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L'opera di Georges Bizet ha aperto il Rosso Desiderio del Macerata Opera Festival 2019 |
Carmen danza al Crazy Horse |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 20 Luglio 2019 |
MACERATA - Arrivando qui non si può fare a meno di notare una città festante e dipinta di Rosso Desiderio, colore che imperversa in ogni via e arreda ogni vetrina, facendo sì che in ciascun angolo se ne respirino il calore e l'essenza più intima. Un rosso intenso, un rosso che richiama il tema guida del Macerata Opera Festival 2019. La città intera si è stretta intorno alla kermesse musicale per far sì che i giorni del Festival restino impressi nella memoria di chiunque giunga nel centro marchigiano. Il primo titolo proposto in questa stagione è Carmen di Georges Bizet, che incarna appieno il significato del Rosso Desiderio cui è dedicata la rassegna musicale. Prima di pensare alla Carmen musicale, non possiamo dimenticarci della novella omonima scritta da Prosper Mérimée, da cui l'opera è stata tratta per mano dei librettisti Henri Meilhac e Ludovic Halévy. Scritta a mo' di racconto evocato da Don José (ormai in carcere per l'omidicio efferato della protagonista), la vicenda si arricchisce di particolari molto eleganti e spesso poco conosciuti, ma che sono sempre molto utili per comprendere appieno il personaggio e la sua evoluzione. Un'evoluzione spesso poco sviscerata nel teatro d'opera dove le esigenze dettati dal tempo musicale non riescono a farle emergere a dovere. Invece nella descrizione letteraria della sigaria di Siviglia si percepiscono colori, venature e peculitarità spesso lasciate in sordina dal libretto o filtrare da ritmi melodici che necessitano di una interpretazione spesso non troppo immediata e talvola superficiale. Partendo da questo presupposto, la conoscenza del personaggio nelle sue intime pieghe può portare il regista a decidere di scegliere un'altra strada, forse un po' meno convenzionale, ma non per questo errata. Quando una scelta risulta coerente, riesce ad essere frutto e conseguenza di "intelligenza registica", ci si può trovare davanti a uno spettacolo completamente reinventato, ma pervaso da un intenso trait d'union capace di abbracciare le tre ore di musica e di proporre un discorso unitario e profondamente in linea con il pensiero di Mérimée. L'idea di Iacopo Spirei è di volersi affrancare dalla tradizione donandoci una "sua" Carmen, il cui sapore francese è tanto elegante e sensuale quanto cinico e tragico. Così il regista giustifica la propria scelta: «Una Carmen parigina: è questa la nostra aspirazione, mia e del direttore e concertatore Francesco Lanzillotta. Togliere il folclore, ovvero rappresentarlo per quello che è, una cornice, uno sfondo, un profumo, come un’essenza che si sprigiona dalle pareti di un café-concert: uno spettacolo ambientato in Spagna allestito da un cabaret parigino tipo il Crazy Horse. Sulla scena si respira un’aria di passione e libertà ma anche di fatica e impegno per i numeri di danza che si mettono in scena e si provano, riproducendo scena e backstage di un cabaret in cui ballerine danzano in abiti succinti e Carmen appare in scena per la Habanera ricordando le esibizioni di alcune dive come Dita von Teese... La forma originaria di Carmen – continua a spiegare Spirei – è quella di un opéra-comique basato sull’alternanza di dialoghi parlati e numeri vocali e strumentali che spesso vengono tagliati in forme semplici, dirette, da “musica di consumo”, ingenerando un effetto di straniamento rispetto al realismo (apparente) dell’intreccio: la Carmen donna animalesca e incoercibile è più una creatura immaginaria che un ritratto dal vero. In effetti, lei non mente mai, non impone mai, è Don José a decidere che la loro storia durerà in eterno. La tragedia finale è ingenerata dal fraintendimento del brigadiere, il quale, al pari di Micaëla, è un estraneo (vengono dalla Navarra, una provincia dell’estremo nord est della Spagna, mentre Carmen è una meridionale andalusa, oltre che zingara) che non riesce a decifrare il mondo circostante e le situazioni in cui si va a cacciare: ce lo dice il canto, il suo come quello della fanciulla, così diverso da quello della sigaraia, così lyrique nel suo occhieggiare Gounod.»
Completavano la parte visiva le scene e i costumi di Mauro Tinti, le coreografie di Johnny Autine e le luci di Giuseppe Di Iorio, calzature e accessori di Les Jeux du Marquis. La fine è svelata musicalmente sin dal preludio: Carmen muore in diretta, paparazzata da uno stuolo di flash su di una passerella dove la protagonista si affaccia assieme al suo nuovo amore Escamillo. Non si sa chi sia costui nè che cosa faccia, ma non importa: qui siamo alla spettacolarizzazione del delitto, tutto si svolge in una diretta tv e il red-carpet si tinge di quel rosso non più festante bensì che odora di morte. L'occhio del Grande Fratello che spia è l'occhio di una società che guarda, critica, giudica, ma non sa e non vuole agire. Nessuno ferma la furia cieca di Don José che, rubando una macchina fotografica a uno dei reporter, si avventa su di lei con tanta di quella cruenza, da lasciare attoniti e sconcertati. Nessuno fa niente, se non riprendere il dramma per renderlo pubblico e lucrare su una morte già annunciata. Cambiano le connotazioni originarie, ma non cambia l'essenza dell'azione: femminicidio era in Spagna, femminicidio è a Parigi. Ma chi è Carmen, nell’idea di Spirei? Una ballerina del Crazy Horse, una Crazy Girl sogno di tutti gli uomini che frequentano il locale. I gendarmi sono coloro che fanno rispettare l'ordine, mentre la baruffa è una lite fra danzatrici e il successivo ambiente, Chez Lillas Pasta, è un locale di infimo ordine in cui il trash prende il sopravvento sul buon gusto: troviamo ballerini in tacchi a spillo, pali per lap-dance, atteggiamenti erotici ai limiti del sadismo, ma senza una sfrontata volgarità. Il tutto si mantiene in un garbo e una cura del particolare che evitano alla messa in scena di scivolare nel disgustoso. Il confine è labile, ma l'impresa riuscita.
I compari di avventura della protagonista sono uomimi e donne di dubbia moralità che, dopo la parentesi piu anonima del terzo atto (il più indecifrabile in base alla mia sensibilità), tornano alle luci della ribalta con abbigliamenti sfarzosi, improbabili e degni di appartenenti al clan dei mafiosi dei giorni nostri. La personalità della protagonista non viene mai meno: lei è quella sceglie, la donna astusta e scaltra, che ama e vuole sopra ogni cosa la sua libertà. E se la carta predice la morte, lei prosegue il suo cammino sulla strada dell'emancipazione e dell'indipendenza anche a costo pagare con la propria vita perché "Carmen mai cederà! Libera è nata e libera morirà". Invece, nelle suggestive parentesi sinfoniche (lo spazio scenico dello Sferisterio è immenso e bisogna pur riempirlo), quattro ballerini, agganciati con cavi di acciaio alla struttura sovrastante, volteggiavano sull'imperioso muro ai lati del palco, disegnando figure a ritmo di musica. Ed è proprio la parte orchestrale che mi dà lo spunto per affrontare il discorso musicale di questa prima serata maceratese. Sotto l'accorta ed attenta direzione del M° Francesco Lanzillotta ciascun musicista dell'Orchestra Filarmonica Marchigiana ha gestito con eleganza e stile il proprio strumento musicale in base ad una lettura intelligente ed interessante dello stesso concertatore. In un incontro pomeridiano di presentazione dell'opera, il M° Lanzillotta ha espresso così il suo pensiero su Carmen: «L'ottica con cui guardiamo quest'opera ci porta ad una interpretazione che può avere connotazioni diverse; io penso che conti maggiormente l'idea della libertà piuttosto che quella del tragico finale, che ne è una diretta conseguenza. Guardare Carmen da quest'ottica ha cambiato molto il mio approccio allo spartito; da un atteggiamento "verista" in cui tutto deve essere enfatizzato al massimo, ho preferito una lettura più dettagliata ed accorta cercando di cogliere tutti quei mondi che compaiono nelle pagine musicali: operetta, ironia fortissima, dramma che deflagra improvvisamente e il loro susseguirsi avviene nel giro di pochissime battute. Ecco quindi che tutti questi aspetti trovano la loro degna evidenziazione fugando il rischio di una uniformità piatta e scialba oppure con effetti a presa sul pubblico, ma che sporcherebbe una linea interpretava sfcaccettata. Ecco che i mondi tra il recitato ed il cantato non sono lontani, ma diventano un continuum che uniforma un discorso che è unitario. La musica francese trova una "difficoltà" maggiore rispetto al rapporto tra musica e testo per quello che riguarda il fraseggio; ecco che con il verso francese si concentra molto sul "suono" della parola. Ecco allora che la gestione del materiale musicale sono soggetti più che all'aspetto armonico, alla ricerca degli accenti della parola dove va a parare la frase stessa; il tessuto musicale è quindi sempre magmatico, mai stabile – a parte dove il ritmo sia scandito in maniera precisa – dove la gersione del tempo e del ritmo deve dotarsi di quella fluidità per essere un servo della parola e del suo accento.» Con questo breve ma illumante pensiero mi sono messo in ascolto del dialogo tra buca e palcoscenico e la rispondenza è stata davvero entusiasmante. Ogni gesto del M° Lanzillotta andava proprio in quella direzione e la lava incandescente della musica eruttava copiosa con zampilli luminosi "rosso desiderio", senza però tralasciare di scorrere fluida sulle pendici del vulcano, come una pennellata di colore ancora più intenso e meditativo che accarezzava le voci e il testo letterale. Sul versante vocale, nel ruolo della protagonista ho trovato un'interprete che trasudava di sensualità e di passione: Irene Roberts, la quale non è stata solo una fine vocalista, ma anche una grande attrice, che ha saputo mettersi in gioco con tutta l'ironia e la determinazione di cui il regista ha voluto dotare il personaggio. Un primo atto "da sballo" con un'Habanera cantata durante un sensuale spogliarello e un erotismo raffinato nel secondo, grazie a una danza con le nacchere da grande professionista. Vocalmente ha trovato il suo punto di forza nella zona centrale acuta del rigo musicale mettendo in luce una buona intonazione ed una intelligente gestione delle dinamiche.
Il tenore Matthew Ryan Vickers si è rivelato un Don José interessante dal punto di vista vocale, cui però è mancata un'introspezione approfondita nel personaggio, parimenti palesatasi in un'emissione in cui difettava un certo grado di proiezione. La voce è di buona fattura, ma la ricerca di qualche suono più mirato potrà essere una buona evoluzione della sua personalità artistica. Debole anche il baritono David Bizic nei panni di Escamillo, che sia scenicamente quanto vocalmente avrebbe potuto osare di più e cercare un suono maggiormente curato nel fraseggio e nelle intenzioni. Valentina Mastrangelo è stata una Micaëla molto corretta dal punto di vista musicale, ma non troppo convincente a livello interpretativo. Il suo canto si è risolto non più che in un solfeggio: certo ben esguito, ma privo di pathos e di sentimento. Francesca Benitez è stata una valida e frizzante Frasquita, Adriana Di Paola un'interessante Mercèdès, Tommaso Barea un buon Le Dancaïre e Saverio Pugliese un accorto e corretto Le Remendado. Completavano il cast Gaetano Triscari (Zuniga), Stefano Marchisio (Moralès, per il quale è stato riaperto il taglio della Pantomima, eseguita con voce sonora, salda e ben proiettata), Andrea Pistolesi (Un Bohémien), Olga Salati (Une Marchande d’oranges).
Decisamente improbabili e di dubbio gusto le coreografie di Johnny Autin che in taluni momenti risultavano troppo caricaturali e tremendamente kitsch. Un plauso al Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” diretto dal maestro Martino Faggiani e dal maestro Massimo Fiocchi Malaspina, attento e ben calibrato sulle esigenze vocali e sceniche, nonché capace di mettere in luce un'ottima amalgama ed una preparazione eccellente. Pas mal anche i Pueri Cantores “D. Zamberletti”, diretti dal maestro Gian Luca Paolucci, che, nel coro del primo atto, si sono ben disimpegnati con un intervento alla stregua di bulletti da strada . Qualche sparuto fischio alla fine, ma, nel complesso, una buona accoglienza da parte di tutto il pubblico maceratese in una serata rischiarata da una luna calante e da qualche stella cadente. (Recensione riferita allo spettacolo di venerdì 19 luglio 2019)
Crediti fotografici: Ufficio stampa Macerata Opera Festival Nella miniatura in alto: Irene Roberts (Carmen) Sotto in sequenza: ancora Irene Roberts; e Matthew Ryan Vickers (Don José) Al centro in sequenza: foto panoramica sull’allestimento maceratese; la scena del toreador con David Bizic (Escamillo) Sotto: Matthew Ryan Vickers (Don José) e David Bizic (Escamillo) nel duello del terzo atto In fondo: Irene Roberts nell’abbigliamento succinto di Carmen modello Crazy Horse
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FERRARA - Suggestivo l'allestimento di La bohème di Giacomo Puccini curato da Cristina Mazzavillani Muti per il Teatro Alighieri di Ravenna, approdato ieri sera al Comunale "Claudio Abbado" di Ferrara. Pubblico della grandi occasioni ("sold-out" si dice oggi, con un inglesismo ormai sostitutivo di "tutto esaurito" d'italiana fattura); pubblico
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TORINO - Il titolo designato per l’inaugurazione del cartellone d’opera 2024 del Teatro Regio di Torino è il Don Pasquale di Gaetano Donizetti. Qui riproposto nel fortunato allestimento della fine degli anni '90 del Novecento, firmato da uno dei maestri della drammaturgia musicale italiana: il regista, scrittore e giornalista Ugo Gregoretti, la cui regia
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Jazz Club Ferrara 45 concerti
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FERRARA - Dal 26 gennaio 2024, prende il via al Torrione San Giovanni la seconda parte della 25.ma stagione di Ferrara in Jazz. Grandi nomi del jazz internazionale e largo spazio ai giovani, per complessivi 45 concerti accompagnati da eventi culturali collaterali, realizzati con il contributo del Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna, Comune
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Bolena e Seymur destino congiunto
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servizio di Simone Tomei FREE
LUCCA - Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini si veste di attualità, attraverso una lettura piuttosto singolare, ma non del tutto dissonante dalle intenzioni musicali e librettistiche, nell’allestimento andato in scena al Teatro del Giglio di Lucca con la firma registica di Luigi De Angelis che ha curato anche scene e luci. In un condominio stile Le Courboisier
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ROVIGO - Una Bohème senza lode e senza infamia. Così potrebbe definirsi l'allestimento dell'opera di Giacomo Puccini andata in scena al Teatro Sociale. Si tratta di una coproduzione del teatro di Rovigo con il Comune di Padova e il teatro "Mario Del Monaco" di Treviso. Una produzione tutta veneta, considerando la bacchetta affidata a Francesco Rosa
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