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Riccardo Muti accolto trionfalmente a Firenze nel 50° del suo debutto al Maggio Musicale

Grande Macbeth anche in concerto

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 14 Luglio 2018

180714_Fi_00_Macbeth_RiccardoMuti_PietroPaoliniTerraprojectContrastoFIRENZE - «Il bello della musica è che tu non puoi toccarla, mentre lei può toccarti dove sa che la sentirai di più»... mi piace iniziare il mio intervento con questa frase perché penso che possa esprimere appieno l’essenza della serata fiorentina che ho vissuto lo scorso 13 luglio 2018 in occasione della chiusura dell’81.mo Maggio Musicale Fiorentino. Questa occasione è stata dedicata al M° Riccardo Muti nel Teatro di Firenze per festeggiare i cinquant’anni dal suo debutto nel capoluogo toscano avvenuto il 18 giugno del 1968 quando diresse un concerto sinfonico con musiche di Wolfgang Amadeus Mozart e Benjamin Britten. Il ritorno a Firenze questa volta si è concretato con il Melodramma - anche se eseguito in forma da concerto - qui rappresentato dal Macbeth di Giuseppe Verdi; eseguito nella sua forma parigina del 1865 racchiude quindi tutte le aggiunte fatte dall’autore in occasione del debutto al Théâtre Lyrique della capitale francese rispetto alla prima versione che vide proprio in Firenze la città di elezione al Teatro La Pergola nel 1847.
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Macbeth rappresenta il primo ed importante approccio del Cigno di Busseto a William Shakespeare per il quale ha una innata predilezione; in quest’opera Verdi si basa esclusivamente sulla propria visione del poeta inglese a differenza dei due capolavori successivi Otello e Falstaff in cui la mano sapiente di Arrigo Boito sarebbe stata un ottimo completamento vista la sua profonda conoscenza e prospettica shakespeariana; ma nel 1847 Boito ha solo un anno e per “Beppino” il richiamo inglese è forte tanto da farlo inferocire in modo veemente dopo la prima parigina, in cui fu accusato di non avere troppo familiare il poeta inglese; in una lettera al suo editore francese Escudier così sfoga la sua rabbia: «… può darsi che io non abbia reso bene il Macbeth, ma che io non conosco, che io non capisco e non sento Shakespeare, no; per Dio, no. È un poeta di mia predilezione, che ho avuto fra le mani dalla mia prima gioventù e che leggo e rileggo continuamente.»
Tanto è l’amore per Shakespeare che è interessante capire come lo stesso compositore fornisce illuminanti spiegazioni al Varesi - primo interprete del ruolo eponimo - che rappresenta un momento molto importante del melodramma italiano: la nascita del cantante attore; ne riporto uno stralcio: «… Insomma ho più piacere che servi meglio il poeta del maestro. Dal primo duettino tu potrai cavare molto partito (meglio che se fosse una cavatina). Abbi bene sott'occhio la posizione, che è quando s'incontra nelle streghe che gli predicono il trono. Tu resti a tale annunzio sbalordito ed atterrito; ma ti nasce nello stesso tempo l'ambizione di arrivare al trono. Perciò il principio del duettino lo dirai sotto voce, e bada di dare tutta l'importanza ai versi: Ma perché sento rizzassi il crine? Bada bene ai cenni, agli accenti al pp e f......... accennati nella musica.»
Tutta la fase compositiva di Macbeth è densa di scambi epistolari che hanno arricchito il carteggio verdiano e si può dire che certamente nessun'altra opera ha ricevuto da lui così attente ed ammirevoli cure; la venerazione che Verdi ebbe per Shakespeare fin dalla prima gioventù è un aspetto fondamentale per comprendere la sua poetica teatrale dove si nota il primo importante esempio di ricerca di una drammaturgia anticonvenzionale, votata al realismo psicologico dei personaggi.
In una rappresentazione in forma di concerto questo può andare in secondo piano, a meno che non ci sia Riccardo Muti alla direzione musicale; può piacere o non piacere, ma senza dubbio ha il gran pregio di saper prendere dalle voci e dagli strumenti il meglio che questi possono dare per esaltare appieno il carattere e le potenzialità degli interpreti, convogliandoli sul binario intenzionale dell’autore; le sonorità sono corroboranti e sanno ben mettere in evidenza i vari stati d’animo e le situazioni drammaturgiche; i tempi ricalcano anch’essi le esigenze della partitura ed assecondano le voci in maniera ottimale sì da fondersi in maniera sublime grazie ad un gesto che cattura spettatore ed interprete e li porta nella dimensione onirica dell’opera; dalla quarta fila è stato possibile percepire con forza tutto questo e quella sensazione descritta all’inizio di sentirsi toccati dalla musica laddove si percepisce al meglio la vibrazione, non è mai mancata per tutta la serata e prova ne è stata l’ovazione del pubblico fiorentino che per più di dieci minuti alla fine ha letteralmente invaso la sala del Teatro con scroscianti applausi e numerose chiamate alla ribalta.

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Nel ruolo eponimo il baritono Luca Salsi si è egregiamente difeso nella resa complessiva del personaggio; a mio avviso non siamo in presenza di un vero baritono verdiano vuoi per volume e per capacità di gestione della voce specialmente in acuto; a volte sembra che lo sforzo prodotto nel realizzare la nota sia decisamente sproporzionato alla resa uditiva ed anche la posizione della bocca all’atto dell’emissione dell’acuto tende più ad emulare il buon Leo Nucci che non a trovare una sua identità ben precisa, con il risultato di opacare la zona più impervia del rigo dove il suono spesso tende ad ingolarsi perdendo proiezione e luminosità; visione la mia forse non corrispondente al risultato del consenso del pubblico, ma il critico osserva, nota e nel suo esprimersi giustifica le proprie affermazioni come ho fatto io; ragione o torto? Ai posteri l’ardua sentenza.
Decisamente in piena forma vocale il basso Riccardo Zanellato che ha delineato un Banco di lusso; elegante ed elegiaco ha saputo trasfondere nel suo canto dolcezza, regalità e poesia con ottime dinamiche di suono ed un perfetto legato che si sono fatte vive nella grande scena del secondo atto Studia il passo o mio figlio…. Come dal ciel precipita; qui la voce è stata di grande servizio alla parola, ma non solo: ha saputo regalare tutte quelle emozioni e tutte quelle sensazioni che il personaggio vive in quel momento in cui sente la morte addosso.
Vittoria Yeo è stata una Lady Macbeth intelligente e di grande pregio; dico questo premettendo che a mio avviso al momento la sua vocalità ancora non è propriamente adatta al ruolo soprattutto per quello che riguarda la zona più grave della gamma sonora; in acuto ben si è difesa ed ha trovato quella polpa sonora tale da farci percepire appieno la perfidia del personaggio; la sua intelligenza la attribuisco al fatto che pur ancora non completamente matura per la parte non ha cercato di forzare nulla della sua vocalità; ha saputo però  ben gestire le note gravi con la naturalezza della sua voce, ma soprattuto è stata brava a trovare quel giusto piglio nel dare pieno senso alla parola scenica; a mio avviso l’aria in cui si è espressa al meglio è stata quella del primo atto Ambizioso spirto… Vieni t’affretta: voce, emozione e dizione si sono fuse in un risultato davvero encomiabile frutto di studio e di intelligenza.
Corretto e puntuale il Macduff di Francesco Meli con voce squillante e luminosa.
Tutte le parti di fianco meritano un plauso ed un encomio per preparazione e per dizione che mettono in evidenza uno studio ed un approccio molto serio e meticoloso; alcuni sono solisti in carriera: Dama di Lady Macbeth Antonella Carpenito, Malcom Riccardo Rados e Medico Adriano Gramigni; gli altri fanno parte del glorioso coro del Maggio: Domestico di Macbeth Vito Luciano Roberti, Sicario Giovanni Mazzei, Un Araldo Egidio Massimo Naccarato, Prima Apparizione Nicolò Ayroldi, Seconda Apparizione Leonardo Colesanti, Terza Apparizione Lucrezia Tacchi.
Coro glorioso anche questa sera come sempre preparato e diretto dal M° Lorenzo Fratini; ottime le voci femminili nei quadretti delle streghe cui lo stesso Verdi dette molta importanza: «… Abbiate per massima che i roles di quest’opera sono tre, e non possono che essere tre: Lady Macbet, Macbet sic! - il Coro delle Streghe. Le streghe dominano il dramma: tutto deriva da loro; sguajate e pettegole nel primo atto; sublimi e profetiche nel terzo. Sono veramente un personaggio ed un personaggio della più alta importanza…» (lettera a Escudier dell’ 8 febbraio 1865). Ma anche la sezione maschile ha saputo dare il meglio di sé nelle grande scena del secondo atto con Banco per poi fondersi con le altre sezioni nel finale primo e nel finale secondo in un’amalgama sonora da sogno, densa di sfumature e con una tavolozza di colori che ha saputo dipingere con sapienza ogni parola di Francesco Maria Piave ed ogni nota verdiana.
Inutile dire cosa non si sia vissuto in quel Teatro dopo le ultime parole dell’opera Prode eroe egli è…; uno tsunami di felicità che ha restituito al palcoscenico tutte le emozioni che lo stesso ci ha donato in questa memorabile serata fiorentina.

Crediti fotografici: Pietro Paolini Terraproject Contrasto per il Maggio Musicale Fiorentino - Teatro dell'Opera di Firenze
Nella miniatura in alto: il direttore Riccardo Muti
Al centro: Muti e Luca Salsi (Macbeth)
Sotto: Muti e Riccardo Zanellato (Banco)






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