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Il Festival Mascagni ha allestito per la prima volta un'opera coprodotta col Teatro Goldoni di Livorno |
L'amico Fritz debutta sul lago |
servizio di Athos Tromboni |
Pubblicato il 02 Agosto 2021 |
GUASTICCE (LI) - L'opera all'aperto, sul lago... anzi, sul Lago Alberto a Guasticce (Collesalvetti). Da non confondere con un altro lago toscano, quello di Massaciuccoli, dove anche là si fa l'opera all'aperto. Sul Lago di Massaciuccoli, si fa Giacomo Puccini; qui a Guaticce, Pietro Mascagni. Un binomio di festival (Puccini / Mascagni) che se diventa contagioso ed anche emulativo, farà bene non solo alla promozione e produzione della lirica toscana, ma a quella di tutto il mondo. Per la prima volta al Mascagni Festival l'opera viene prodotta in forma scenica e integrale, come spiega il direttore artistico Marco Voleri: «Il progetto produttivo di L'amico Fritz, prima opera rappresentata integralmente al Mascagni Festival in coproduzione con la stagione lirica del Teatro Goldoni di Livorno, ruota interamente intorno a due temi: giovinezza e formazione. Giovinezza per la tematica raccontata nel libretto. Giovinezza nel progetto formativo che la compone.Tutto ciò è testimoniato dai solisti selezionati dalla Mascagni Academy; poi dalla scelta della giovane regista , proveniente dall'Accedemia dell'Opera di Verona; ed ancora, dai costumi realizzati dall'Accademia Ligustica di Genova.» Il Lago Alberto, situato all'interno di una moderna azienda agricola qual è la Tenuta Bellavista Insuese, è una locazione piuttosto suggestiva, ottima per la realizzazione di spettacoli di qualità. Lo esige la storia stessa dell'azienda, avviata e condotta dal 1980 da Alberto Vitarelli, poi ereditata dalle figlie Sabina e Silvia a partire dal 2010. Negli anni, il complesso ha conosciuto diverse migliorie che lo rendono oggi un’eccellenza tra le strutture ricettive toscane. In particolare segnaliamo il sistema di irrigazione con bacini artificiali, sette piccoli laghetti, e una riorganizzazione dei sentieri del bosco, che si può visitare scegliendo tra le tante attività che il sito offre. E da quest'anno anche l'opera lirica, all'aperto, sul lago.
La messa in scena, in un ambiente a cielo aperto e senza possibilità di riverbero, ha imposto l'amplificazione dello spettacolo, piuttosto spinta in verità. Qualcosa che farà sicuramente inorridire gli accademici puristi, ma che ha galvanizzato il pubblico (numeroso, la sera di domenica 1 agosto 2021 cui abbiamo assistito, replica della "prima" andata in scena il giorno precedente) galvanizzato fino alla standing-ovations (ovazioni da stadio, nella lingua di Dante...) al termine della rappresentazione. In effetti lo spettacolo è stato altamente godibile. A partire dalle soluzioni tecnologico-scenografiche (curate da Immersiva srl) che hanno giocato essenzialmente con le proiezioni sul fondale, secondo un'estetica ormai cara e popolare per le clips della musica pop, e cioè la disgiunzione e separazione dell'immagine dal significato del testo: là dove l'immagine vuole concorrere in proprio ed in autonomia alle suggestioni suscitate dalla musica. Per spiegarci, abbiano assistito a un film sul fondale che ha offerto intreccio di mani, nuvole che corrono veloci nel cielo, sbuffi di fumo nel trionfo dei ghirigori, fiori che sbocciano, ombre cinesi che appaiono e scompaiono (bella quella del violinista solista che accompagna proprio come shilouette dominante sullo schermo l'attesa della venuta in scena dello zingaro Beppe, nel primo atto dell'opera). Godibile anche per i costumi in stile "Alsazia ottocentesca" realizzati dall'Accademia Ligustica e per le luci essenziali di Emiliano Pascucci. Nel merito della regia, impostata dentro il solco della tradizione, il buon lavoro della giovane Giulia Bonghi nella distribuzione del movimento scenico e della recitazione, anche con l'uso di mimi extratesto (un'attrice e due bambini, maschio e femmina) ha palesato comunque qualche ingenuità, affidando a Suzel un'esuberanza sopra le righe rispetto alla timidezza e all'innocenza del personaggio come ce lo racconta il libretto; e anche la caratterizzazione del rabbino David ci è sembrata fuori fuoco ("rabbi" vuol dire maestro, autorità spirituale) per aver favorito l'incarnazione di un personaggio sì certamente saggio, ma quasi macchietta, un quasi buffo alla stregua del Don Alfonso di Mozart (Così fan tutte). Scelte interpretative? Può essere, ma non c'è scelta interpretativa che possa essere pienamente giustificata - se non dalla volontà iconoclasta di una trasgressione fine a sé stessa - dal vezzo della "distinzione" a tutti i costi dai rischi dell'emulazione e/o dell'imitazione... natura non facit saltus disse Leibniz; e se la locuzione è ritenuta valida in biologia, non c'è dubbio che sia valida anche nella maturazione intellettiva e nella formazione della personalità artistica. Per il resto - a parte questi nostri appunti - la regia della Bonghi va accolta e lodata. Nel cast ha furoreggiato (non solo nel senso della vocalità, ma anche in quello della caratterizzazione scenica) il soprano Katerina Kotsou (Suzel), un magnifico esempio di vocalità lirico-spinta in piena formazione, capace però anche di canto a fior di labbra seducente e morbido come un filato sericeo; ottima la sua presenza scenica.
Accettabile la verve attoriale del tenore Enrico Terrone, ma dobbiamo rilevare che la sua prestazione vocale non è stata esente da un paio di cadute dell'intonazione. Peccato. Buona la prestazione vocale del baritono Luca Bruno (David il rabbino) con gli appunti già fatti a proposito della scelta registica che lo ha coinvolto. Ottimo il Beppe lo zingaro di Maria Salvini sia per il gesto scenico che lei sa esprimere in maniera del tutto naturale, che per la pregevole vocalità. Comprimari affidabili sono stati Tiziano Barontini (Federico), Alessandro Martinello (Hanezò) e Raffaella Marongiu (Caterina). Sul podio era la direttrice (o direttora?... la discussione è aperta...) Gianna Fratta: il suo gesto è chiaro e preciso, l'espressività del braccio e della mano sinistra è da direttrice di coro o di musica preclassica, tanto è plastica e stimolante; e la sua predilezione per la magniloquenza strumentale - fondamentale in una partitura come L'amico Fritz - non è stata mai in conflitto con la sua attenzione e il rispetto per il palcoscenico e per le voci che stava dirigendo. Proprio brava. Hanno contribuito all'allestimento anche Andrea Comotti (scenografo), Foffo Bianchi (responsabile audio), Andrea Pellegrini e Gianluca Cavallini (tecnici audio), Nicola Buttari e Martino Chiti (video designer). Non citati in locandina i mimi, né il violino solista comparso in shilouette nel primo atto, né l'oboista intervenuto in scena nella parte solistica scritta in partitura per quest'ancia. Se continuerà come ha iniziato, l'opera mascagnana integrale mandata in scena dal Festival Mascagni avrà un futuro nelle estati del Lago Alberto.
Crediti fotografici: Felici / Bizzi per il Festival Mascagni / Teatro Goldoni di Livorno Nella miniatura in alto: la direttrice Gianna Fratta Sotto in sequenza: due panoramiche sull'allestimento di L'amico Fritz Al centro in sequenza: Enrico Terrone (Fritz Kobus) e Katerina Kotsou (Suzel); Luca Bruno (David il rabbino), Maria Salvini (Beppe) e ancora Enrico Terrone Sotto: Keterina Kotsou assieme all'attrice che mima il suono del flauto In fondo: i saluti finali di tutto il cast
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redatto da Athos Tromboni FREE
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