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Č sempre trionfo per la messinscena dell'opera verdiana diseganta da Brockhaus e Svoboda

Traviata degli specchi d'attualitā

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 25 Luglio 2018

180723_Mc_00_LaTraviata_SalomeJicia_phAlfredoTabocchiniMACERATA - Ho volutamente aspettato qualche giorno per parlare della mia ultima avventura maceratese che mi ha visto partecipe dell'allestimento di La traviata di Giuseppe Verdi ad opera del regista Henning Brockhaus con le scenografie di Josef Svoboda; ebbene sì la mitica ed unica "Traviata degli specchi"; per me era la sera del 22 luglio 2018, ma fu nel 1992 quando prese vita la prima volta proprio su questo palcoscenico; oggi tra nostalgie, rimembranze, ricordi e prime visioni ha trovato di nuovo albergo nel suo sen materno emozionando e suscitando un turbinio di stati d'animo spesso contrastanti fra loro; è d'uopo dire che innanzitutto è necessario scindere regia e scenografia; la prima ci induce a pensare ad una messinscena ormai logora e vetusta in cui prevalgono aspetti di dubbio gusto e spesso poco in linea con libretto e romanzo anche se questi in molte parti differiscono; una morbosità sessuale che si esplicita attraverso atteggiamenti sado-maso di una Flora con la frusta, una libidinosità di padre Germont che a tratti sfocia nel ridicolo e nel pacchiano, movimenti scenici del coro ridicoli che improvvisano un trenino carnascialesco ed una piattezza quasi imbarazzante dell'ultimo atto dove tutto il pathos della protagonista viene vanificato da atteggiamenti molto infantili talvolta nemmeno degni delle più improvvistate recite parrocchiali. Tutto questo non è la "Traviata degli specchi", ma solo un aspetto che all'occhio amorevole del ricordo dei tempi che furono può essere tranquillamente obliato a pro di ciò che rimane dell'aspetto visuale; il grande specchio che si innalza per tutta l'opera a 45 gradi da terra e ci mostra questa doppia visione della realtà che si consuma sul palcoscenico e che diventa oggetto di riflessione per tutti fino alla fine dell'opera quando, sulle ultime note che conducono alla morte di Violetta Valery, si innalza fino a far specchiare tutti noi astanti e "guardoni" della tragedia che si consuma, rendendoci partecipi di quel dolore e di quel delitto che malattia e società hanno perpetrato contro una donna che avrebbe voluto redimersi; non si può non essere emozionati dall'originalità, ancora dopo trent'anni dei tappeti che a ritmo preciso di musica cambiano per trasportarci nei luoghi del dramma e non possiamo non rimanere emozionati  dalle figure di cui sono intrisi questi drappi che ricalcano soggetti campestri, nudi d'arte e le famose margherite simbolo assieme alla camelia rossa del dramma di Violetta.

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Il turbinio di stati d'animo constrastanti a cui facevo cenno in apertura è stato in parte generato dalla musica che la bacchetta del M° Keri-Lynn Wilson non ha assolutamente saputo tradurre in dramma, affossando anzi ogni intenzione compositiva in una noia mortale dovuta a tempi; e sonorità e soprattutto ha fatto tutto ciò che era nelle sue facoltà per mettere in difficoltà una compagnia di canto di buon livello, incedendo in tempi soporiferi e non concedendo nessun respiro interpretativo; anche i momenti più brillanti hanno perso la loro vivacità a pro di un'esecuzione quasi diavolesca in cui i ritmi era più inclini all'esagitazione che non alla festa ed al brio che è insito in questa partitura; forse la peggior Traviata mai ascoltata da un punto di vista prettamente musicale; l'Orchestra Regionale della Marche pareva irriconoscibile rispetto alla serata precedente (dove era in buca per un frizzante Elisir d'amore) e la metamorfosi non può essere effetto di una sola notte: basta cambiare il manico e la pietanza invece di cuocere può miseramente bruciarsi sul fondo della pentola... e così è stato.
L'interprete che più ha sofferto di questa mala direzione è stata proprio la protagonista nel primo atto dove un incedere farraginoso e melmoso ha messo in difficoltà il soprano georgiano Salome Jicia - interprete dalla vocalità sopraffina e leggiadra - che ha trovato qualche affanno nella grande pagina di chiusura dove Violetta Valery tocca gli assoluti del canto lirico; si è comunque riscattata nel secondo e terzo atto mettendo in luce ottime sonorità, eleganti messa di voce ed un pathos intepretativo che ha saputo volare al di sopra delle invenzioni registiche riuscendo a trovare una sua precisa e dignitosa identità apprezzata da tutto il pubblico.

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Voce di notevole interesse quella del tenore Ivan Ayon Rivas quale Alfredo che pur trovandosi a suo agio con la parte non è stato facilitato dalla concertazione incerta; a volte ha cercato degli spazi di autonomia intepretativa scontando un po' l'esuberanza vocale e scenica che non ha giovato al ruolo ed alla parte già di per sè incasellata in un canone piuttosto rigido.
A suo pieno agio invece il Giorgio Germont di Luca Salsi che sa ben domare la parte al di sopra della concertazione trovando la sua piena identità soprattutto nella parte centrale del rigo musicale in cui cesella un ottimo fraseggio e una verve interpretativa ben delineata, seppur con qualche inopportuna morbosità registica.
Le due figure femminili di contorno hanno ben cesellato il bellisimo quadro scenico: nei  panni di una Flora dal sapore un po' sadico Mariangela Marini; e Marianna Mennitti come Annina.
Sul versante maschile debole è la resa vocale di Silvano Paolillo nel ruolo di Gastone che non trova proiezione ed eleganza nel canto; interessante e sempre più incisiva la vocalità di Stefano Marchisio nei panni del Marchese d'Obigny; ieratica e perentoria la figura di Lorenze Grante come Marchese Duphol che si è degnamente messo in luce sia da un punto di vista scenico che interpretativo; per finire Giacomo Medici nelle vesti di un ottimo Dottor Grenvil.
Anche quella sera il Coro Lirico Marchigiano Vincenzo Bellini guidato dal M° Martino Faggiani e Massimo Fiocchi Malaspina non ha deluso le aspettative diventando parte integrante di un dramma che fa della parte collettiva un elemento significante ancor più in questo allestimento dove tale componente viene quasi indentificata nel pubblico che assiste ed alla fine si vede riflesso nell'immenso specchio andandosi a fondere con l'intera drammaturgia fatta di morte, dolore, pregiudizio e tanta ipocrisia...
Uno specchio che riflette la società odierna? Forse, ma uno specchio che ci vuole invitare a riflettere e a ripensare a tanti nostri comportamenti talvolta poco inclini all'accoglienza, alla solidarietà e all'accettazione delle altrui diversità; anche quella sera quindi ho trovato un messaggio "umano" direi quasi ad hoc per il tempo in cui viviamo, in questa "Traviata degli specchi"... eppure ha quasi trentanni ed ancora parla e ci vuol dire qualcosa; attuale? No! Attualissima.
Il pubblico non ha esitato a manifestare il suo pieno consenso ad un'opera di repertorio che torna a casa, accogliendola con grandissimo calore in un Teatro completo in ogni ordine e grado.

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Tre giorni a Macerata sono volati in un soffio non senza lasciare traccia nella mia esperienza umana e professionale; un Festival Verde Speranza che non tradisce le aspettative dello spettatore e del critico con una miriade di appuntamenti collaterali che mirano alla valorizzazione della Musica e della sua conoscenza, facendone un obiettivo precipuo e primario; valorizzazione anche di un territorio martoriato nel passato dagli eventi naturali, ma che vuole riscattarsi ed emergere dimostrando tutta la propria forza e le sue peculiarità: ecco allora che ogni sera nel momento conviviale post opera abbiamo potuto assaporare specialità culinarie e vini locali che esaltano ancora di più il sapore ed il colore di quella terra... così pure negli aperitivi di mezzogiorno, in cui  l'incontro con gli artisti della sera seguiva un momento di assaggio e di degustazione dei prodotti tipici locali; Verde Speranza: quella speranza che alberga nel cuore di tutti i maceratesi e di tutto il territorio marchigiano che non vuole pietà o compassione bensì cerca riscatto attraverso le proprie risorse ed una ferrea volontà di risorgere e dimostrare il proprio valore e le sue capacità donandole con generosità all'avventore che, come me, varca il Passo di Colfiorito ed entra in quella terra con la certezza di trovare calore, sapori ed accoglienza genuini.

Crediti fotografici: Alfredo Tabocchini per Macerata Opera Festival 2018
Nella minitura in alto: la protagonista Salome Jicia (Violetta Valery)
Sotto in sequenza: ancora la Jicia; il tenore Ivan Ayon Rivas (Alfredo Germont); il baritono Luca Salsi (Giorgio Germont); e la Jicia e Ayon Rivas nella scena finale dell'opera
Al centro: l'immagine riflessa nello specchio di una scena del primo atto
In fondo: l'immagine riflessa nello specchio del pubblico e del palcoscenico all'ultimo quadro dell'opera






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Ottima messa in scena, oltre che per la comprovata efficacia di Sardelli nell'esecuzione del repertorio barocco, soprattutto per la visionaria regia di Marco Bellussi, coadiuvato da Fabio Massimo Iaquone (ideazione e regia video), Matteo Paoletti Franzato (scene), Elisa Cobello (costumi) e Marco Cazzola (luci).
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