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Buono e ricco di suggestioni lo spettacolo d'apertura della stagione lirica del Teatro del Giglio

Tosca nella Roma lugubre

servizio di Athos Tromboni

Pubblicato il 19 Ottobre 2019

191019_Lu_00_Tosca_DariaMasiero_phAndeaSimiLUCCA - Teatro del Giglio gremito per il debutto della stagione lirica 2019/20 con la Tosca di Giacomo Puccini. Dopo i saluti dell'amministratore unico, Giovanni Del Carlo, e del sindaco, Alessandro Tambellini, il nuovo allestimento coprodotto con il Teatro di Pisa e con il Goldoni di Livorno ha svelato quel che il regista, scenografo e costumista Ivan Stefanutti aveva dichiarato in premessa: «In una Roma lugubre e per niente pittoresca si svolge una vicenda altrettanto nera, quasi gotica, fatta di desideri malsani e tragici epiloghi, dove l'amore è solo un episodio di passaggio. C'è chi si diverte col delitto, e c'è chi lo usa per difendersi.»
Infatti la scena si apre su un altare infiorato al centro, che sembra più un catafalco che la "mensa del Signore" mentre il fondale è completamente nero; sul davanti alte colonne (nere) danno l'accesso a una scalinata nera che rimarrà per tutti e tre gli atti, cambiando destinazione d'uso e prospettiva; e poi transetti laterali che delimitano il percorso entro cui si svolgono le scene. Tutto molto cupo quando nella chiesa di Sant'Andrea della Valle arriva l'evaso Angelotti, che viene riconosciuto dal pittore Mario Cavaradossi e aiutato a nascondersi perché sta arrivando Tosca. Mario! Mario! Perché chiuso? Ma nel frattempo Mario aveva intonato la sua prima aria, Recondita armonia, e il fondale nero si era parzialmente aperto, mostrando l'interno della chiesa, con l'abside affrescato. Da quel momento entra anche la luce, là sul fondo... mentre sul davanti, in prima linea, resta il nero, il «quasi gotico» voluto da Stefanutti e questa scelta scenografica sarà una costante per tutti e tre gli atti. L'effetto visivo crea suggestioni, anche perché il fondale si allarga a tutto campo, e con sovrapposizioni di elementi architettonici (sempre proiettati) dà un senso di tridimensionalità incredibile: i volumi sono percepiti come se si stesse assistendo a un film in 3D su uno schermo dietro le colonne, dietro la scalinata e i transetti. Diventa così un Tosca molto pittorica, grazie anche agli abiti d'epoca (veramente belli) confezionati sempre da Stefanutti e nell'insieme l'occhio è chiamato a godere come se si assistesse a una sequela dei migliori quadri di artisti barocchi, da Caravaggio ad Artemisia Gentileschi, da Guercino a Guido Reni.

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Il merito di questo spettacolo dentro lo spettacolo, che non ha voluto essere «pittoresco» ma è risultato grandemente pittorico, va condiviso fra il regista e i suoi due collaboratori, il visual-designer Ezio Antonelli e il light-designer Marco Minghetti. Il gioco delle immagini sul fondale, immagini non fisse ma mobili, che si ingrandiscono, s'allontanano, si sovrappongono creando prospettive e si colorano proponendo albe, tramonti, cieli minacciosi, scorci di strade e palazzi, statue su colonne, primi piani di santi e fanti, è talmente perfetto e ben congegnato che va elogiato.
Però... però l'impressione è che i tre coautori si siano fatti prendere un po' la mano dalla loro abilità tecnologica, creando una ridondanza di effetti. È, questa, una piccola critica verso un lavoro scenotecnico che si può definire grandioso; e comunque la critica è fatta perché non si dimentichi che a volte la ridondanza può essere distraente e controproducente.
Per quanto riguarda la recitazione, il regista chiede e ottiene una caratterizzazione dei personaggi molto realistica: i cantanti non devono solo cantare, ma recitare, entrare nelle vesti e nell'intimo di Floria Tosca, di Mario Cavaradossi, del barone Scarpia, di Angelotti, del Sagrestano, di Spoletta e Sciarrone. E ottiene quanto chiesto. Bravissimi attori tutti, compreso gli sgherri che Stefanutti ha voluto costantemente in scena insieme a Scarpia, figuranti che mostravano che la prepotenza del potere (il maltrattamento del Sagrestano, la tortura a Cavaradossi, l'irrisione alle apprensioni di Tosca) può far divertire, godere, chi è attratto dal delitto per il proprio piacere: l'effetto è sicuramente convincente e immerge lo spettatore dentro la citata «Roma lugubre»: e qui il regista mostra il tocco geniale di chi sa che il canto e la musica fanno spettacolo creando atmosfere, ma anche il contorno conta eccome. È stata dunque una regia ligia al libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa; e ne ha goduto la musica di Puccini.

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Sul podio della brava Orchestra della Toscana era il maestro Marco Guidarini che ha concertato in maniera puntuale, esaltando (ma senza enfasi impropria) gli scarti umorali dei personaggi e delle situazioni che la musica pucciniana sottende, assistendo e dirigendo cantanti e coro con un gesto e un'attenzione encomiabili; l'apice della sua prestazione, Guidarini l'ha raggiunta nel secondo atto, quello che si svolge a Palazzo Farnese, la dimora del barone Scarpia: ha trovato qui una efficace compenetrazione fra musica, drammaturgia, canto e situazioni emozionali, tale da caricare di intensa drammaticità sia il confronto fra Scarpia e Cavaradossi, sia quello più sanguigno e sanguinolento fra Scarpia e Floria Tosca. È stato in definitiva l'atto più riuscito musicalmente, nello spettacolo visto a Lucca, e (per chi scrive) molto più coinvolgente della ruffiana maestosità del Te Deum (finale atto primo) e dello struggente lirismo dell'addio alla vita di Cavaradossi (E lucevan le stelle, inizio atto terzo). Bravo Guidarini.
Per quanto riguarda i cantanti, protagonista assoluta per canto, recitazione, credibilità del personaggio, coinvolgimento intimo, è stata Daria Masiero nel ruolo del titolo: ha alternato con grazia, convinzione e bravura i momenti in cui doveva essere vezzosa civetta con quelli in cui si dimostrava devota della Madonna, i momenti in cui doveva esprimere tormento e disagio psicologico con quelli in cui manifestava aggressività e determinazione, amore e morte, speranza e disperazione, sensualità e ingenuità; insomma una bella Tosca anche per quella sua vocalità gestita ottimamente. Basti dire che il primo applauso a scena aperta è toccato a lei dopo un Vissi d'arte eseguito molto bene (e si era già a metà dell'opera, le arie precedenti di Cavaradossi e Scarpia erano già eseguite senza reazioni del pubblico).
Onore anche al baritono Leo An (barone Scarpia) il cui canto potente e morbido ha convinto fino in fondo che questo è uno dei suoi ruoli d'elezione. Attore molto credibile, sa come muoversi in scena riempiendola della propria, prorompente personalità artistica. Se la sua accentazione della lingua italiana fosse perfetta, lui sarebbe... perfetto.
Meno entusiasmo ha suscitato il tenore Enrique Ferrer (Mario Cavaradossi), sia nel pubblico, sia in chi scrive: l'aria regina dell'opera, E lucevan le stelle, è stata sì applaudita a scena aperta, ma a noi sono sembrati applausi di cortesia, più che di convinzione, se confrontati con quelli fatti a scena aperta alla Masiero. Poi alla fine dell'opera ha avuto applausi molto meno calorosi di quelli riservati alla stessa Masiero e a Leo An, per i quali si sono sentite, oltre gli applausi, anche le ovazioni. Ferrer sconta una voce affetta da vibrato e se lo squillo è perentorio e la salita all'acuto non mostra difficoltà di sorta, la mancanza delle mezze tinte e una certa uniformità del fraseggio, dove il canto è più declamatorio che melodico, fanno sentire che lui "canta" e non "interpreta". Come dire, fa le note giuste ma sono inespressive.

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Ottimo il Sagrestano di Donato Di Gioia, acclamato al pari della protagonista e del baritono; ottimo anche l'Angelotti di Matteo D'Apolito e un plauso meritato pure a Saverio Pugliese (Spoletta), Marco Innamorati (Sciarrone), Lorenzo Nincheri (Un carceriere) e il melodioso Giovanni Fontana (Un pastorello).
Bravi gli artisti del Coro Ars Lyrica diretti da Marco Bargagna e più che bravi i giovani e giovanissimi del Coro di Voci Bianche del Giglio e della Cappella Santa Cecilia diretti da Sara Matteucci.
Pubblico molto soddisfatto alla fine della recita, che commentava positivamente sciamando fuori del teatro col sorriso stampato sul volto.

Crediti fotografici: Andrea Simi per il Teatro del Giglio di Lucca
Nella miniatura in alto: il soprano Daria Masiero (Floria Tosca)
Sotto in sequenza: Enrique Ferrer (Mario Cavaradossi); ancora Daria Masiero; Leo An (barone Scarpia)
Al centro: la scena suggestiva del Te Deum
Sotto: Leo An e Daria Masiero nel secondo atto dell'opera
In fondo: la scena finale in una bella panoramica di Andrea Simi






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