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Terza opera di Rosso Desiderio al Macerata Opera Festival 2019 e terzo successo |
Rigoletto al Luna Park |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 22 Luglio 2019 |
MACERATA - Ancora una sera in cui il tema "Rosso Desiderio" declina verso un altro significato (ossia il desiderio di vendetta da affogare nel sangue) che trova nel Rigoletto di Giuseppe Verdi la sua più ideale collocazione, complice il famoso duetto che conclude il secondo atto Sì vendetta, tremenda vendetta. Un'altra serata di grande Teatro musicale, in cui il regista Federico Grazzini ci conduce per mano all'ingresso di un Luna Park ormai fatiscente dominato da un'enorme maschera la cui bocca aperta non manifesta stupore bensì desiderio di fagocitazione. I tendoni color rosso e bianco sono ormai logori e tutto intorno si respira aria di declino e di abbandono. Un po' quello che potrebbero essere le periferie di certe città: luci di una ribalta ormai "ribaltata" funzionanti a ritmo alterno, lampioni, vie deserte, panchine, prostitute, un "porchettaro" (termine usato in Toscana per indicare quel baracchino in cui si vende il maiale cotto con spezie, affettato ed usato come salume per i panini) e un'atmosfera triste in cui spadroneggiano i più bassi istinti animaleschi. La casa di Rigoletto (membro storico di una banda criminale capitanata dal Duca di Mantova e dedita ogni possibile turpitudine, sessuale e non) è una vecchia roulotte sul lato destro del proscenio e in questo mondo, fatto di tinte cupe e violente, la vendetta è la norma per quasi tutti i personaggi, dal Conte di Ceprano a quello di Monterone, dai cortigiani a Rigoletto stesso. La vendetta serpreggia in ogni dove e le modalità da gang malavitosa si percepiscono subito dallo stupro perpetrato ai danni della figlia di Monterone. Un abuso che avvia quel circolo vizioso che si ripercuote sulla vita del protagonista, conducendola al noto e triste epilogo. Le scene (firmate da Andrea Belli con costumi di Valeria Donata Bettella e luci di Alessandro Verazzi, qui riprese da Ludovico Gobbi) sono all'apparenza statiche, ma si animano e arrichiscono insieme alla musica, riuscendo a regalare una drammaturgia lineare, armonica e, soprattutto, ben coerente con il costrutto armonico senza nulla togliere all'originale idea librettistica, anzi arricchendola e attualizzandola. Un lavoro che sa mettere in evidenza le peculiarità dei personaggi in gioco, sviscerandone appieno le caratteristiche e facendoli interagire con una naturalezza e una immediatezza di significato tali da coglierne a fondo ogni intenzione. Ottimo il lavoro svolto con mimi e figuranti, i quali hanno reso ancor più vivace lo scorrimento drammaturgico, inserendosi in maniera elegante e giocosa nei vari momenti di assieme.
Nel ruolo eponimo, Amartuvshin Enkabat si dimostra un interprete eccellente. Nonostante le origine mongole la pronuncia è, al solito, corretta e favorisce la piena immedesimazione nel personaggio, tuttavia, dopo diversi ascolti di questo baritono, non posso non rilevare come stavolta abbia riscontrato una certa fatica nella gestione corretta e precisa dell'acuto. Sono convinto, anche guardando i suoi impegni a latere, che il nome di questo momento di difficoltà possa chiamarsi stanchezza o, se vogliamo, "spremitura vocale". Confido nell'intelligenza dell'artista perché mettere a repentaglio una voce così importante sarebbe davvero un peccato per il melodramma.
Il tenore siciliano Enea Scala interpreta il Duca di Mantova come un capo malavitoso, dimostrando una verve scenica non comune nel far dialogare canto e recitazione. Il suo incedere, guidato dagli ormoni e dalla passione maniacale per il gentil sesso, è accompagnato da una vocalità brillante, sicura negli acuti e generosa nella parte centrale del rigo musicale, dove si espande con rotondità e pastosa sostanza. Perentorio nella passione e mellifluo nel corteggiamento, Scala esibisce note sempre ben a fuoco, imperlate da un fraseggio elegante e da un'attenzione alla parola scenica che gli permette di trovare in ogni frase le dovute attenzioni senza scadere in routine e dozzinalità. Claudia Pavone è una Gilda dai colori raggianti. La sua voce, consistente e magmatica, non fatica peraltro a donare note sopraffine (come gli acuti dell'aria Caro nome), ma al contempo sa dare pieno significato ai veementi duetti con il padre e con il Duca. Il suo canto si muove con suadente legato e solenne perentorietà, dimostrandosi capace di restituire commozione e pietà in momenti drammaturgicamente intensi come i finali del secondo e terzo atto. Il borgognone Sparafucile è un intenso Simon Orfila, che si destreggia egregiamente nel duetto del primo atto, ma spara le sue cartucce migliori nella grande scena sulla "deserta sponda del Mincio". Una Maddalena tutta erotismo quella di Martina Belli, la quale, complice una bellissima fisicità, si destreggia nel ruolo con voce brunita e grande musicalità. Giovanna è interpetata da un'interessante Alessandra Della Croce.
Note meno positive per taluni comprimari che nel complesso non assolvono egregiamente il loro impegno: intonazione latitante e suoni ingolati per Seung-gi Jung (Il Conte di Monterone), difficoltà di tenuta del tempo per Matteo Ferrara (Marullo), piuttosto anonimo scenicamente e vocalmente Cesare Kwon (Il Conte di Ceprano) ed intonazione periclitante per Raffaella Palumbo (Un paggio della duchessa). Puntuali, invece, gli altri: Vasyl Solodkyy (Matteo Borsa), Anastasia Pirogova (La Contessa di Ceprano), Gianni Paci (Un usciere di corte). Coro lirico marchigiano "Vincenzo Bellini" (nella sola sezione maschile) in gran spolvero, diretto e preparato dai Maestri Martino Faggiani e Massimo Fiocchi Malaspina. Sul podio la bacchetta del M° Giampaolo Bisanti coglie colori e sapori di una complessa partitura coniugando appieno le esigenze musicali con quelle vocali e trovando un sodalizio davvero encomiabile tra buca e palcoscenico. Il direttore gestisce con eleganza il fraseggio e non cerca di stupire con roboanti sonorità, bensì colpendo al cuore con l'eleganza della moderazione e racchiudendo la lettura musicale in un momento di grande immedesimazione con una regia così cruda e asciutta, ma al contempo densa di significati. Sa inoltre colorare ogni momento solistico di ciascun interprete imperlando l'aere dello Sferisterio di quel gusto nostalgico e tenero che accompagna gli astanti verso il momento tragico dell'epilogo. Conlude la serata il plauso unanime del pubblico, che decreta un successo inconfutabile, mentre, sull'eco degli ultimi applausi, si odono dal palcoscenico le note di "Tanti auguri a te" che tutto il cast tributa al M° Bisanti il quale, scattata la mezzanotte, celebra il proprio genetliaco. Anche per quest'anno l'esperienza maceratese volge al termine: sono stati tre giorni di cultura, di incontri, di parole, di emozioni, di sorrisi, di lacrime, di vecchie e nuove conoscenze, di conferme e di smentite, ma soprattutto di musica. Se ne è parlato ogni giorno agli "Antichi forni" con gli aperitivi culturali, dove sono state presentate nel dettaglio le tre opere in scena, se ne è parlato durante i caffè in piazza Mazzini, durante l'Opera Lounge all'imbrunire, mentre si poteva ammirare un clima festante colorato di rosso desiderio. Macerata è interessante perchè puoi avere tutti a "portata di mano". La direttrice artistica Barbara Minghetti, il sovrintendete Luciano Messi e il direttore musicale Francesco Lanzillotta si confondevano tra la gente per condividere con giornalisti, amici, o con semplici spettatori, idee, opinioni e diversità di vedute in un clima di piena armonia e con quel desiderio di interscambio culturale che raramente si riscontra in altri lochi. E' stato interessante approfondire alcuni aspetti della vita del Teatro e dalla musica proprio con chi fa Teatro e musica. Questo arricchimento intelletuale, morale e spirituale, che porto con me alla fine di questi tre giorni, è un dono veramente incommensurabile che spero possa ampliare esponenzialmente il mio impegno nel raggiungimento degli obiettivi che mi sono prefisso. Barbara, Luciano e Francesco assieme a tutti gli altri componenti ad ampio raggio dell'Associazione Arena Sferisterio MOF sono una squadra vincente e ciò lo dimostra anche la riconferma per un ulteriore anno del direttore musicale Francesco Lanzillotta, che dovrà traghettare il Festival al centenario del 2021.
Verde Speranza 2018, Rosso Desiderio 2019 e Bianco Coraggio 2020: un percorso intelligente e creativo, che in una sequenza di colori (che richiamano la nostra bandiera) vuole ricordarci come il melodramma sia davvero un'eccellenza italiana (nato in terra fiorentina e da lì esportato in tutto il mondo) e come le scelte operate in terra marchigiana abbiano portato a un successo inconfutabile di pubblico e di qualità artistica. Grazie a Barbara, grazie a Luciano, grazie a Francesco e grazie a tutti coloro che in qualsiasi modo abbiano voluto condividere con me un momento di cultura, di musica e di ameno divertimento, in cui non è mai mancata la compagnia di buon cibo e di un calice di vino. (La recensione si riferisce allo spettacolo di domenica 21 luglio 2019)
Crediti fotografici: Ufficio stampa Macerata Opera Festival Nella miniatura in alto: il baritono Amartuvshin Enkabat (Rigoletto) Sotto, i tre protagonisti principali: ancora Amartuvshin Enkabat; Claudia Pavone (Gilda); Enea Scala (Duca di Mantova); Enkbat durante l’aria Cortigiani vil razza dannata Al centro in sequenza immagini di scena dei protagonisti Sotto: una bella panoramica notturna del palcoscenico e dei campanili di Macerata In fondo: l’ultima scena sulle rive del Mincio
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TORINO - Il titolo designato per l’inaugurazione del cartellone d’opera 2024 del Teatro Regio di Torino è il Don Pasquale di Gaetano Donizetti. Qui riproposto nel fortunato allestimento della fine degli anni '90 del Novecento, firmato da uno dei maestri della drammaturgia musicale italiana: il regista, scrittore e giornalista Ugo Gregoretti, la cui regia
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