini nato nella città estense nel 1842, considerato uno degli interpreti più sensibili e fantasiosi dell'elettrizzante fascino della Belle Époque vissuta a Parigi dove, giungendovi da Firenze nel 1871 dimorò morendo nel 1931. Lodevole iniziativa internazionale ideata e diretta da Nicola Bruzzo, classe 1989, talentuoso violinista ferrarese dalla carriera internazionale e artefice di un’idea inserita fin dal suo esordio, si è preposto nuovamente il difficile intento di avvicinare i ragazzi delle scuole superiori alla storia della musica grazie a una formula semplice quanto efficace: coinvolgerli attivamente nell’organizzazione, creandoli consapevoli e partecipi, stimolando tra di essi curiosità e attenzione nei confronti di un mondo considerato a loro spesso molto distante. Dal nome che propriamente non rimanda alla tipologia musicale assai introspettiva della serata, “Lauter” in tedesco significa “più forte”, espressione che intende descrivere l’intenzione di renderne un genere spesso desueto vicino ai giovani, gestito da un gruppo di artisti, giuristi, esperti di comunicazione e musicologi provenienti da tutto il mondo. “Crediamo che la classica sia una delle radici culturali dell’Europa moderna: essa fa parte della nostra identità al pari del patrimonio artistico e architettonico.  Fondamentale è riaccenderne l’interesse e l’amore attivando un dialogo su tre diversi livelli: Musicale, Culturale e Sociale in grado di costituire la nostra proposta. Pensiamo alle circostanze preposte come cantieri aperti, in cui la collaborazione e il contributo di tutti sono fondamentali - sostiene Bruzzo - sviluppando direzioni diverse ma mantenendo alcuni tratti caratteristici che costituiscono l’anima del progetto creando oggi il pubblico di domani”.  La divulgazione del repertorio dei secoli passati,  il lavoro a fianco dei giovani e l’idea di fare dialogare la musica con altre forme di espressione interattiva, sono l’essenza vera dello “spirito Lauter”. Obiettivo primario di tutte le loro attività è assumersi responsabilità per i musicisti, per i loro interlocutori, mettendosi in gioco in prima persona contribuendo alla realizzazione di un progetto comune; aspetto fondamentale è l’attività ripresa nelle scuole ferraresi, iniziativa cominciata già dal mese di marzo 2018 e che ha coinvolto gli studenti del Liceo scientifico Roiti – istituto che aveva partecipato anche alle due precedenti edizioni coordinate dall’associazione –  per la prima volta del Liceo Carducci e della Smiling International School. Gli allievi sono stati formati per costituirsi in gruppi di lavoro autonomi capaci di preparare, promuovere e gestire uno spettacolo o un concerto dal vivo fornendo loro le basi del managing e della divulgazione culturale per farli diventare curatori degli eventi performativi svoltisi al teatro, considerando che  anche questa volta come già nelle passate stagioni ne ha fatto registrare il sold out a dimostrazione dell’efficacia ospitando appuntamenti didattici e cameristici a cui sono seguiti momenti di dialogo e confronto tra strumentisti e studenti e per lo stesso concerto finale.

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Protagonista, il quintetto formato dai violinisti Alexandra Conunova, in primis Bruzzo che ha anteposto i saluti e ringraziamenti, la violista Béatrice Muthelet il violoncellista Alexey Stadler e il pianista Enrico Pace dalle partiture strettamente connesse con il periodo storico e le suggestioni derivanti dall’esposizione in corso alla pinacoteca nazionale di corso Biagio Rossetti associandone sinergia tra la moda e la pittura nel suo tema iniziale ove ne è valsa  un’ampia valutazione e similitudine rispetto alla musica di quel periodo, trattandosi di canali diversi riguardo la comunicazione del fascino e del prestigio sociale dell’individuo moderno la cui  partecipazione fu pur sempre fattore importante di distinzione nella mondanità parigina, consumata tra salotti borghesi, café, sale da concerto. Incentrato interamente su compositori attivi tra la fine del secolo romantico e il Novecento, in apertura la celebre “Sonata per violoncello e pianoforte n. 1 in re minore L 144” di Debussy (1862 - 1918), nei tempi Prologue  (Lent. Sostenuto e molto risoluto) - Sérénade (Modérément animé) - Finale (Aminé. Léger et nerveux), scritta d'un solo getto nei mesi di luglio e agosto 1915, essa respira la grazia e la felicità delle opere nate spontaneamente e dalla cui stesura è assente ogni apparente sforzo creativo. Il Prologo, assomiglia a un'austera ouverture in stile antico, "alla francese" ove il piano ne disegna un tema declamatorio dal fare teatrale e improvvisato   completato dall’arco che tratteggia il proprio assunto come un lamento. Giunge la seconda idea, dal disegno discendente, misterioso pianto solitario scandito dai rintocchi plagali del piano, un’incessante opera di trasformazione dei contenuti, anche attraverso l'inserzione di nuovi spunti, garantisce ricchezza inventiva e vivacità esplicitata a tratti in intense fasi di meditazione. Con la Sérénade,  giochi buffi degli archi e puntiformi accordi in staccato del pianoforte introducono una minimalista linea che pare alludere, di volta in volta, al pianto, al sorriso, alle atmosfere lunatiche e fantastiche di Pierrot. Reiterazioni fugaci dell'idea sopra pizzicati ricreano l'atmosfera di una chitarra che suona, o di un liuto, dentro un'ambientazione bizzarra, surreale, tipica di uno scherzo, andando verso un vivace ove incontriamo  una pagina coloristica tutta glissando, suoni "sur la touche", flautati, combattuta su serrate alternanze di partenze, fermate, ripartenze fulminee di spunti contorti e mobilissimi e conclusa da acute e lamentose risonanze. Nel Finale un turbinante moto in arpeggio del piano prepara la strada al violoncello che si inserisce nell'agitato discorso con un profilo "volubile", smaccatamente spensierato, aereo, saltabeccante, fatto di plastiche evoluzioni, funambolismi, sottili ironie. Poco dopo ecco una fase di sospirose attese, di sospensioni e improvvise accelerazioni concluse da una profonda declamazione. Dopo una sezione meditativa, con la ripresa del primo gruppo si giunge a un magniloquente epilogo, come afferma anche il critico Marino Mora.

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La Francia dell’ultimo quarto d’Ottocento è un Paese che, come il nostro, conosce un solo genere veramente popular, capace di raccogliere un consenso di pubblico trasversale alle classi sociali: quello operistico. Rispetto ciò, la musica da camera, più prossima al gusto delle élite borghesi, soffre di una minore visibilità, nonché di una certa subalternità di fronte all’omologo di sponda tedesca, che è il riferimento obbligato sul palcoscenico internazionale. I musicisti francesi guardando dunque inevitabilmente alle novità che arrivano al di là del Reno, rivendicando tuttavia il compito di promuovere uno stile strumentale a pieno titolo francese. Si è proseguito quindi con la “Sonata per violino e pianoforte” di Francis Poulenc (1899–1963) - appartenente al gruppo Les Six (assieme a Auric, Durey, Honegger, Milhaud e Tailleferre) che nella Parigi degli anni Venti dà voce, in varie forme, a un modernismo antiwagneriano e anti impressionista. Se Poulenc praticava la musica da camera come raffinato accompagnatore alla tastiera, in qualità di compositore il suo catalogo non è, in questo genere, cospicuo, riservando maggiore attenzione agli strumenti a fiato piuttosto che agli archi. In una lettera dell'ottobre 1942, indirizzata al musicologo André Schaeffner, parla della stesura della Sonata iniziata nel 1940 e terminata due anni dopo. Poulenc non ne è soddisfatto (opererà anche una revisione nel 1949) ma mantiene l'impegno preso con la committente del lavoro, la portentosa violinista Ginette Neveu (1919-1949), talento precocissimo, allieva di George Enescu e Carl Flesch, lanciata nel circuito internazionale con la conquista, nel 1935, del concorso "Wieniawski" e deceduta tragicamente nella notte tra il 27 e il 28 ottobre 1949, in un disastro aereo avvenuto nell'Arcipelago delle Azzorre sulla rotta Parigi-New York, senza superstiti. La Sonata porta coraggiosamente - nell'asprezza tragica del primo e dell'ultimo movimento, nel tagliente profilo ritmico dei temi e di certe figurazioni i segni della Francia occupata e della memoria di Federico Garcia Lorca, assassinato dai franchisti nel 1936. In epigrafe all'Intermezzo spagnoleggiante risuona l'incipit della poesia Las Seis Cuerdas: "La chitarra fa piangere i sogni". In queste pagine si attua quell'espansione calorosa del canto di gusto nobile e popolare a un tempo rappresentante la cifra più commovente dell’autore.
Chiusura di programma con il coinvolgimento simultaneo di tutti gli interpreti, come di pragmatica,  per il “Quintetto per archi e pianoforte op. 89 n. 1” di  Gabriel Faurè (1845-1924) formato da soli tre movimenti ma dalla difficile esecuzione e insieme strumentale, continuando a rimanere ai margini sia del repertorio concertistico sia del cuore degli appassionati di cameristica in parte per la sua genesi e in parte per la sua tormentata storia. Definito dal suo allievo e teorico Charles Koechlin «una delle opere più belle scritte dal suo compositore», può essere considerato il lavoro che diede inizio all’ultima sua fase creativa. Dal clima teso e terso, tutto sembra scorrere con divina semplicità, ma al tempo stesso l’ascoltatore è scosso dall’interno da dopo un temporale previsto…una lunare trasparenza bachiana, un sentimento da ultimo romantico che s’inoltra sopravvissuto nel nuovo secolo… L’autore  contribuì ad accrescere le fortune del quintetto per archi e pianoforte, genere definito da Luigi Boccherini e portato a perfezione nel corso del XIX° secolo da maestri  del calibro di Robert Schumann, Johannes Brahms e César Franck, con due opere di grande bellezza, (l’altro è il quintetto Op. 115) stilisticamente lontane sia dalle romanze giovanili che dalle atmosfere evanescenti di quella macabra ninna nanna che è il suo Requiem. Nei primi anni del 1900 egli manifesta purtroppo i primi segni della sordità, non sente più bene le frequenze basse e quelle acute facendone supporre la causa dovuta all’impiego di un registro medio nelle due opere sondate  in tutti i suoi aspetti. I grandi e modulanti blocchi melodici, infiniti, sinuosi,  plasmati da mano sapientissima e delicata, derivano forse da questa grave e debilitante menomazione?
Platea costituita nuovamente e in massima parte da giovanissimi inseriti nel contesto “scuola”, non sempre tutti attenti e a livello comportamentale inesperti dell’ambiente teatrale, messi alla prova da pagine dall’aspetto estremamente intimistico di primo acchito non facili all’ascolto e a mio avviso del tutto inidonee all’ottica, creando inevitabilmente una sorta di disconnessione tra livelli culturali molto differenti in conflitto tra l’intransigenza dei coetanei sul palco e coloro non portati a tali scelte rigorosamente accademiche. Repertorio dettato forse più da un inconsapevole gusto personale del Lauter che altro, come tale probabilmente sarebbe stato più adatto e fruibile un tardo barocco vivaldiano o un solare quartetto di Mozart “di consumo”, per usare un termine un po’ azzardato. Esecuzione ad ogni modo eccellente in una scelta strutturata nell’alternanza dal duo alla formazione in quintetto, perfetto nell’insieme e intonazione: elementi direi quasi inaspettati a tale livello da parte di strumentisti mediamente trentenni dando prova di grande abilità al di là di ogni limite scaturendo massima attenzione soprattutto da parte dei consueti habitué au théâtre… nella speranza di essere comunque il tutto di buon auspicio riguardo le generazioni a venire, come afferma l’editore musicale Filippo Michelangeli, attento e sensibile a diverse e plurime realtà sociali, di cui riporto felicemente un suo recente pensiero: “Agli adulti e agli anziani che non perdono occasione per dire «I ragazzi di oggi non si impegnano più, sono buoni a nulla, non sanno sacrificarsi» rispondo semplicemente che sono tutte sciocchezze.  È  pieno di gioventù operosa, seria, studiosa, affettuosa, generosa. Ai giovani diamo noi il buon esempio. Ci verranno dietro e in molti casi saranno pure meglio di noi”.

Crediti fotografici: Andrea Bighi per il Progetto Lauter
Nella miniatura in alto: il violinista Nicola Bruzzo, referente del Progetto Lauter






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