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L'opera di Gaetano Donizetti convince il pubblico di Firenze grazie soprattutto al cast

La Simeoni ottima Favorite

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 01 Marzo 2018

180301_Fi_00_LaFavorite_VeronicaSimeoni_phPietroPaoliniFIRENZE - In principio fu L'Ange de Nisida commissionata dal Theatre de la Renaissance; nel frattempo Gaetano Donizetti lavorava anche per l'Opéra di Parigi con il Duc D'Albe mentre correva l'anno 1939 che volgeva verso il 1940, ma, per le vicende burrascose dell'impresario che aveva commissionato quest'ultimo titolo, l’avventura fallì miseramente assieme al suo procacciatore: il cigno bergamasco lo appellò addirittura come "ciuccio assaje" che "jettava denare da tutte le parti”; Léon Pillet l’allora impresario dell'Opéra chiese un nuovo lavoro che potesse sostituire il "Duc" e così L'"Ange" fu trasformato in La Favorite.
La rielaborazione non fu semplice e indolore comportando un ampliamento del libretto di Alphonse Royer e Gustave Vaez da tre a quattro atti e  adattandolo alle esigenze del pubblico dell'Opéra.
Non si tratta come altri titoli di un grand-opéra nel senso proprio del termine in quanto le vicende storico-politiche sono messe completamente in secondo piano e fanno capolino solamente con un breve accenno nelle battute che si scambiano Balthazar e Alphonse nel momento in cui le ragioni di stato dettate dalla Chiesa di Roma cozzano con le pulsioni sentimentali del sovrano; per il resto si tratta solo di una vicenda profondamente privata; lui (Alphonse XI), lei (Eleonore, l'amante) e l'altro (Fernando, innamorato e poi sposo per vendetta  dell'amante).
Ciò che emerge primariamente dal punto di vista del carattere dei personaggi è il viaggio "nella vita" di Fernando che allontanandosi dal convento di Santiago de Compostela, attraversa l'esperienza dell'amore per una donna di cui non conosce nemmeno le origini e la condizione sociale; scoprirà solo dopo il matrimonio di aver sposato la Maitresse du Roi e, come in un cerchio che si chiude, concluderà la sua avventura da dove la vicenda ha inizio, nel luogo dove sarà raggiunto dalla donna  quasi morente e richiedente perdono.
L'opera del Maggio Musicale Fiorentino ha proposto all'interno della stagione 2017-2018 questo titolo che ebbe al tempo poca fortuna in territorio francese, riscuotendo invece nella versione italiana una maggior benevolenza da parte del pubblico; situazione che si è ribaltata negli ultimi anni con una "renaissance" della versione francese che credo possa essere considerata la unica e vera "Favorite" di Donizetti.

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L'allestimento fiorentino cui ho assisito il 28 febbraio 2018 porta la firma registica di Ariél Garcia-Vergier ripresa da Derek Gimpel in un allestimento del Gran Teatro del Liceu di Barcellona in coproduzione con il Teatro Real di Madrid datato 2002; la scenografia di Jean-Pierre Vergier curatore anche dei costumi, consta di un grande monolite che ruota all'uopo ricostruendo gli ambienti del libretto con una discreta aderenza e verosimiglianza; anfratti, porte e scale vanno a comporsi sull'unità centrale e questa diventa, convento, riva di attracco della nave sulla spiaggia dell'isola di Léon, Castello di Alcazar in Siviglia ed alla fine ancora Monastero di Santiago de Compostela; il tutto è abbastanza fluido e funzionale alla drammaturgia che pecca, a mio avviso, per una sostanziale staticità dei personaggi che non trovano quel piglio scenico per rendere agevolmente le intenzioni del libretto; Alphonse XI nella sua aria di sortita non fa che "giocare" con una sedia ed un mantello rosso che trascina qua e là sul palcoscenico come fosse una modella ad una sfilata di moda; anche l'interazione fra i personaggi è spesso statica o poco incline ad un coinvolgimento degli stessi nella drammaturgia; il coro poi sembra quasi disposto in forma di concerto e anche nelle grandi pagine finali del secondo e del terzo atto non gode di una partecipazione scenica degna di siffatto nome; in sostanza tutto è molto sottomesso e poco incline a far venir fuori i sentimenti e le emozioni; è pur vero che la triade dei protagonisti appartiene ad una classe sociale a cui non è consentito più di tanto far emergere le proprie emozioni, ma in questo caso l'elemento sentimentale prevale su tutto e questo è stato poco evidenziato con una resa vocale che per taluni è andata di pari passo con la drammaturgia. L'elemento luci curate da Dominique Borrini è stato un punto a favore, perché ha saputo cogliere aspetti e momenti topici in maniera molto accattivante. Poi, interpreti di grande livello per questa produzione fiorentina, interpreti che in qualche modo hanno un pochino sofferto di questa poca partecipazione scenica al dramma.
Veronica Simeoni (ritorna a Firenze dopo la tanto discussa Carmen di poco più di un mese fa), affronta il ruolo di Léonor De Guzman in ottima forma vocale; e lo fa con un personaggio che incarna uno dei più grandi e avvincenti ruoli dell'Ottocento per mezzosoprano; proprio non presentando agilità, ma cedendo il passo ad armonie di largo respiro pregne di parole d'amore e di passione, per i limiti registici di cui sopra, ho trovato piuttosto freddi alcuni momenti come la grande aria del terzo atto Ô mon Fernand ed anche il duetto finale è stato "vittima" di questo depauperamento registico; tengo a precisare che la bravura vocale della Simeoni, quanto a legato, intonazione ed eleganza nel canto, non sono venute meno, anzi direi che sono state proprio il punto di forza della grande interprete.

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Il Fernand di Celso Albelo è stato invece più partecipato grazie ad una capacità innata dell'artista di saper colorare il quadro del personaggio con la ricca tavolozza di colori di cui dispone la sua voce; ha tessuto la trama del ruolo con dovizia e cura certosina pensando ad ogni parola nel suo significato drammaturgico più intimo; il suo canto non è solo ricamo... è pittura, è scultura, è arte allo stato puro; sin dall'aria di sortita Un ange... una femme inconnue ha tratto dalla musica del compositore bergamasco quell'emozione e quel sentimento che si sono tradotti in suoni quasi eterei e che hanno trovato ottimo compimento nell'aria finale Ange si pur - tratta dalla incompiuta Ange di Nisida - in cui ancor più l'ago della voce ha ricamato un disegno indelebile per intonazione, stile e fascino dell'uomo che si crede deluso e ferito nei suoi ideali cavallerieschi, puri e sinceri.

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Mattia Oliveri nell'imponente ruolo di Alphonse XI ha saputo mettere in evidenza una vocalità piena, rotonda, dotata di ottima intonazione con una ricerca di intenzioni che non sempre è andata di pari passo con le emozioni del libretto; è mancato a mio avviso anche nella sua interpretazione quel "quid" in più da rendere autorevole ed al contempo passionale la figura del Re; sono convinto che tra qualche anno il ruolo possa diventare un cavallo di battaglia per questo bravo e giovane interprete che si è dimostrato comunque un grande professionista; aggiungo che la sua giovane età, a mio avviso, non restituisce ancora appieno la grandezza di ruoli così maturi.
Il Balthasar di Ugo Guagliardo ha sofferto per una vocalità piuttosto ingolata e con suoni talvolta gonfiati dove l'acuto trova invece buono sfogo, ma fa notare qualche limite nella scesa ai suoni più gravi.
Una vera sorpresa vocale è stata Francesca Longari nel ruolo di Inés; non è un ruolo comprimario nella maniera più assoluta da un punto di vista vocale in quanto l’impegno non è da poco; all'inizio della Scena seconda del primo atto, nell'aria con il coro femminile Rayons dorés, la Longari è emersa grazie alla sua vocalità fresca e squillante ed ha saputo mettersi in ottima luce nel grande concertato finale del secondo atto.
A completamento del cast un elegante Manuel Amati nel ruolo di Don Gaspar, anch'esso limitato da una scenicità piuttosto ondivaga; ed un valido Leonardo Sgroi nei panni di Un Seigneur.
Vale la pena parlare dell'elemento collettivo rappresentato dal Coro del Maggio Musicale Fiorentino che anche in questa occasione ha saputo ben mettere a frutto l'insegnamento del M° Lorenzo Fratini; il Coro in quest'anomala grand-opéra assume il ruolo di personaggio e quindi non ha solo mera connotazione di contorno o di supporto ai concertati; è grande protagonista nel terzo atto e mantiene il suo elemento drammaturgico del Convento nella Cappella di Saint Jacques di cui ho un mirabile ricordo sia nel coro iniziale del primo atto Pieux monastère e del religioso pianissimo all'inizio del quarto atto in cui tutte le voci maschili, quasi a ricordare l'antico modus gregoriano, si sono fuse mirabilmente in un climax di grande elegiaca ieraticità.

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Ecco che il M° Fabio Lusi nella sua veste di concertatore e futuro Direttore musicale del Maggio Fiorentino, è stato altro elemento indispensabile ad una grande riuscita musicale; il suo apporto si è distinto per una lettura molto lineare e semplice della partitura senza nulla togliere a tutte quelle peculiarità stilistiche che si annidano nei righi musicali; sin dalle prime battute il suono austero degli archi introduce la sinfonia per poi esplodere con tutti gli strumenti in un tema piuttosto agitato e frenetico; la delicatezza dell'inizio in cui ogni strumento ha espresso la sua individualità e le sue tenue sonorità è stato un ottimo viatico per introdurre l'azione nei temi drammatici seguenti; la sua concertazione ha mostrato grande eleganza e stile, riuscendo poi a realizzare un rapporto idilliaco con il palcoscenico. La sala del Teatro dell'Opera era decisamente piena ed ha tributato ovazioni a tutti.

Crediti fotografici: Pietro Paolini per il Maggio Musicle Fiorentino - Teatro dell'Opera di Firenze
Nella miniatura in alto: la protagonista Veronica Simeoni nel ruolo di Léonor De Guzman






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