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Il capolavoro sacro di Gioachino Rossini esaltatato dalla prestazione dell'orchestra e del direttore

Gelmetti per un eccellente Stabat

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 28 Ottobre 2018

181028_Fi_00_StabatMaterRossini_GianluigiGelmettiFIRENZE - Il genio di Gioachino Rossini, scevro dagli impegni verso il Teatro d'opera da cui si era accommiatato anni prima, e la sequenza religiosa attribuita a Jacopone da Todi sono stati la materia prima con cui è stata confezionata la serata di apertura della XXXVIII stagione concertistica dell'Orchestra Regionale Toscana (ORT) al Teatro Verdi di Firenze la sera del 26 ottobre 2018; correva infatti l'anno 1842 quando la mente del cigno pesarese ormai in terra francese portò a compimento la partirura dello Stabat Mater una delle composizioni di musica sacra più coinvolgenti ed emozionanti e, assieme alle Pétite Messe Solennelle, ancora a mio avviso insuperate.
Voglio ricordare qui un pensiero del M° Alberto Zedda proprio in relazione a questa composizione: «Più studio Rossini, più mi accorgo che tra la sua musica e la sua vita non c’è relazione, il suo modo di comporre è freddo e, se vogliamo, inumano. Il suo sguardo ha un che di olimpico e impassibile, e chi cercasse nella sua musica chiaroscuri psicologici rimarrebbe deluso, perché al posto c’è una scrittura apparentemente artificiale e astratta, che però una volta riempita di contenuti teatrali e umani, lievita, creando forme espressive dal carattere unico e di una vitalità travolgente… per questa sua qualità, gli è possibile cambiare arie e musiche da un’opera buffa a una seria e viceversa senza che il loro effetto teatrale ne esca sminuito… Singolare nello Stabat la presenza di due brani ‘a cappella’ riservati alle sole voci senza accompagnamento. Nel primo ‘Eia Mater’, il basso solista, si alterna al coro in una sequenza responsoriale che richiama il rito liturgico. Il secondo, “Quando corpus morietur”, pagina di alta commozione che trasfigura in gioia paradisiaca il terrore della morte, è stato pensato da Rossini per le sole voci dei quattro solisti... L’emozione intima e profonda di questo pezzo, forse il culmine espressivo dell’opera, rende irrefrenabile l’esplosione della successiva fuga finale, predisponendo l’ascoltatore al grido liberatorio.»
Ci siamo inebriati di questa musica che nel dialogo con la sofferenza, il dolore e la morte, trova ampi spazi lirici per continutare un discorso apparentemente interrotto dopo che era stata ultimata l'estrema composizione operistica; diventa quindi in primis una prosecuzione di quel percorso musicale che proprio il Guglielmo Tell (anzi, il Guillaume Tell) non aveva affatto arrestato, ed in secondo luogo si profila come un sincero omaggio all'amato, studiato e venerato Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi, che Rossini mai aveva ritenuto di poter neppure lontanamente eguagliare; musica nel quale il testo di Jacopone da Todi è incastonato con l'arte del cesello, in cui Maria e gli altri protagonisti del Golgota vivono il dramma della morte; in esso prendono anima tanti motivi fortemente operistici che attribuiscono ancora più incisività al testo sacro e alla rappresentazione drammatica di quanto avviene ai piedi della croce.
Sensazioni e intuizioni che voce e musica hanno tradotto in emozioni; il soprano Angela Nisi ha messo in luce un'emissione limpida e cristallina che ha reso omaggio alla grande pagina in cui essa è protagonista con il coro Inflammatus et accensuns distinguendosi per una linea di canto elegante e raffinata.
Il mezzosoprano Raffaella Lupinacci ha conquistato il pubblico fiorentino con una vocalità rotonda, pastosa ed omogenea in tutta la sua estensione che ben emerge nella cavatina del Fac, ut portem dopo essersi armonicamente fusa con quella dell'altra voce femminile nel duetto Quis est homo.
La grazia e la signorilità interpetative si sono palesate con l'esecuzione del tenore Celso Albelo che con ottimo gusto e grande sensibilità ha saputo tradurre le emozioni dell'impervia pagina del Cujus Animam; i colori netti in alcuni passaggi si sono trasformati in trascolorate pennellate dai toni pastello che hanno riempito il Teatro di emozionante soavità.

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Note meno felici per il basso George Andguladze che, seppur dotato di bel timbro, ha trovato il suo limite in una vocalità piuttosto ingolata e poco incline al fraseggio e con alcuni momenti di intonazione periclitante come quello dell'Eja Mater dove la scrittura "a cappella" non gli è stata di grande aiuto.
Il coro del Maggio Musicale Fiorentino diretto e preparato dal M° Lorenzo Fratini si è distinto anche quella sera per grande amalgama vocale ed ottima preparazione regalando pagine da vero protagonista ed un sicuro sostegno per i momenti da cornice assieme ai solisti.
Lettura ferrea, decisa ed asciutta quella del M° Gianluigi Gelmetti che in questo terreno d'elezione ha saputo trovare amalgama, sintonia tra voci e strumenti quasi idilliache: gesti morbidi, ma sicuri hanno accompagnato la sua direzione a cui si sono fuse talvolta alcune movenze quasi impercettibili che sono state un vero viatico per un'esecuzione da ricordare; mirabile anche la pastosità del colore del suono generato dai professori dell'Orchestra Regionale Toscana che hanno dato prova di una compattezza e di una grande sintonia nel saper raccogliere le suggestioni del concertatore.
Una sala quasi al completo ha salutato questo inizio di stagione con calorosi consensi per tutti che hanno indotto i protagonisti a numerose uscite sul proscenio per ricevere gli applausi.

Crediti fotografici: Ufficio stampa dell'Orchestra Regionale della Toscana
Nella miniatura in alto: il direttore Gianluigi Gelmetti






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