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Festeggiati i quarant'anni del Circolo lirico bolognese con un concertone all-stars |
E la Pratt brilla fra le stelle |
servizio di Roberta Pedrotti |
Pubblicato il 26 Febbraio 2013 |
BOLOGNA - La passione per l'opera non ha nulla di ascetico, anzi, s'accompagna naturalmente agli altri piaceri. La musica e il canto si sposano per affinità elettiva alla buona tavola e a un buon bicchiere, le discussioni su interpreti e compositori, anche le più serie, non possono prescindere da una dimensione goliardica e amichevole prima e dopo la rappresentazione, o fra un atto e l'altro. L'appassionato si definisce talora scherzosamente “drogato d'opera”, ma è un'espressione che trae in inganno e dissimula quella che più che una dipendenza è un'allegra simbiosi, per cui ogni occasione di vita quotidiana può ispirare allusioni, paragoni, citazioni: siamo spesso tentati di parlare in “librettese”, sostituendo a esclamazioni, proverbi e luoghi comuni versi melodrammatici (e “cosa fatta capo ha” può diventare “Sfar non puoi la cosa fatta”), anche a costo di disorientare ignari interlocutori. Salvo casi critici, che pure esistono e in genere son poco disponibili allo scherzo o alla divagazione extraoperistica, l'allegra simbiosi è soprattutto un'opportunità per godere ancor più dei piaceri della vita, di qualche ora passata fra amici condividendo un linguaggio comune. Va da sé che la convivialità ispirata dall'amore per il canto cementa legami profondi e prospera tradizionalmente dai ritrovi e dalle osterie, come quella Della pioggia da cui nacque, quarant'anni fa, il Circolo lirico di Bologna. Luogo d'incontro, discussione ed esecuzione professionale o amatoriale, un circolo lirico è una realtà speciale di condivisioni, nella quale si mescolano le generazioni, i genitori – o gli zii, o i nonni – portano i bimbi, mentre anni e anni (anzi: stagioni e stagioni liriche) si specchiano in volti che paiono studi di Leonardo per La battaglia di Anghiari, ma poi si sciolgono per accompagnare con il loro canto più o meno muto il tormento di Canio o la seduzione di Carmen.
Al circolo lirico ci si ritrova per vivere insieme la musica e si possono incrociare, fra una cena in compagnia o un concerto vero e proprio, appassionati, dilettanti, professionisti che svolgono onorevolmente la loro attività nel mondo vivace delle piccole realtà, giovani di belle speranze cui dare la possibilità di farsi conoscere accumulando esperienza, grandi artisti che volentieri partecipano a queste iniziative, condividendo l'amore per l'opera dalle sue radici più schiette e popolari. Così, quando il circolo bolognese, costituitosi da un originario gruppo d'amici melomani di vecchia data, celebra i suoi quarant'anni di vita ufficiale, il cast annunciato è di grande richiamo, degno coronamento di una storia intensa che ha visto sfilare nomi illustri e illustrissimi. Purtroppo improvvisi e gravi problemi familiari hanno impedito a Roberto Aronica e Claudio Sgura di partecipare al concerto, per cui non possiamo non ringraziare Paolo Bartolucci e Donato di Gioia per averli prontamente e generosamente sostituiti. Confermata invece la presenza di Sarah M'Punga, che oltre a Carmen (Habanera), a Dalila (“Mon coeur s'ouvre à ta voix”) e a Eboli (“O don fatale”) ha interpretato la Barcarola dai Contes d'Hoffmann con Jessica Pratt e Azucena nel duetto del quarto atto con Bartolucci, che a sua volta si è proposto anche come Pollione, Macduff e Canio. Di Gioia ha esordito con “Di Provenza”, passando poi a “O sainte medaille” dal Faust e al monologo di Ford, “È sogno o realtà”, concludendo il programma con Lucia di Lammermoor in duetto ancora con la Pratt. Ed è stata quest'ultima , pur fra gli applausi tributati a tutti gli interpreti e alla pianista Giuliana Panza, la stella incontrastata di questa domenica lirica bolognese, il più brillante coronamento dell'importante anniversario. La cosa non ci ha sorpreso, a dire il vero, e non per demerito dei colleghi, che non si son certo risparmiati, ma per il valore assoluto di una delle più grandi primedonne dei nostri tempi. Anzi, nel suo repertorio la più grande, giacché per trovare un degno confronto potremmo solo scomodare gli anni migliori di colleghe che potrebbero esserle madri se non nonne. Jessica Pratt è generosa, amabile, cordiale, trasmette la semplice sensazione di cantare per amore della musica e per il puro piacere di condividerla con il pubblico, dando sempre il massimo, sempre egualmente raffinata, comunicativa, concentrata e brillante, in una piccola sala o in un grande teatro, per amicizia o scritturata per un'inaugurazione prestigiosa. Ma è anche una diva d'aristocratica eleganza, un'artista che possiede il dono di saper condurre chi l'ascolta, ovunque sia, in una dimensione incantata. Cantare con tecnica perfetta significa poter dominare ogni asperità, risolvere con precisione e disinvoltura ogni passaggio virtuosistico, saper legare, diminuire e rinforzare i suoni ad ogni altezza. Quindi saper interpretare, entrare nella musica e piegarla a ogni intenzione espressiva senza mai forzarla. Il canto della Pratt è bello esattamente come lo è lei sulla scena, l'incarnato trasparente, i lineamenti fini, sempre composti e rilassati in un'emissione che non lascia intendere sforzi e può quindi raccogliersi nei lampi vividi di due bellissimi occhi azzurri che accompagnano la voce fino alle ultime file, sottolineando ogni accento. Scintilla di gioia e delicata innocenza la sua Linda di Chamounix mentre fa zampillare variazioni, trilli e sovracuti in “O luce di quest'anima”, ma si trasforma in autentica regina quando intona “Bel raggio lusinghier”. Allora lo smalto del timbro, la perfezione del canto diventano il veicolo dell'autorità sovrana di Semiramide, ma anche della sua sensualità, del suo tormento, dei suoi fantasmi interiori: basti ascoltare come diversifica “gemé, tremò, languì” abbandonandosi sull'ultimo passato remoto per comprendere quale artista sia Jessica Pratt, perfettamente padrona degli strumenti del belcanto come strumenti drammatici. Supera perfino se stessa con “Qui la voce sua soave”, che non le avevamo mai sentito cantare così bene e che riesce a farci dimenticare durante l'ascolto ogni possibile confronto. La nostra australiana guarda negli occhi da pari a pari tutte le più grandi Elvire di cui si abbia memoria, conosce l'involo patetico del canto belliniano ed è ancora una volta commuovente, nobile, composta, intensissima nel suo cogliere dettagli che s'imprimono indelebili nella memoria. Come quell'ultimo “lasciatemi morir” per cui trova un colore davvero funebre, di totale, doloroso distacco, prima d'abbandonarsi alla rêverie di una cabaletta variata con fantasia nel segno d'una coerente e decisa idea d'interprete, di una personalità sempre riconoscibile e sempre al servizio del dramma, del personaggio. Spettacolare in tal senso è anche il duetto di Lucia che chiude il lungo concerto bolognese. Miss Ashton non appare come una semplice vittima delle macchinazioni del fratello, bensì come una giovane che vuole mostrarsi decisa e combattiva ma vede sgretolarsi le sue certezze e finisce per crollare. A fare della sua lettura un capolavoro, dando al concerto l'illusione della completezza di un'intera recita, basterebbe l'intenzione di “Ad altri giurai mia fe'”, dapprima detto con fermezza, imponendo le proprie scelte a Enrico con autorità, per poi svelare un'intima fragilità, vacillare, arrivare infine al canto opalescente di “Soffriva nel pianto”, che tocca il culmine della commozione proprio perché iscritto in una scena studiata nei minimi dettagli di contrastanti sfumature psicologiche.
Il pubblico lo sa, ne è avvinto, e le tributa un trionfo che riempie la sala dell'Oratorio di San Rocco, sede storica dei concerti del Circolo, al pari delle magnetiche messe di voce della diva. Eccezionale anche per il suo sorriso, per la normalità con cui vive con noi qualcosa di straordinario. Ci sentiamo privilegiati a poter assistere a questo concerto. Il fulgido astro della Pratt con il suo trionfo non ha comunque oscurato del tutto i colleghi (non è nemmeno nella sua natura porsi come primadonna accentratrice) e si è distinto in particolare il basso Luca Tittoto, il più applaudito dopo il soprano. Meritatamente, perché possiede non solo una voce di bella grana, mai forzata, mai scurita o artificiosa, ma facile e naturale in tutta l'estensione, che permette la nobiltà di linea suggerita dal gusto innato del giovane asolano. Lo ricordiamo quasi esordiente distinguersi già come Simone in Gianni Schicchi e cliente della Medium nell'opera di Menotti, poi affrontare Oroveso, ruolo allora un po' pesante per le sue corde, ma proprio per questo ammirevole per la proprietà tecnica e stilistica con cui lo affrontò. Lo abbiamo riascoltato come Creonte nella Medea di Cherubini, come Alidoro nella Cenerentola e Ferrando nel Trovatore, riconoscendo sempre un cantante di classe, intelligente, di grandi potenzialità. Le conferma in concerto riproponendo “Ite sul colle, o druidi”, cui fanno seguito la grande aria di Attila, affrontata con generosità, ma senza alcuna intemperanza, sempre cosciente delle radici belcantiste di questo primo Verdi, e soprattutto un ottimo “Come dal ciel precipita”, ben tornito nella cavata, autorevole, incisivo e approfondito nell'accento. Davvero una prova maiuscola, che conferma le speranze riposte in questo artista. Tre ore sono volate fra gli affreschi del Carracci, chiacchiere musicali informali, debiti ringraziamenti e festeggiamenti dei quarant'anni del Circolo, e soprattutto ottima musica, con vette esecutive memorabili. Questa è la celebrazione migliore: l'opera è vita, è gusto, è carne ed è sogno, è incanto, è utopia. È straordinaria tanto quanto è quotidiana, normale quanto eccezionale, quanto il pan che si mangia o l'aria che si spira.
Crediti fotografici: Amati Bacciardi (Pesaro), Rocco Casaluci (Bologna) e Fototeca gli Amici della Musica.Net (tutte le fotografie sono immagini di repertorio) Nella miniatura in alto: Paolo Bartolucci Al centro: Donato di Gioia, Luca Tittoto e Sarah M'Punga In basso: Jessica Pratt
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LUCCA – Al Teatro del Giglio approda con grande apprezzamento del pubblico la versione bresciana di Madama Butterfly di Giacomo Puccini (datata 28 maggio 1904) dopo che il clamoroso fiasco del Teatro alla Scala di qualche mese prima, indusse il compositore a rimettere le mani sulla partitura. La scelta dell’adattamento bresciano per il Teatro del
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Jazz e altro allo Spirito
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Jazz Club Ferrara 45 concerti
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Ecco la stagione 2024 del Filarmonico
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VERONA - Teatro Filarmonico: dal 21 gennaio al 31 dicembre 2024, sono in programma 5 opere e 10 concerti sinfonici, con grandi interpreti internazionali. Attesissimo il ritorno del balletto, in scena anche nella sera di San Silvestro. Sarà - inoltre - l’anno delle prime assolute e dei grandi omaggi: il 2024 porterà sul palcoscenico del Filarmonico
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