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Il Borghese gentiluomo e Arianna a Nasso allestiti come atti politici a Palazzo Ducale di Martina Franca |
Denuncia sociale e grande musica di Strauss |
servizio di Valentina Anzani |
Pubblicato il 20 Agosto 2020 |
MARTINA FRANCA (TA), 1 e 2 agosto 2020 - Revisionato a causa dell’attuale crisi sanitaria, accantonati (o, si spera, solo rimandati) gli spettacoli inizialmente previsti, il 46.mo Festival della Valle d’Itria (oltre a una lunga serie di concerti e di eventi collaterali) ha ripiegato su due titoli che videro la collaborazione di Richard Strauss con Hugo von Hofmannsthal nel secondo decennio del Novecento. Scritta l’opera Ariadne auf Naxos nel 1912, Strauss e il librettista, per porre rimedio alla brevità dell’atto unico (di poco più di un’ora), l’appaiarono ad una rivisitazione - che ne facesse da cornice e da introduzione - del Bourgeois Gentilhomme di Molière con musica per danza e sezioni recitate. Dopo la fredda accoglienza dell’accoppiata, i due prodotti teatral-musicali ebbero vita indipendente l’uno dall’altro, sottoposti da Strauss a più d’una revisione. Il Festival di Martina Franca quest’anno li ha proposti entrambi in traduzione italiana (di Quirino Principe con Valeria Zaurino) a serate contigue, l’uno, Il borghese gentiluomo nella versione del 1917 e l’altra, Arianna a Nasso, in quella del 1912.
Il borghese gentiluomo Traendo la sua trama dalla pièce di Molière, questo lavoro racconta - in un susseguirsi di sezioni recitate, cantate e, soprattutto, danzate - come il parvenu Jourdain (interpretato da un carismatico Vittorio Prato) cerchi, con deludenti risultati, di recuperare in poco tempo quell’educazione alle arti del canto e del ballo (ma non solo) che erano parte del bagaglio culturale di un vero gentiluomo: solo acquisendole avrebbe davvero potuto essere incluso nell’alta società. I suoi vari maestri d’arte e ospiti altolocati si susseguono dunque sul palcoscenico interpretati da ballerini (i bravissimi Fabrizio Di Franco e Matilde Gherardi) e cantanti (Ana Victoria Pitts, Barbara Massaro, Manuel Amati, Nico Franchini, Vassily Solodkyy, Alfonso Zambuto, Alberto Comes, Eugenio Di Lieto, Djokic Strahinja). Se al Borghese gentiluomo si fatica a dare una definizione strutturale poiché non è opera, non è balletto, non è melologo, è però la musica di Strauss (diretta da un saldo Michele Spotti) a darvi unità, con i suoi infiniti echi di richiami pescati da questo o quel famoso compositore nella storia della musica.
  
  
Allo stesso tempo, l’allestimento proposto dal Festival è molto potente e comunicativo: lo spettacolo è infatti proposto come un atto politico. Tre interventi aggiunti, scritti da Stefano Massini e recitati da lui (il 14 luglio 2020) e da un empatico e coinvolgente Davide Gasparro (nelle altre repliche, tra cui quella cui ha assistito chi scrive), sollevano temi legati al valore e alla dignità dell’artista nei confronti della società, e obbligano ad una riflessione sul perché l’arte abbia il diritto di essere riconosciuta e retribuita. Gasparro è anche responsabile della mise en espace, che egli sfrutta come un’allegoria dei medesimi concetti: sul palcoscenico vi sono manichini con costumi di scena inerti, che gli attori non possono indossare, e pochi e simbolici altri oggetti di scena. Questo accade anche per i nastri rossi che a inizio spettacolo percorrono lo spazio di azione dei teatranti come sfarfallante segnaletica di cantiere, che poi dividono in sezioni come farebbero scenografie e che infine legano i personaggi come un filo d’Arianna. Essi assumono così una molteplicità di significati che necessitano di uno sforzo immaginativo da parte del pubblico, diventando metafore: se non ci sono soldi per il teatro, esso, privo dei suoi strumenti, langue, incapace di creare contenuto e comprensione.
Arianna a Nasso Anche la sera successiva l’opera suggerisce provocazioni a proposito del tema del moderno valore del teatro e dell’odierna gestione di quel mondo (in tempo di crisi sanitaria e non); mette infatti in scena un insuccesso teatrale e approfondisce il legame tra opera seria (di stampo Sei-Settecentesco) e commedia dell’arte e le relative possibili commistioni tra generi tragico e comico: l’arricchito Monsieur Jourdain (ora interpretato dall’attore Marco Bellocchio), ignorante che nulla sa delle caratteristiche e delle strutture dei generi teatrali, ordina che nella sua casa sia allestito un intrattenimento scenico a beneficio dei suoi ospiti Dorante e Dorimène (Marco Fragnelli e Sara Putignano), ma impone con leggerezza una disequilibrata commistione tra alcuni interventi comici e il dramma dell’abbandono di Arianna (e il suo successivo elevarsi a consorte del dio Bacco). Lo spettacolo è denso di spunti di riflessione e momenti musicali altissimi: la delusione degli ospiti/spettatori è lo specchio del fallimento delle intenzioni del committente Jourdain, e l’insuccesso rappresentato in scena è metafora metateatrale dei rischi che si corrono nell’affidare l’arte a chi la volesse strumentalizzare. Allo stesso tempo la direzione di Fabio Luisi in testa all’Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari sfiora l’elegia. Carmela Remigio è stata una Arianna assertiva, abbandonata su sé stessa, prosciugata dal dolore e dall’incredulità, eppure mai patetica, ma anzi eroina romantica e barocca allo stesso tempo e la sua vocalità brunita, calda, il suo dire ineccepibile, il suo nobile portamento l’hanno resa credibilissima. Suo contraltare era la brillantissima Zerbinetta di Jessica Pratt. Maestosa nei gesti, ella ha sfoggiato tutta la bravura delle sue agilità sgranate e dei suoi acuti pungenti nella sua lunghissima aria, nella pirotecnia della cui scrittura musicale vi è tutta la filosofia di vita poliamorosa del personaggio: ama spesso e con veemenza, senza fermarsi sull’uno o sull’altro, vedendo in ognuno una nuova entità da adorare, ma sempre ribadendo la propria libertà. Le volteggiavano intorno gli altri componenti della compagnia di comici Scaramuccia, Truffaldino, Brighella (rispettivamente Vassily Solodkyy, Eugenio Di Lieto, Manuel Amati) tra i quali si è distinto l’Arlecchino di Vittorio Prato, dalla vocalità solida e dalla fisicità sempre molto comunicativa e prorompente. Apprezzabili anche gli interventi di Piero Pretti (Bacco) e delle tre ninfe Barbara Massaro, Ana Victoria Pitts e Mariam Battistelli.
  

Se l’allestimento scenico, affidato a Walter Pagliaro è risultato confuso, le singole responsabilità recitative degli interpreti sono state invece molto efficaci. Particolarmente lodevole è poi l’intento provocatorio e di denuncia sociale offerto dall’insieme dei due allestimenti consecutivi del Borghese e di Arianna in dialogo, che confermano la fondante missione di un Festival come quello di Martina Franca: alimentare la riflessione sul proprio tempo mettendolo in prospettiva con il passato.
Crediti fotografici: Clarissa Lapolla per il Festival della Valle d'Itria Nella miniatura in alto: il direttore Michele spotti (sul podio di Il borghese gentiluomo) Sotto: scene da Il borghese gentiluono Nella miniatura al centro: il direttore Fabio Luisi (sul podio di Arianna a Nasso) Sotto: scene da Arianna a Nasso
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