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L'opera di Richard Wagner curata dal regista Paul Curran accolta con favore dal pubblico fiorentino

Olandese Volante molto suggestivo

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 14 Gennaio 2019

190114_Fi_00_OlandeseVolante_FabioLuisiFIRENZE - Il tema della redenzione tramite il sacrificio di una donna rappresenta per Richard Wagner un motivo di stimolo e di fascino che emerge con forza nell' Olandese Volante che di fatto è, per il compositore tedesco, un lavoro di svolta nel suo percorso compositivo. Qui troviamo illustrate tempeste interne ed esterne in maniera viva e pregnante e non è così distante pensare ad una metafora autobiografica facendo un parallelo con l'esperienza vissuta da Wagner stesso durante il viaggio compiuto da Riga a Parigi nel 1839; egli infatti si era appena dimesso dalla carica di direttore d'orchestra e, come di consueto, i creditori erano intenti alla ricerca della soddisfazione del loro avere. La fuga era dettata dalla speranza di vedere la sua opera, il Rienzi, rappresentata nella capitale francese e tale loco era sicuro dall'assalto dei creditori.
Il viaggio assieme alla moglie Minna ed al cane Robber si rivelò pericoloso per tanti motivi, ma in primis proprio per la clandestinità con cui fu affrontato a causa del ritiro del suo passaporto. Ecco che non desta meraviglia il fatto che il suo sentire divenisse sensibile ai racconti che udiva dai marinai superstiziosi, tra i quali emergeva anche quello dell'Olandese Volante già noto peraltro al compositore.
Il "piccolo porto norvegese", dice Wagner nel suo diario di viaggio e negli appunti autobiografici del 1842 e del 1866, fu raggiunto attraverso un passaggio "fra le rocce" le cui "immense pareti di granito rimandarono l'urlo della ciurma con cui questa gettò l'ancora e issò la vela"; il breve ritmo di quel grido "prese presto forma nel tema del canto dei marinai del mio Olandese Volante", ed egli parla anche del suo "famoso viaggio fra le scogliere norvegesi" in una lettera del 1843 indirizzata allo scenografo del Teatro di Dresda, Ferdinand Heine. "Sandvika" o "Sandviken" è una parola molto comune in Norvegia per indicare un'insenatura di sabbia. I luoghi descritti non corrispondono alla realtà geografica ed è quindi lecito chiedersi fino a quale punto si deve all'esasperata condizione emotiva del compositore e alla sua ricettività artistica, l'aver ricamato sui fatti geografici, tenendo presente il terrore reale che il ruggito del mare in tempesta poteva destare nell'animo di un abitante di terraferma.

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La svolta compositiva wagneriana si concretizza anche per il fatto che la storia dell’Olandese volante rappresenta il soggetto del dramma che segnò come egli stesso dice "...l’inizio della 'carriera di poeta' e il definitivo abbandono di "quella del confezionatore di libretti d’opera"; la leggenda è tramandata in molte versioni differenti, ma per lui fu decisiva la versione che ne dà Heinrich Heine nelle Memoiren des Herren von Schnabelewopski (Memorie del signor von Schnabelewopski, 1834): in questa versione autenticamente drammatica agli occhi del musicista sono raccolti pressoché al completo i motivi costitutivi del testo drammatico wagneriano. Ecco che nasce anche il concetto, seppur ancora in embrione, del leitmotiv. Nel 1851, nello schizzo autobiografico Una comunicazione ai miei amici, Wagner allude proprio alla presenza nel Vascello fantasma - sono passati dieci anni dalla sua composizione - di rudimenti della tecnica del leitmotiv, del "motivo conduttore", senza peraltro usare il termine (che fu coniato decenni più tardi da Hans von Wolzogen).
«Mi rammento di avere abbozzato versi e melodia della ballata di Senta nel second’atto prima ancora di procedere alla stesura vera e propria del Vascello fantasma; inconsciamente collocai in questo brano il germe tematico della musica dell’intiera opera: in esso era concentrata l’immagine dell’intiero dramma così come appariva alla mia mente; e quando, a lavoro compiuto, si trattò di dargli una denominazione, fui tentato di chiamarlo «ballata scenica». Mentre attendevo alla stesura della composizione, vidi che l’immagine. tematica che avevo concepito si andava involontariamente dipanando come una rete perfetta sopra tutto quanto il dramma; non mi restava altro da fare che sviluppare appieno e secondo le loro stesse potenzialità i vari nuclei tematici disseminati nella ballata, e tutte le tinte dominanti di questo mio poema mi si presentavano davanti sotto fattezze tematicamente nitide.»
Solo qualche suggestione per entrare in un mondo che, anche per il sottoscritto, ascolto dopo ascolto, diventa sempre più intrigante ed instilla vieppiù il desiderio forte di cesellare le conoscenze di questo autore che fino a pochi anni fa percepivo molto distante.

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Il Teatro del Maggio Musicale ha inserito questo titolo nella programmazione dell'attuale stagione lirica con una produzione interamente nata in casa fiorentina che vede come autori della parte rappresentativa il regista Paul Curran, le scene di Saverio Santoliquido, i costumi di Gabriella Ingram, le luci di Davin Martin Jacques e le realizzazioni video di Otto Driscroll. Tendenzialmente tutta l'opera è avvolta da tinte piuttosto cupe; le proiezioni video, didascaliche per il primo atto rappresentanti il mare prima in tempesta e poi in bonaccia, virano verso un nonsense surreale del terzo atto dove la componente macabra prende il sopravvento nel mostrare immagini più consone per un film horror che non per un dramma teatrale.
Le scenografie e la regia mirano alla riproposizione molto aderente al libretto wagneriano con una doviziosa cura degli atteggiamenti e delle interazioni tra i protagonisti; il tutto scorre fluido e lineare e risulta di grande effetto emozionale.
La scena finale è di grande suggestione: in essa, dopo il suicidio di Senta, si vede il suo riapparire sulla scogliera con la mano levata nell'atto di incrociarla con quella dell'Olandese che riappare dal centro del palcoscenico avvolto da un fascio di luce bianco anch'egli con la mano levata in direzione del suo amore fedele come per riunirsi a lei nell'eternità del mondo. Mi piace inoltre ricordare un particolare che fa del primo Atto un racconto circolare dove al punto di partenza si ricongiunge per incanto la sua chiusura: all'inizio le vele spiegate vengono ritirate per la tempesta imminente durante il Coro di avvio e queste vele, quando riappare la calma dei flutti che rende sicura la partenza per la casa di Daland, vengono nuovamente dispiegate con quell'incessante moto canoro del coro Ho! Johe! Hallohe! Hallohe!
Proprio dal personaggio di Daland parte la mia disamina sulle interpretazioni vocali: Mikhail Petrenko è colui che incarna il navigatore norvegese padre di Senta che ha saputo metter in campo il personaggio che oscilla tra lo scaltro e l'opportunista in maniera credibile: la voce non troppo grande corre agevolmente sopra la buca orchestrale e la ricchezza di proiezione fa emergere un bronzeo colore.
La figlia Senta trova per voce di Marjorie Owens una validissima interprete che non fatica a esaltare l'aspetto fedele e passionale del suo amore mettendo bene in luce i contrasti del cuore per un amore dapprima promesso al cacciatore Erik. Pregevole intonazione, ottime dinamiche di suono, veemenza e dolcezza fanno parte del paniere delle sue doti vocali che sono state ben messe in luce da una interpretazione eccellente.

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Berhnard Berchoud è stato un preciso Erik nonostante la voce non goda di particolare luminosità; è riuscito comunque a restituire egregiamente il personaggio deluso e ferito dalle promesse d'amore con correttezza musicale.
Il title rôle è stato appannaggio di Thomas Gazheli che ho apprezzato per la densità della voce e per la capacità di saper gestire fiati, dinamiche ed intenzioni con sopraffina eleganza; scenicamente è sicuro nei movimenti e nelle interazioni con gli altri personaggi e la sua grande aria di sortita è stato un racconto commovente in cui le doti vocali si sono espresse convincendo appieno il mio orecchio e quello della platea.
Isterica, impettita e piuttosto rigida la nutrice Mary delineata da Annette Jahns la cui vocalità è particolarmente aspra e asciutta, ma ottimamente in tinta con il momento del dramma.
Completava il cast un timido Timoniere di Daland che con Timothy Oliver manifesta un'emissione un po' limitata che non trova grande amalgama con gli altri cantanti qui citati.
Il Coro del Maggio guidato dal M° Lorenzo Fratini ed il Coro Ars Lyrica di Pisa preparato dal M° Marco Bargagna hanno dato vita ad un ensemble pregno di potenza, forza e prestanza tali da completare un quadro vocale di notevole spessore; i colori sono sempre ben calibrati con la buca e con le dinamiche della partitura ben assecondate e approfondite dal M° Fabio Luisi che sin dalla sinfonia ha impresso un carattere nobile, ma al contempo descrittivo ed esaltante delle singole sezioni orchestrali. Il cenno delicato ma al contempo sicuro ha donato sintonia tra buca e palco amalgamando le dinamiche senza che l'una soverchiasse l'altra. Anche la scelta dei tempi ha sempre seguito quel fare narrativo e didascalico che ha accompagnato cantanti, musicisti e ascoltatori nel grande viaggio di un uomo che vive per trovare un amore eterno e fedele fino alla morte come quello che ciascun musicista o appassionato va cercando in quella forma sublime d'arte ch’è la musica. (Recensione riferita alla recita di domenica 13 gennaio 2018).

Crediti fotografici: Michele Monasta per il Maggio Musicale Fiorentino - Teatro dell'Opera di Firenze
Nella miniatura in alto: il direttore Fabio Luisi






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