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Ferrara tra passato e presente la musica di Luzzasco Luzzaschi nel teatro del Foschini

Lo Specchio di Dioniso

servizio di Edoardo Farina

Pubblicato il 25 Marzo 2025

20250325_Fe_00_LoSpecchioDiDioniso_AlbertoCaprioli_phGBortolaniFERRARA - Continua la ricca programmazione del Teatro Comunale “Claudio Abbado” luogo simbolo della tradizione culturale locale, nell’ambito della Stagione Opera & Danza 2024-2025 con in scena il decimo appuntamento dei quattordici previsti, Lo Specchio di Dioniso - Risonanze polifoniche erranti venerdì 21 marzo 2025 (replicatosi nella serata successiva) ove un’ora precedente alla prima assoluta dal debutto, presso la Sala Stemma del Ridotto si è svolta la consueta “Prima della prima”, ospite il musicologo Alessandro Roccatagliati che ne ha introdotto l'opera con un incontro esclusivo moderato dal Direttore Artistico Marcello Corvino.
Roccatagliati è docente di Storia della Musica presso l’ateneo estense, ha voluto indicare le tre dimensioni su cui essa si è svolta, frammentate e correlate tra loro, in primis la musica del tardo Cinquecento dal punto di vista dei generi vocali e strumentali, poi una contemporaneità tra i compositori italiani di questi anni confermandone un esempio ben costruito riguardo la polifonia recitata sul versante antico e moderno tra archi, tiorba e cembalo avvalendosi anche di un trio di attrici teatrali.
Insolita occasione per riscoprire la tradizionale musicale locale, in sessantacinque minuti di una forma esoterica in recitativo dal primo Rinascimento sino alle forme atonali ancora in uso, attraverso una prospettiva assai variegata passando per diverse tipologie cronologiche non trascurando addirittura l’avanguardia Fluxus di John Cage interposta tra gli sperimentalismi degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso o il più recente ricercatore compositore friulano dalle atmosfere introspettive, Andrea Centazzo di cui ne è stata percepita lontanamente qualche traccia.

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Proporre uno spettacolo di arte contemporanea con aspetti dal XVI Secolo in poi può apparire a volte come un’impresa non propriamente semplice per via del soggetto, la forma astratta in cui il tema incorre, esiste, si muove all’interno di un palco o per la retorica, l’estro animatore del progetto stesso assolutamente fantasioso, sito nell’immaginazione del regista oppure attraverso le suggestive note composte da Luigi Sammarchi, autore tuttora in attività, associate alle opere di Luzzasco Luzzaschi (prevalentemente organista, nato a Ferrara presumibilmente nel 1545 e ivi scomparso nel 1607) musico eccellentissimo del celebre Concerto delle dame facendo ancora spalancare gli occhi per la maraviglia dopo più di quattrocento anni, importante autore che ha rivoluzionato la musica del suo tempo, figura centrale della corte estense e maestro del più noto Girolamo Frescobaldi. Nelle sue composizioni vocali ogni singola voce si intenerisce, si rattrista oppure si infiamma di gioia seguendo fedelmente ogni minima variazione retorica e di testo, qui interposte tra le pagine di Claudio Ambrosini e Alberto Caprioli che ne ha diretto la formazione a confronto con tre madrigali di Luzzaschi tratti dalla raccolta Madrigali per cantare e sonare a una, due e tre soprani, creandone un ponte musicale tra epoche diverse.
L'Ensemble "Il dolce sguardo" supportato da Ugo Nastrucci, polistrumentista alternando liuto arabo űd, arciliuto e tiorba, collocati tra i principali cordofoni antichi, ha dato vita a un’esperienza sonora unica attraverso un cast professionale includendo il mezzosoprano Monica Bacelli, i soprani Valentina Coladonato e Laura Lanfranchi, con testi poetici di Giovan Battista Guarini e di autore ignoto nell’elaborazione di Guido Barbieri interpretati dalle allieve della Scuola di Teatro “Alessandra Galante Garrone” di Bologna, Valentina Spinelli, Melissa Mariani e Letizia Aloia una parentesi di lettura espressiva che da un lato ha voluto illustrare nitidamente il contenuto testuale creando dall’altro un inedito e indipendente tessuto sonoro.
L’idea in forma assai insolita non ha trattato propriamente un concerto in stesura tradizionale, come sostengono Nastrucci e Sammarchi riguardo un «… progetto nato in collaborazione della violinista Vittoria Panato, con l’intento di creare un’opera multimediale dopo avere contattato Ambrosini e Caprioli, avendo inserito in tutto tre compositori autonomi in modo da non farne una competizione tra loro nei confronti di Luzzaschi, abbinamento comunque non casuale considerando sostanzialmente il suono del Rinascimento e Barocco molto più vicino alle note della musica moderna rispetto al romanticismo dell’Ottocento e che i madrigali originali nascevano sempre sulla teoria e diversità degli affetti ...» afferma Nastrucci.
«... Quindi abbiamo triplicato le voci in linea contrappuntistica attraverso una nuova versione, aggiungendone la recitazione e mettendo in grande risalto il testo - continua Sammarchi - secondo un arco formale e filo conduttore molto preciso, preludio, madrigale antico, moderno, tipologie in grado di aiutare il pubblico nella comprensione. In buona sostanza, ne deriva un repertorio collocato tra tematiche miste dal rinascimento al contemporaneo traendo spunto anche dalla forma atonale utilizzata nelle improvvisazioni sia jazzistiche che antiche scrivendo appositamente quattro brani, a parte Luzzaschi riproposto nel modo originale.»

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Dalla Canzona prima detta La Luzzasca, al termine con la Canzona Seconda con una Fuga e una Moresca entrambe per soli strumenti senza la vocalità, composte appositamente dallo stesso Nastrucci secondo la prassi esecutiva d’epoca e la suggestiva cantabilità finale del flauto diritto di Sara Campobasso alternandosi con una bene esposta viola da gamba e la viola barocca di Françoise Renard.     
Formula espositiva in parte déjà-vu dagli spettatori “fuori posto” qui collocati su una gradinata montata direttamente sul palcoscenico volgendo le spalle alla platea, anche se sempre seduti, ove i primi sperimentatori ne furono sicuramente Luciano Berio e Pier Luigi Pizzi con l’Orfeo di Monteverdi andato in scena in Piazza Santo Spirito a Firenze nel 1985; poi Bruno Tommaso alcuni anni dopo sorprese con Il Vento a Santa Maria delle Croci a Ravenna prevedendo i presenti in piedi in mezzo agli attori creando un’innovazione assai gradita in quanto coinvolti e in qualche maniera partecipi, quasi come facessero parte della coreografia e sceneggiatura a contatto e sullo stesso livello di musicisti e interpreti.
Verosimilmente è stato anche al Teatro Abbado di Ferrara, dove l’unica barriera era costituita da un sottile tulle nero trasparente posto davanti al proscenio come schermo, utile a proiettare immagini frontali, (ritratti, volti, paesaggi, prospettive) in parte tratte dall’ultima mostra sul primo Cinquecento a Ferrara recentemente conclusasi al Palazzo dei Diamanti, per opera dell’allestimento scenico di Domenico Giovannini e ancora Barbieri, rese suggestive dalle luci di Marco Cazzola aggiungendosi la Fondazione Ferrara Arte per la concessione delle immagini Courtesy of Labics Marco Cappelletti e la collaborazione con il Teatro “Amintore Galli” di Rimini.      
In una alternanza di madrigali a più voci, poi recitativi interposti a suoni evanescenti e ritmi nascosti tra le percussioni di Marco Zanco, la tiorba di Nastrucci si è rivelata di indispensabile supporto oltre il cembalo di Danilo Costantini, grazie a una libera ricerca legata a improvvisazioni da lui stesso realizzate, tratte dalle varie stesure di stilemi barocchi non tralasciando gli autori più importanti che ne hanno scritto, quali Piccinini, Kapsberger, de Visée. Detto anche chitarrone, assai complesso, ingombrante per via della tratta dei bassi che può superare i 150 cm di lunghezza, recentemente riscoperto è oggi assai utilizzato nella musica del Sei - Settecento per antonomasia nel “continuo” del suo genere riguardo l’accompagnamento dei cantanti nelle Arie, nonostante i favorevoli e contrari inerenti alla corretta filologia temporale.
Percorrendo nella grande epoca del Manierismo le fibre della poesia per musica, ne sono derivate infinite sfumature in cui i diversi generi strumentali molto lontani tra loro riuscissero tutti perfettamente a coesistere senza conflitto alcuno corrispondendo ad altrettante frammentazioni dell’emotività rimandando idealmente al mito dello specchio di Dioniso, inteso come mezzo di conoscenza e vettore privilegiato per una profonda introspezione. Dio connesso alla sfera dell’ebbrezza, del vino, della festa orgiastica, della natura feconda, della metamorfosi, noto con molteplici appellativi, rappresenta e riassume in sé tutta la vita vegetale della natura, nelle sue molteplici manifestazioni; e della natura egli riproduce, nel suo mito, così la gioia della rinascita primaverile e del vigoroso rigoglio estivo, come la tristezza del tardo sopore autunnale e del lungo e gelido letargo invernale, qui sul palco del Teatro Abbado è stato idealizzato attraverso due specchi metaforici contrapposti tra loro collocati in alto alle scene, in conflitto tra antichità e modernità, riflessi univoci e un continuo dialogo tra i madrigali antichi, polifonia vocale e parlata come spiega al termine della performance lo stesso Barbieri che dopo aver presentato, fornito ulteriori spiegazioni e ringraziato tutti gli interpreti, ci ha lasciato con un verso già ascoltato tre volte a chiusura di uno dei più bei madrigali del Luzzaschi  Occhi del pianto mio recitandone «... Se torno vivo a voi, torno immortale” - “…immedesimandoci senza pretesa e superbia, nell’intenzione di fare rivivere le musiche antiche e moderne con l’ambizione che in qualche modo restino immortali, piccolo compito che cerchiamo di portare avanti attraverso la costante attività di ricerca …»
In una sapienza retorica e musicale che pur venendo da un passato lontano si è riverberata irresistibilmente nel tempo presente, abbiamo assistito a un’esposizione non facile e inadatta realmente a un pubblico inesperto non numerosissimo in entrambe le serate, forse rimasto perplesso e in attesa di qualcosa che propriamente non accade mai come d’altronde spesso è in uso nella prassi esecutiva soprattutto se in sistema “modale”, ma comunque attento e sensibile all’evolversi di un’idea altamente originale connessa con soggetti legati a fonti letterarie diverse ma quasi tutte provenienti dalla classicità greca e romana, caratterizzante lo spettacolo anche come viaggio evanescente nella mitologia occidentale. La narrazione è stata affidata in tal senso a diverse forme artistiche e didascaliche, recitazione, musica, orchestrazione, ciascuna nella propria dimensione autonoma, in modo da contribuire alla reciproca valorizzazione di un eccellente stile in rappresentazione teatrale traendone conclusione in un clima festoso con l’eclissi di un’avventura immaginaria quanto fantastica ben connessa e al tempo stessa contrapposta tra sonorità antiche e moderne, operazione indubbiamente perfettamente riuscita.

Crediti fotografici: Marco Caselli Nirmal per il Teatro Comunale "Claudio Abbado" di Ferrara
Nella miniatura in alto: Alberto Caprioli (foto G. Bortolani)
Al centro, in sequenza:
Marco Zanco e Ugo Nastrucci; Sara Campobasso con Nastrucci; l'ensemble durante la performance
Sotto: altre immagini della performance Lo Specchio di Dioniso






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