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Andata in scena con molto successo a Cervia quella che viene definita l'Opera delle opere

Aida nella Piazza Garibaldi

servizio di Edoardo Farina

Pubblicato il 08 Agosto 2018

180808_Cervia_00_Aida_RaffaellaBattistini_phDanieleAngeliniCERVIA (RA) - Tra le proposte concertistiche estive della Romagna, organizzata dall’Associazione “La Pomme” e in collaborazione con il Comune di Cervia, nella Piazza Garibaldi il 4 agosto 2018 è andata in scena Aida di Giuseppe Verdi, adeguatamente allestita per i celebri quattro atti su libretto del poeta e scrittore Antonio Ghislanzoni, basati su un soggetto originale dell'archeologo francese Auguste Mariette, a cui il nome è legato, ma anche alle revisioni di La forza del destino e del Don Carlo.
Opera dal trionfo per antonomasia, trae origine dal kedivè d'Egitto Isma'il Pascià il quale commissionò un inno a Verdi per celebrare l'apertura del Canale di Suez nel 1868 offrendogli un compenso di 80.000 franchi; inizialmente il compositore rifiutò sostenendo che non era in uso scrivere musica d'occasione e circostanza, trovando però in seguito la richiesta considerevole di attenzione e accettando solo quando pervenne l'invito a comporre un'opera per l'inaugurazione del nuovo teatro della capitale dopo che l’egittologo Auguste Mariette mandò il 27 aprile 1870 uno schema di libretto su un soggetto egiziano a Camille du Locle, direttore dell'Opéra-Comique di Parigi, scrivendo: «Ciò che il Viceré vuole è un'opera egiziana esclusivamente storica. Le scene saranno basate su descrizioni storiche, i costumi saranno disegnati avendo i bassorilievi dell'alto Egitto come modello.»
Aida va in scena al Teatro dell’Opera del Cairo la sera del 24 dicembre 1871 sotto la direzione del contrabbassista Giovanni Bottesini, raggiungendo un effetto sensazionale soprattutto nell’esecuzione della celebre marcia, scaturendone una autentica ovazione. Verdi non è presente al debutto ma si guadagna il prestigioso titolo di Commendatore dell’Ordine Ottomano. Un anno dopo ha luogo la “prima” italiana nella pomposa cornice del Teatro alla Scala di Milano, la sera dell’8 febbraio 1872, diretta dal compositore Franco Faccio.
L'azione ha luogo a Menfi e Tebe all'epoca della potenza dei faraoni; Radamès, un valoroso comandante militare, viene incaricato di contrastare l’invasione dell’esercito etiope. E’ innamorato di Aida, una loro schiava, portata in Egitto, dove però nessuno conosce la sua vera identità; Aida, fin dall'inizio dell'opera si mostra combattuta fra l’amore per Radames e l’affetto per il proprio popolo. A dividerli non è solo una questione sociale, Radames è anche il futuro erede al trono egiziano essendo promesso ad Amneris, la figlia del faraone. Quando durante una seconda guerra viene catturato Amonasro, Re d’Etiopia e padre di Aida, questi convince la figlia a usare il suo ascendente sull’amante. Da prigioniero, Amonasro spia un incontro dei due innamorati durante il quale Radamès confida all'innamorata etiope il luogo e la prossima mossa dell’esercito egiziano e in quale maniera attaccheranno gli etiopi. In tal modo cade incautamente nel tranello e rendendosi conto di avere tradito la sua patria si convince a consegnarsi nelle mani dei sacerdoti per essere giudicato. Condannato a morte dai sacerdoti, viene sepolto vivo, nonostante le suppliche da parte di Amneris di discolparsi; dentro al suo sepolcro trova inaspettatamente Aida che coraggiosamente affronta la tragica sorte con lui. 
Terz'ultimo capolavoro verdiano, è un’opera difficile da mettere in scena, senza nulla togliere alle precedenti, soprattutto per il fatto di porre al direttore e al regista un falso dilemma, come già sostiene il critico Maurizio Maravigna.  La versione  popolare vuole infatti sia un melodramma plateale: marce, animali, sfingi e obelischi di cartapesta ove le edizioni areniane rispondono quasi sempre ad una determinata tipologia di lettura, mentre i musicologi invitano a cercare diversamente la sua bellezza nelle pagine più intimistiche e nella raffinata orchestrazione. Quale visione prediligere? In realtà la scelta non si pone, basterebbe rileggere Massimo Mila, uno dei più importanti storici della musica, vissuto nel Novecento e riflettere sul fatto che, dopo la trilogia popolare (Rigoletto, Trovatore e Traviata), il “cigno di Busseto” si avventura per i sentieri della Storia e, nello stesso momento in cui riduce i confini tra le forme chiuse, si chiede come coniugare individuale e collettivo, come rappresentare l’intersezione tra pubblico e privato. Insomma, si era messo su una strada - dove aveva già incontrato il Don Carlo - che lo avrebbe portato alla continua pienezza di vita delle successive due opere, di contenuto shakespeariano (Otello e Flastaff). Il contesto, in questo Verdi, non è un elemento secondario, neppure se si tratta di un Egitto di fantasia, come precisa persino la sinfonia d’apertura: non ci sono solo il tema di Aida e di Amneris, ma anche quello degli uomini di Dio, ove il conflitto tra individuo e ragione di stato, o autorità ecclesiastica, è posto a epigrafe.
Profondamente commossi dalla stessa figura e del suo destino di vittima,  prigioniera ed etiope per giunta, riesce egregiamente a coinvolgere nel dolore dei vinti: così, la grande sfilata dell’atto secondo rivela la sofferenza di un popolo sconfitto, non rimanendo certamente solo esteticamente decorativa.

180808_Cervia_01_Aida_RaffaellaBattistini_phDanieleAngelini180808_Cervia_02_Aida_LorenzoBizzarri_phDanieleAngelini180808_Cervia_03_OmarKamata_phDanieleAngelini

A Cervia, la brava Raffaella Battistini, nel ruolo di Aida, soprano dal sostegno corposo, si è perfettamente collocata nella parte con grande forza comunicativa, vera e propria dominatrice della scena, come il coreano Munkyu Park, in Ramfis e il Re, Antonio Marani, in possesso - quest'ultimo - di una voce potente ricordando con rispetto la tipologia da celebri bassi del passato; poi Amonasro, interpretato dal baritono Omar Kamata; ottima espressione anche da parte del tenore ucraino Vitaliy Kavalchuk, nelle vesti di Radamès, riuscendo a esprimerne la tipologia in modo assai convincente.
Eccellenti tutti gli altri cantanti/attori, quali la Sacerdotessa, soprano Chiara Mazzei, il mezzosoprano Tiziana Carraro nei panni di Amneris, figlia del Re/Faraone e Roberto Carli tenore nel ruolo del Messaggero.
Infine coro e musicisti sempre all’altezza del contesto senza mai dare segni di cedimento possibili soprattutto per la durata considerevole dello spettacolo, oltre tre ore con due intervalli. Lorenzo Bizzarri ha diretto ancora una volta l’Orchestra “Città di Ferrara”, associazione autonoma di musicisti nata nel 1992 con grande sicurezza servendosi di una dinamica sonora difficile per via dell’esecuzione all’aperto ma riuscendo a curare con estrema attenzione ogni sfumatura: il fraseggio degli archi morbido e vellutato, i pianissimi appena udibili. Di tanto in tanto l’ascoltatore si stupisce per la bellezza di certi passaggi che fino a quel momento non aveva neppure notato e apprezza la sapienza della scrittura orchestrale.
Le scene di massa e tutti i momenti eroici fortemente in conflitto ma connessi tra loro, ne hanno creato un effetto finale isolato, come fossero due blocchi autonomi e distinti, quasi analoghi alle “due anime” di Aida.
E ancora una volta la partecipazione del Centro Studi danza e Arti Coreografiche di Gambettola, coordinati da Eleonora Pandolfini e Giorgia Muratori, ha destato grande attenzione per il sincronismo e precisione, nonostante la giovane età dei ballerini, tutti in grado di dimostrare impegno e passione. Il palco collocato nella piazza non propriamente adatto al teatro musicale o concerto, se mai allo spettacolo di musica leggera oppure al cabare,t e privo della possibilità di montare ampie scene, ha sofferto molto dell’acustica autentica costringendo cantanti e attori ovviamente all’amplificazione anche se di ottima qualità; cosi come è venuto a mancare nell’ambiente quell’atmosfera per così dire intimistica indispensabile per entrare nel frame formale del tempo non riuscendo a creare l’indispensabile coinvolgimento emotivo, ma non compromettendo comunque l’esito a ogni modo sfarzoso riguardo quella che normalmente viene considerata un po’ l’Opera delle opere.

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Pubblico abitudinario, sempre il medesimo fedele a se stesso e conforme alla passione per il melodramma, ha risposto favorevolmente riguardo il capolavoro più ottemperato e per tradizione legato immancabilmente ai programmi decennali nel tempio della lirica per eccellenza, l’Arena di Verona. La regia affidata alla grande capacità di Alberto Umbrella, ha contribuito a rendere intarsi straordinari, esempio di dolore e lirismo in cui la meravigliosa attitudine compositiva di Verdi fa onore con superba maestria fondendosi abilmente nel supporto strumentale e coreografico.                                         
Giuseppe Verdi, considerato  il musicista "rivoluzionario”  per eccellenza, dispone di rigore  autentico dalle pagini forti e ribelli, spesso connesse con la situazione politica non solo dell’Italia ma di tutto il suo tempo. Nelle sue note si rivelano verità profondamente sofferte, sentimenti umani universali, seguendo le precise regole del melodramma qui messe bene in relazione  e musicalmente valorizzate, poi il merito va anche ai  grandiosi costumi a cura di Maria Teresa Nanni e Laura Donini, consentendo allo spettatore di immergersi nell’evento assaporando i caratteri dei personaggi e coinvolgendolo nella storia che si sta narrando.  Buona sinergia infine tra il “Coro Maria Callas” di Cesena e il “Coro Amintore Galli” di Rimini tra sacerdoti, sacerdotesse, ministri, capitani, soldati, ufficiali, schiavi e prigionieri etiopi, popolo egizio, diretti rispettivamente dai maestri Lorenzo Lucchi e Matteo Salvemini, in grado di sorreggere egregiamente l’orchestra e tutti i protagonisti in un progetto assai impegnativo e di spessore, dopo i due precedenti lavori verdiani svoltisi nell’ambito della passata stagione del Teatro Bonci di Cesena,  La traviata e Un ballo in maschera, perfettamente riusciti grazie ad un cast dotato di alta professionalità e approfondita conoscenza dell’Opera dell’intramontabile secolo romantico.

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Crediti fotografici: Daniele Angelini fotografo
Nella miniatura in alto: il soprano Raffaella Battistini (Aida)
Sotto in sequenza: ancora la Battistini; il direttore Lorenzo Bizzarri; il baritono Omar Kamata (Amonasro)
Al centro: scene e costumi dell'allestimento cervese in un'istantanea di Daniele Angelini
In fondo: i saluti finali del cast fra le ovazioni del pubblico






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