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Dopo venticinque anni di assenza, l'opera pių celebre di Catalani miete successo a Lucca

La Wally č tornata al Giglio

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 01 Febbraio 2018

180202_Lu_00_LaWally_MarcoBalderiLUCCA - Una stagione quella del Teatro del Giglio dedicata interamente alla figura femminile nell'opera e quasi totalmente a compositori toscani con l'eccezione del bergamasco Gaetano Donizetti che però celebra in un suo componimento una figura femminile toscana; dopo La fanciulla del West con la quale si è aperta la stagione lirica 2017/2018 eccoci – domenica 21 gennaio 2018 - all'altro illustre compositore lucchese, Alfredo Catalani che con La Wally, suo titolo più famoso e più conosciuto, riapproda dopo venticinque anni nel Teatro lucchese; sarà la volta poi di Pietro Mascagni con Iris a metà del mese di febbraio ed infine, in marzo, Donizetti con Pia de' Tolomei.
Le avventure della ragazza di Hochstoff nell'Alto Tirolo hanno preso vita sulla partitura di Catalani mutuando dal racconto di Willemine von Hillern La Wally dell'avvoltoio per mano del librettista Luigi Illica su un impianto musicale che tende a "svecchiare" la struttura "a numeri" su cui si concentravano le composizioni operistiche nazionali; e porta a compimento il rinnovamento attraverso una significativa apertura verso tendenze più ardite del Teatro wagneriano, mantenendo nel contempo alcuni aspetti peculiari della tradizione operistica italiana; ecco che l'orchestra, come spesso succede nel compositore tedesco di riferiemento, recupera quella necessità di narrazione senza alla fine rinunciare a "brani di carattere" che incastonano e cesellano a dovere i momenti in cui la drammaturgia diventa più incalzante; questo in una lettura "italiana" della partitura ci induce a giudicare una struttura non troppo omogenea dell'opera che risulta a tratti frammentaria ed incostante, ma è possibile però apprezzare il lirismo e la dialogicità del costrutto orchestrale che spesso sopperisce ad un uso non proprio comodo e funzionale della parola cantata; questo "abuso" della voce dell'inteprete spesso si intravede in talune pagine specie del baritono e del tenore, ma anche della protagonista, che si discostano dal canto spianato o anche virtuosistico che discende dalla tradizione del melodramma italiano, a favore di una tessitura spesso scomoda che porta l'emissione all'eccesso di sforzo con passaggi impervi della voce. Fatta la regola è d'uopo l'eccezione ed ecco che all'interno del primo atto si staglia la meravigliosa aria Ebben ne andrò lontana (tratta dalla Chanson Groenlandaise, composta da Catalani nel 1878 su versi di Jules Verne), che rappresenta uno dei momenti più alti dell'intera partitura e che in effetti finisce per far cadere eccessivamente l'attenzione sul primo atto a scapito dei successivi, giudicati meno prodighi di inventiva musicale di immediata comprensione; da un punto di vista orchestrale non è da tralasciare nemmeno il preludio del terzo atto (tratto tra un brano pianistico, A sera, composto nel 1889 e pubblicato nel "Paganini" di Genova) e il successivo episodio, nel quale Wally si cala nel precipizio per salvare Hagenbach; qui la musica diventa parola e quindi drammaturgia, ma sempre in un'ottica campanilistica, ha bisogno di più tempo perchèpossa maturare e sbocciare nell'animo di chi ascolta.

180202_Lu_02_LaWally_phLorenzoBreschi

La produzione vista al Teatro del Giglio di Lucca è stata coprodotta con la Fondazione Teatri di Piacenza, Teatro Valli di Reggio Emilia e Teatro Pavarotti di Modena in cui ha avuto rappresentazioni nella passata stagione lirica.
Una regia quella di Nicola Berloffa poco entusiasmante, ma tradizionale e funzionale con un uso e abuso del colore bianco a simboleggiare un paesaggio montano; una scenografia curata da Fabio Cherstich articolata su due piani in cui si potevano tranquillamente incastrare le necessità drammaturgiche di gestione degli spazi interni ed esterni e i costumi di Valeria Donata Bettella che spiccavano per pertinenza spazio/temporale unitamente ad una gestione funzionale delle luci a cura di Marco Giusti.
Il cast vocale si è ben districato in questo impegnativo spartito mettendo in evidenza bravi interperti.
Nel ruolo eponimo ha debuttato il soprano versiliese Serena Farnocchia che ha saputo cogliere i tanti spunti e le tante suggestioni che la musica suggerisce; non è un ruolo facile, perché richiede buona tempra vocale e una sicura resistenza per arrivare alle pagine dell'epilogo in "salute" con la consapevolezza che il bello ha ancora da venire; la nostra interprete è stata brava a dosare le forze e cesellare i suoni con eleganza nel canto senza mancare in perentorietà; la pagina trasognata del primo atto in cui dà l'addio ai luoghi natii si è trasformata in soave preghiera, mentre la grande pagina duettante con il baritono ha regalato un canto più veemente e sprezzante; ovunque l'intonazione e l'intesa con la bacchetta hanno trovato ottima simbiosi per donare un canto ottimamente aderente alle intenzioni dell'autore.
La graniticità vocale di Zoran Todorovich ha tradotto in musica il personaggio di Hagenbach; il suo canto è stato spesso nerboruto e piuttosto incline alla prodigalità, e gli è valso qualche momento un po' periclitante di intonazione soprattutto in acuto dove alcuni suoni risultavano leggermente crescenti; nonostante questo la sua emissione si è distinta sempre per eleganza e buona capacità di gestione del legato; ma si sa lo spartito è impervio e due recite così ravvicinate - quella precedente si era tenuta il venerdì sera - non sono certo un toccasana per la vocalità e per una resa ottimale; nulla da eccepire sulla presenza scenica sempre pertinente e mai sopra le righe.
Anche il Geller ha trovato un bravo interprete nella voce del baritono Marcello Rosiello; i passi impervi non sono rari nel suo rigo musicale, come, pagine di vero impatto drammaturgico costellano la sua parte; da ricordare con plauso la chiusura del duetto del primo atto con la protagonista, Mi avvolge come un'onda, in cui voce e dramma si sono concentrati in un quadro di assoluto pregio.
Lo Stromminger di Francesco Facini ha brillato per freschezza e partecipazione intepretativa mettendo in risalto una buona padronanza della vocalità con pertinenti accenti e ottime intenzioni.
Brave e disinvolte le due figure femminili di contorno: Irene Molinari è stata molto convincente nel ruolo di Afra, mentre la bravura di Paola Leoci si è ben messa in luce attraverso il personaggio en-travesti di Walter; nella sua ampia pagina in funzione coloristica le canzoni dell'Edelweiss Un dì verso il Murzoll ha saputo ben cesellare il canto disteso con le intenzioni più virtuosistiche.
Completava il cast un ottimo Graziano Dallavalle nei panni del Pedone di Schnals che non ha fatto fatica a mettere in rilievo una vocalità possente e rotonda e dotata di sicura proiezione.
Il Coro del Festival Puccini preparato e diretto dalla M° Elena Pierini si è distinto per sprecisione e precarietà riuscendo in più di un momento a mettere in evidenza una forte impreparazione e una gestione estremamente frammentaria degli attacchi che hanno abbondato in approssimatività; i momenti concertanti sono anch'essi risultati piuttosto periclitanti nonostante un impegno sempre prodigo e puntuale della bacchetta nel cercare di fornire con precisione ogni attacco

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In buca il M° Marco Balderi ha cercato di tirar fuori dalle note degli strumentisti le intenzioni e le particolarità sinfoniche che il compositore ha tradotto in partitura; grande lirismo, grandi respiri piacevoli e oasi meditative hanno trovato nella direzione di Balderi un terreno molto fertile; non da meno è stata la cura e l'attenzione per il palcoscenico che si è trovato sempre messo a proprio agio da una gestione pertinente dei tempi e delle sonorità soprattutto in quei punti topici che richiedono un grande sforzo vocale e interpetativo.
Alcuni rumors di corridoio, ante opera, hanno messo in rilievo qualche  incomprensione tra bacchetta e orchestrali; la certezza di questa situazione si è delineata alla fine della rappresentazione allorché alla salita del Maestro Balderi sul palcoscenico, si è palesata una buca completamente deserta e l'invito dello stesso a far alzare gli orchestrali in senso di rigraziamento verso il pubblico si è trasformato in uno sguardo di dispiacere misto a sgomento.
Questo fatto, che ritengo grave, esprime una criticabile mancanza di rispetto nei confronti del pubblico, del Teatro che li ingaggia, del cast che ha cantato, e un palese dissapore con un Maestro che rappresenta pur sempre, in quel momento, colui che tiene in mano le redini di una rappresentazione. Grande plauso, per chi lo ha raccolto, da un pubblico numeroso e partecipe.
Concludo raccogliendo due brevi riflessioni della protagonista Serena Farnocchia e del baritono Marcello Rosiello.

180202_Lu_04_LaWally_SerenaFarocchiaSerena Farnocchia: «È sicuramente il ruolo più drammatico che io abbia mai affrontato, sia dal punto di vista musicale che da quello interpretativo. Ed anche uno dei più difficili!
Dall’inizio alla fine la voce viene messa a dura prova, passando da toni più lirici, come i momenti evocativi del primo atto ed in parte del terzo e quarto, a situazioni in cui la tessitura obbliga a sostenere con vigore il fraseggio richiesto. E tutte queste parti, con notte ribattute nell’acuto e con sillabazione scandita, sono sicuramente scomode e necessitano di essere dosate con equilibrio; ma la musica, soprattutto per quello che riguarda il mio ruolo, è molto bella e coinvolgente e ripaga degli sforzi fatti. Dal punto di vista interpretativo, mi è piaciuto calarmi nei panni di questa Wally, sicuramente moderna per il periodo. Una donna che decide, nel bene e nel male, il proprio destino e che lotta interiormente contro la sua natura istintiva e selvaggia, cercando un amore idealizzato che si concretizza, purtroppo per lei, solo nel momento della morte. Per far questo, ho cercato di rendere i colori delle sue emozioni evitando di cadere, spero, nello stereotipo verista.»

Marcello Rosiello: «Senz'altro il titolo più celebre del maestro lucchese Alfredo Catalani.  La Wally è stata oggetto di un affascinante esperienza nel prezioso Teatro del Giglio del comune Versiliese natale del Maestro autore della stessa.
Un'opera, questa, di stampo direi più romantico che verista, come si potrebbe pensare e per questo motivo di assai difficile esecuzione, sia da un punto di vista tecnico vocale che da un punto di vista strettamente musicale. Già da un primo ascolto si possono notare una scrittura vocale affascinante, ma assai impervia poggiata su un tessuto orchestrale di altissima fattura estremamente ricco con sonorità che rimandano ad echi oltralpe. La mia personale esperienza a Lucca è stata come al solito straordinaria, condita da una accoglienza umana calorosissima sia da parte della dirigenza che dalle maestranze tutte ed è per questo motivo che torno a cantare qui sempre con grande piacere.»

Crediti fotografici: Lorenzo Breschi per il Teatro del Giglio di Lucca
Nella miniatura in alto: il maestro Marco Balderi
Nella miniatura al centro: il soprano Serena Farnocchia






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