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La terza opera di Giuseppe Verdi ha inaugurato con successo la Trilogia d'Autunno

Nabucco molto molto bello

servizio di Attilia Tartagni

Pubblicato il 24 Novembre 2018

181124_Ra_00_Nabucco_SerbanVasile_phZaniCasadioRAVENNA - È un Nabucco biblico-archeologico colossale che oltrepassa i confini della scena, azzera le barriere dello spazio e del tempo e scatena la fantasia ad aprire la "Trilogia d’Autunno 2018" del Teatro Alighieri. La prevaricazione del potere sull’individuo, il filo conduttore delle tre opere in programma, si configura in ogni tempo con la falsità dei cortigiani ossequiosi e delle donne di facili costumi impersonati dai DanzActori Trilogia d’Autunno, da coristi e figuranti,  in una sorta di orgiastico abbandono in Nabucco e Rigoletto, mentre in Otello diventa gioco di trame e  occulti raggiri. All'Alighieri di Ravenna l’opera lirica nell’ideazione e regia di Cristina Mazzavillani Muti si afferma davvero come somma di tutte le arti muovendo sulla scena una massa di persone nei costumi sapienti di Alessandro Lai. Altra affinità delle  tre opere è l’utilizzo (o l’assenza) delle moderne tecnologie.  
Nabucco, che ha debuttato il 23 novembre 2018 e vi ritorna il  27 e il 30 alle ore 20,30, è interamente innervato dalle tecnologie capaci di mutuare, trasformare e animare icone del patrimonio figurativo delle civiltà mesopotamiche in un magico “transfert”, mentre le parole del profeta Geremia a chiusura di ogni atto sanciscono il carattere biblico dell’opera.
Chi ha assistito come me a qualche prova, sa che nel Nabucco, come in Rigoletto e in Otello, nulla è improvvisato, ogni gesto, ogni suono, ogni resa canora è frutto di una scelta maturata nel paziente confronto quotidiano in un work in progress che, dopo infinite audizioni e prove, ha visto all’ultimo gli elementi assemblarsi armonicamente in una sorta di mosaico virtuoso che è l’identità attuale dell’opera, una pratica che richiama la fabbrica dell’opera verdiana (vedi Pougin, Vita aneddotica di Verdi, ed.Passigli ).
Fin dal suo esordio come regista nel 2001, Cristina Mazzavillani Muti ha imboccato questa strada maestra: da una parte la paziente e capillare costruzione giornaliera, tessera dopo tessera, dall’altra  la collaborazione con lo straordinario team creativo formato dal light designer Vincent Longuemare, dal visual designer Davide Broccoli, dal consulente per le immagini Paolo Micicché e dal sound designer Alessandro Baldessari nonché dal già citato costumista Lai, in una fusione di concretezza  affondante le radici nel passato; e di astrazione giocata su elementi impalpabili che accrescono la magia non solo visiva dell’opera.
Finito l’ultimo atto, la scena svela i suoi incantesimi nelle poche quinte calate dall’alto intorno a una lunga scalinata, simbolo della arrampicata al potere, ma anche della sua perdita. Le tecnologie ci possono portare dovunque evitando quei lunghi e rumorosi intermezzi capaci di spazientire il pubblico più disciplinato, che incidono sui ritmi narrativi.
Dunque il pubblico è preso da un viaggio emozionante, una sollecitazione sensoriale che nulla toglie alla possente partitura di Verdi che prelude ai successi seguenti, rispetta i  versi di Temistocle Solera e la drammaturgia musicale del compositore ventinovenne appena uscito dal periodo più critico della sua esistenza di uomo e di artista e incamminato verso una straordinaria carriera. Quelle tecnologie, non prevaricano né musica né canto, lo avvolgono come liquido amniotico salvaguardando e rendendo più fruibili i valori musicali, canori, etici ed estetici che ne sono il fondamento quasi riletti in una visione contemporanea.  «In Nabucco c’è già tutto il Verdi che verrà dopo - spiega la Mazzavillani Muti - l’amore per la coralità e l’amore per il personaggio.»
Verità assoluta: Nabucco ci affascina con le sue singolarità vocali, ma anche per gli straordinari momenti corali eseguiti con appassionata professionalità dal Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” (maestri del coro Martino Faggiani e Massimo Fiocchi Malaspina) configurando il dolore del popolo d'Israele oppresso e l’arroganza dell’oppressore. Dopo “Gli arredi festivi”, non vi è aria, recitativo, duetto o concertato che non si concluda a vox populi, tipico del primo Verdi ma forse anche riconducibile al clima risorgimentale di quegli anni '40 dell’Ottocento. Tutti conosciamo il coro del “Và pensiero”, qui sussurrato da un popolo dolente immerso in un clima lattiginoso solcato dalle onde del rimpianto di cose perdute che consolano e muovono alla speranza, l’ennesimo momento di pathos collettivo in questo umanissimo Nabucco prodotto dal teatro ravennate in collaborazione con il Comunale "Claudio Abbado" di Ferrara.   

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Nel primo importante cimento Verdi delinea la potente macchina teatrale e i personaggi come pilastri portanti,  primo fra tutti Nabucco a cui il baritono rumeno Serban Vasile, già apprezzato nel ruolo di Macbeth nell’Accademy del M° Riccardo Muti, regala la sua ricca vocalità più nella sua parabola dolente che in quella di conquistatore arrogante fino a sfidare Dio.
Abigaille è una talentuosa Alessandra Gioia che dispiega in scena la sua voce di soprano drammatico di agilità, spingendo nelle asperità della sua smodata ambizione, ma stranamente tenera quando rammenta di essere stata innamorata di Ismaele non ricambiata. Difficile, dopo averla vista impersonare la schiava usurpatrice con tanta convinzione, ipotizzare un’altra Abigaille.
Fenena, interpretata dal mezzosoprano polacco Lucyna Jarzabek, le fa da contraltare, tutta dolcezza nel duettare d’amore ricambiato con Ismaele interpretato efficacemente dal giovane tenore triestino Riccardo Rados, quanto mai convincente nell’aria del sacrificio laddove “fugge l’alma e vola al ciel!”,  bel timbro, emissione priva di sbavature, pura luce canora femminile irradiata sul palcoscenico.
Incombe onnipresente, ieratico e carismatico, il gran pontefice degli Ebrei del basso russo Evgeny Stavinscki, un Zaccaria ineccepibile da annoverare fra i migliori in questo ruolo.
Ottimi interpreti, dunque, bene affiancati da Giacomo Leone (Abdallo), Renata Campanella (Anna) e Ion Stancu  (Gran Sacerdote di Belo).
L’Orchestra Giovanile Cherubini è all’altezza del compito, brillantemente diretta da Alessandro Benigni in sostituzione del dimissionario Pietro Borgonovo.
Ci sono in questo Nabucco momenti sbalorditivi, specie nel primo cruciale atto quando,  preceduto da una banda formata da talentuosi studenti del Conservatorio ravennate, Nabucco trionfatore arriva su un cavallo dorato e dispone il rogo del tempio. Nei giardini pensili Abigaille sta abbarbicata al trono con la corona di Nabucco, contornata di donne lascive e cortigiani melliflui.

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Ai propri piedi ha un adoratore che striscia come un serpente (l’attore ravennate Ivan Merlo in una delle sue pregevoli metamorfosi), mentre ella  è intenta ad accarezzare il capo di un vero e preoccupante boa constrictor posizionato sulle spalle di una cortigiana, altro brivido mai provato a teatro. Per inciso, questo di Abigaille è lo stesso trono in cui si abbandona il Duca di Mantova fra un’avventura e l’altra nel Rigoletto e che Otello (nell'omonima opera) dovrà abbandonare con la mente sconvolta dall’idea di essere tradito da Desdemona.
C’è il fulmine scagliato su Nabucco e l’autodistruzione dell’idolo di Delo, momenti strategici in cui la sonorità si scatena. Qualcuno forse obietterà che le voci sono amplificate, gli effetti a volte un po’ innaturali e che l’opera va fatta come da tradizione. Ma la tradizione non può essere pedissequa ripetizione dell’ultima recita mal riuscita, bisogna pure osare e rinnovarsi specie quando, come in questo caso, si aggiunge valore a valore.
Non dimentichiamo quanto Verdi amasse sperimentare giocando sulla spazialità del suono (vedi il "Miserere" del Trovatore) e introducendo marchingegni atti a dare veridicità all’azione (macchina del vento). In definitiva questo è un Nabucco bene eseguito e interpretato che si fa guardare con un piacere nuovo, quasi come un film, un’opera che l’approccio contemporaneo rende più moderna e affine ai nostri gusti, da non perdere (a Ravenna è tutto esaurito ma poi andrà al Comunale di Ferrara) perché si tratta di un grande sorprendente spettacolo, oltre che di una esperienza culturale preziosa, quale è sempre, anche se vista tante volte, un’opera come questa.

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Crediti fotografici: Foto Zani-Casadio per il Teatro Alighieri di Ravenna
Nella miniatura in alto: il baritono rumeno Serban Vasile (Nabucco)
Sotto: ancora Vasile e il soprano Alessandra Gioia (Abigaille)
Al centro: una bella istantante di Zani-Casadio sull'allestimento ravennate
Sotto: il Coro durante il "Va' pensiero"






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