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La produzione ravennate dell'opera-simbolo di Georges Bizet applaudita anche in Toscana |
Carmen terza piazza al Giglio |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 23 Febbraio 2020 |
LUCCA - La stagione lirica prosegue con Carmen di Georges Bizet proveniente dalla “Trilogia di Autunno 2019” del Ravenna Festival, progetto ideato e a cura di Cristina Mazzavillani Muti. Su questa testata compaiono già due articoli inerenti questo spettacolo (che potete leggere qui e qui) ed in questo mio breve intervento riporto le impressioni del 21 febbraio 2020 per la recita nel Teatro del Giglio di Lucca. A parte uno stordimento iniziale per la scelta ambientale, quello che ha colpito la mia attenzione è stato proprio quel gioco di luci e di colori che hanno ispirato la regia curata dal baritono Luca Micheletti; un ambiente spagnolo sì, ma lontano dagli stereotipi del libretto; cangia infatti la natura della stessa protagonista in “prostituta” d’alto rango nel bordello di Lillas Pasta mirabilmente interpretato dall’attore-mimo Ivan Merlo. Noir et rouge i colori che maggiormente affascinano l’occhio, uniti ad una cura maniacale del gesto scenico e di uno scavo interiore nei personaggi; tra sguardi, movenze e atteggiamenti sembrava quasi di gustare le immagini di un film neorealista; aiutati dalle scene di Ezio Antonelli, le luci di Vincent Longuemare e costumi di Alessandro Lai. Interprete d’eccezione è stata proprio la protagonista, il mezzosoprano Martina Belli, cui non manca né le phisyque du rôle, né una capacità attoriale di tutto rispetto. Sensuale, romantica, aggressiva, maldestra, insolente, ma senza strafare, anzi dando ad ogni gesto e ad ogni parola (sia essa cantata o recitata) quel peso specifico necessario atto a contestualizzare e far emergere il multiforme carattere della sigaraia di Siviglia. Vocalmente ha sfruttato ogni anfratto della sua vocalità per regalare nouances da sogno con un’erotica sensualità ed accenti più marcati pregni di passione e ribellione; degna di nota oltre l’aria di sortita (L'amour est un oiseau rebelle), la Seguidilla del secondo atto in cui il crescendo emozionale ci ha condotto verso un epilogo quasi demoniaco.
   
Di pregio anche la prova del tenore Antonio Corianò nel ruolo di Don José con il quale sembra aver trovato un connubio idilliaco; vieppiù che il dramma incalzava, la sua voce sempre più a fuoco andava cercando suoni e messa di voce ricercate e curate nelle intenzioni e nell’intonazione. La fleur que tu m’avais jetée si è rivelato uno dei momenti più alti della serata dove il legato, il languore e l’emozione hanno imperlato la parola scenica del significato profondo di quelle frasi. Anche il finale non è stato da meno, denso di quella foga omicida che oscillava tra il misurato ed il pazzoide in un alternato movimento di intenzioni. Elisa Balbo traduce il ruolo di Micaela con una vocalità pulita e nitida di valido soprano lirico; spesso però l’emissione risulta priva di quel pathos e di quell’affetto (leggasi "corrispondenza d’amorosi sensi”) indispensabile che avrebbe potuto caratterizzare meglio un personaggio fra i più dolci e teneri di tutto il melodramma. Autorevole attorialmente, ma più debole vocalmente l’Escamillo del baritono Andrea Zaupa; la sua voce brunita è stata un po’ latitante nell’intonazione e nella ricerca di una messa a fuoco nitida (la mia impressione è che vi fosse qualche impedimento di stagione, perché conservavo un eccellente ricordo delle prestazioni di questo artista). Sensuali e spigliate sia nell’ars scenica che in quella canora le due altre protagoniste, Alessia Pintossi (Frasquita) e Francesca di Sauro (Mercédès) assieme all’altra coppia di furfantelli Rosario Grauso (Le Dancaïre) e Riccardo Rados (Le Remendado).


Completavano egregiamente il cast: Christian Federici (Moralès), Adriano Gramigni (Zuniga), Luca Massaroli (Andrès), Ken Watanabe (Un bohèmien), Yulia Tkacenko (Une merchande). Insulsa e priva di charme la direzione d’orchestra del M° Vladimir Ovodok (alla guida dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini) che si è limitato ad una lettura non troppo attenta alla ricerca di sonorità e con andature tendenzialmente melense per le pagine bizettiane. Sin dalla sinfonia ho avvertito quel senso di rinuncia ad un suono nitido e preciso aggravato da palesi stonature degli strumenti specie nella zona degli ottoni e dei legni. Il pregio di eseguire la versione integrale è stato vanificato inoltre da una scelta dei tempi piuttosto discutibile togliendo di fatto all’intera drammaturgia quel carattere irruente e selvaggio che molte pagine esprimono. Il terzo atto è quello che ha sofferto maggiormente agevolando il torpore a prendere possesso del nostro corpo.

Bene invece il Coro Luigi Cherubini ed il Coro Lirico Marchigiano Vincenzo Bellini (dal quale ho udito pagine mai ascoltate in precedenza) preparati e diretti dal M° Antonio Greco. Alla fine il plauso del pubblico lucchese non ha avuto dubbi nel decretare l’ottimo successo ed il gradimento di quando ascoltato e visto.
Crediti fotografici: Andrea Simi per il Teatro del Giglio di Lucca Nella miniatura in alto: la protagonista Martina Belli (Carmen) Sotto in sequenza: Antonio Corianò (Don José); ancora Martina Belli; Elisa Balbo (Micaela); Andrea Zaupa (Escamillo) Al centro in sequenza: Martina Belli e Antonio Corianò; l'attore e mimo Ivan Merlo; scena del postribolo: scena della Seguidilla In fondo: i saluti del cast a fine spettacolo
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