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Arena di Verona con il tutto esaurito anche per la seconda serata del Festival 2018

Aida un trionfo annunciato

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 24 Giugno 2018

180624_Vr_00_Aida_JordiBernacerVERONA - Non è bastata la prima sera del 96° Festival areniano ad infiammare gli animi e le emozioni, ma a quanto pare ha solo fatto ardere penne e calamai che si sono letteralmente infuocati di stupore misto a delusione per l’apertura musicalmente e scenicamente piatta del quasi centenario evento veronese; anche su questa testata potrete leggere qui sotto il resoconto della serata inaugurale per farvi un’idea, assieme ad altri resoconti facilmente reperibili in rete.
Il giorno seguente  alla “prima” assoluta del nuovo allestimento della Carmen di Bizet a firma di Hugo de Ana, ha trovato di nuovo posto sul palcoscenico scaligero l’Aida di Giuseppe Verdi a firma registica e scenica di Franco Zeffirelli; ormai si è scritto molto su questo allestimento, ma il piacere di essere inondati per tre ore e mezzo da uno sfavillio di luminosi colori è sempre qualcosa che rinfranca l’animo e lo fa volare in una dimensione quasi onirica; le foto ne sono una prova e le parole sono superflue; i costumi sono di Anna Anni.
Ci sono molti aneddoti in merito all’Aida e curiosando qua e là ne ho trovato uno che non conoscevo - magari voi sì - e che voglio riproporvi per il piacere e per la gaiezza che mi ha suscitato nel leggerlo: «Ogni opera di Giuseppe Verdi aveva e ha ancora una sfumatura drammatica ben precisa, quella che lo stesso compositore chiamava "tinta musicale". Anche quella dell' Aida è ben riconoscibile, ma come riuscì il musicista bussetano a ottenere un effetto così esotico e intrigante? L'ispirazione musicale può essere spesso bizzarra e ne è un chiaro esempio proprio questa storia ambientata nell'antico Egitto. Vale la pena approfondire un aneddoto relativo al periodo in cui l' Aida era ancora in fase di composizione, un racconto che rende ancora più interessante l'ascolto e che contribuisce alla "popolarizzazione" di uno dei titoli verdiani più noti e apprezzati. La storia è stata riferita da un amico del professor Stefano Sivelli, il quale faceva parte dell'orchestra nelle prime rappresentazioni dell'opera al Cairo e a Parma (nel 1872). Nell'autunno del 1869 (dunque due anni prima del debutto dell' Aida in Egitto) Sivelli si trovava proprio a Parma, più precisamente nel negozio di Casali, specializzato nella vendita di oggetti in ceramica e terracotta. L'orchestrale stava parlando con il proprietario, noto come Chitarren, prima di essere interrotto dall'ingresso di un uomo dai capelli brizzolati insieme a una donna dall'aria stanca e sofferente. Non c'erano dubbi, si trattava di Giuseppe Verdi e di sua moglie Giuseppina Strepponi. Secondo l'aneddoto, inoltre, il compositore era interessato all'acquisto di alcune scodelle, mostrate con grande solerzia dal proprietario, il quale però non lo aveva riconosciuto. Improvvisamente dall'esterno tutti udirono una voce inconfondibile, quella di Paita, il venditore di pere cotte: "Boiènt i pèr còtt, boiènt" (pere cotte bollenti). La cantilena, monotona e sempre più insistente, attirò l'attenzione di Verdi che lasciò perdere il negoziante, la moglie e le scodelle. Sivelli avrebbe parlato di una luce particolare nei suoi occhi, fatto sta che il Cigno di Busseto prese il suo piccolo taccuino, si avvicinò alla porta e annotò poche righe. Subito dopo tornò dalla moglie per accettare i suoi consigli e completare senza ulteriori indugi l'acquisto. Una scena del genere poteva essere dimenticata in fretta, ma non fu il caso dell'orchestrale. Due anni dopo Sivelli studiò per la prima volta lo spartito dell' Aida e all'inizio del terzo alto fu immediatamente colpito da un tema familiare. In questa parte dell'opera si può udire un coro di sacerdoti e sacerdotesse nei pressi del Nilo ("O tu che sei d'Osiride") e le note melanconiche e mistiche riportarono alla mente di Sivelli l'episodio del negozio e delle pere cotte: Verdi si era lasciato ispirare dalla voce tenorile di Paita per scrivere questa pagina del suo lavoro. Come spiegò lo stesso orchestrale: da quel momento Paita non era più la persona da cui, da ragazzo, compravo la frutta: era diventato niente meno che uno sconosciuto collaboratore di Verdi. L'inizio di questo terzo atto è a dir poco affascinante: Verdi ottenne un effetto di quiete, come quella di una notte tropicale. Oltre ai violini c'è un arabesco del flauto: viene impiegata una oscillazione tra Si e Si bemolle, con il coro maschile che canta in Mi minore e la sacerdotessa che risponde in Sol minore. Può sembrare strano che una tinta musicale così pregevole sia derivata dalla voce di un venditore di frutta, ma è bello immaginare Verdi alle prese con situazioni comuni per creare le sue opere. Dopo la prima e trionfale rappresentazione al Cairo, il critico Filippo Filippi pubblicò un resoconto piuttosto puntuale: il Verdi segue sempre quella via di progresso artistico già iniziata nel "Don Carlos" e sempre senza rinunziare al passato: il vecchio e il nuovo Verdi si fondono in modo mirabile; lo svincolo dalle convenzioni, dalle formule, è assoluto; le concessioni fatte alle esigenze dell'arte nuova sono palesi, ma nello stesso tempo c'è il maestro italiano che affascina con la spontaneità della melodia, colla larghezza della frase, con l'efficacia calorosa del dramma. Filippi era stato dunque pienamente conquistato da questa tappa dell'evoluzione artistica verdiana, la terzultima della sua lunga carriera. Si può forse dire che l'aneddoto è fin troppo romanzato e ricostruito ad hoc, per non parlare del fatto che solitamente non ci si ricorda di un fugace episodio a distanza di così tanto tempo. Le critiche ci possono stare, ma Verdi è stato sempre un acuto osservatore del quotidiano con cui aveva a che fare: la Pianura Padana è la terra che ha ispirato le sue melodie e il povero Paita merita un piccolo posto tra le fonti di ispirazione del capolavoro, grazie a una voce ben impostata e alla vendita delle pere cotte, anzi bollenti.” - (Simone Ricci tratto da operalibera.net)
Come Scarpia avrebbe dato la vita per asciugare il pianto di Tosca al pari anche io avrei bramato di assistere a questo quadro che porta davvero i sapori e gli aromi di un tempo che fu.
In Arena non ho sentito il profumo delle pere cotte, piuttosto una fragranza musicale di grande pregio emanata da una buca orchestrale che sotto la guida del M° Jordi Bernàcer ha saputo tradurre in grande musica lo spartito verdiano; fluido, morbido, elegante, elegiaco ed irruente possono essere gli aggettivi più consoni per delineare una sì piacevole direzione: nello spazio di tre ore ogni sentimento ed ogni intenzione sono emerse in maniera chiara e precisa concretizzandosi un sicuro appoggio per il palcoscenico dove il rapporto è sempre stato interlocutorio e di grande rispetto per le voci soliste e per il coro.

180624_Vr_01_Aida_AnnaPirozzi_FotoEnnevi180624_Vr_02_Aida_YusifEyvazov _FotoEnnevi180624_Vr_03_Aida_VioletaUrmana_FotoEnnevi
180624_Vr_04_Aida_LucaSalsi_FotoEnnevi180624_Vr_05_Aida_RomanoDalZovo _FotoEnnevi180624_Vr_06_Aida_VitalijKowaljow _FotoEnnevi

Sulle tavole del palcoscenico si è esibita per la prima volta nel ruolo eponimo - a Verona - il soprano Anna Pirozzi che beneficia di una vocalità molto adatta all’emiciclo; la gamma dei suoni è uniforme in tutta la sua estensione; le note gravi sono affrontate senza affondi né senza emettere suoni gutturali o di petto mentre quelle più impervie godono della fragorosità della potenza, ma sanno felicemente e facilmente modulare verso un canto smorzato, quasi filato per restituire appieno le emozioni della giovane schiava.
Egregia anche la prova di Yusif Eyvazov come Radamès che gode di un’ottima facilità alle salite in acuto mettendo in luce una solida capacità di gestire i fiati e i colori; l’aria di sortita è stata cesellata come un bravo orafo lavora ed intarsia il prezioso metallo, mentre nei concertati e nei momenti di assieme non è venuta meno la sua prorompenza, sempre comunque misurata e rispettosa delle voci dei colleghi.
In merito al mezzosoprano Violeta Urmana nei panni di Amneris come è mio solito, non esprimo considerazioni di sorta quando un artista fa annunciare una sua indisposizione se non per ringraziarla umanamente per la professionalità dimostrata nel voler proseguire la recita.
L’Amonsasro di Luca Salsi non è stato un cesello di finezza e di eleganza nel ruolo; il canto ha sempre virato verso un’emissione piuttosto sguaiata e poco raffinata in cui anche il fraseggio ha spesso latitato; se è andata meglio l’entrata dell'aria Anch’io pugnai, il terzo atto (nel duetto con la protagonista) le annotazioni di cui sopra si sono notevolmente accentuate, virando talvolta verso un canto che aveva più di declamato che non di melodico.
Di pregio il Re per voce di Romano Dal Zovo che ha dimostrato carattere e personalità; la voce corre e rotea nell’aere con grande facilità e sicura dizione.
Non entusiasmante questa sera la prestazione iniziale di Vitalij Kowaljow nel ruolo di Ramfis che ha messo in luce un timbro piuttosto appannato e poco a fuoco evidenziando talvolta qualche fatica nelle ascese verso l’acuto; è migliorato durante l’evolversi della serata con un’esecuzione delle accuse del quarto atto molto più centrate ed elegiache.

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Di spavalda sicumera la voce di Antonello Ceron nei panni di Un messaggero.
Elegante e sensuale il soprano Francesca Tiburzi nel ruolo fuori scena della Sacerdotessa; precisa intonazione ed ottima interazione con il coro femminile.
Una novità le coreografie di Vladimir Vasiliev rinnovate e fresche che hanno arricchito con grande fascino i momenti canonici a loro assegnati ed in cui si sono esibiti i primi ballerini: Beatrice Carbone, Petra Conti e Gabriele Corrado.
Il Coro dell’Arena di Verona preparato e diretto dal M° Vito Lombardi ha dato grande prova in questa recita dimostrandosi coeso e attento al gesto orchestrale, rimanendo in grande sintonia con strumentisti e solisti e regalando una delle più belle serata di musica mai udite in Arena.
É inutile dire che ogni posto di ogni ordine e grado pullulava di un pubblico festante ed entusiasta; entusiasmo che si è concretizzato per gli ascoltatori delle gradinate con un omaggio ai musicisti durante il quarto atto in cui una miriade di candeline si sono accese per dare luce e per far sentire il piacere di essere avvolti da sì grande e bella musica.
Non si sarà potuto godere dell’aroma di pere cotte come fece il buon Verdi in quel di Parma, ma un profumo più mentale che fisico si è percepito in questa fresca sera di giugno: era il profumo del sudore e della fatica di ciascun artista nell’atto di servire ed omaggiare il pubblico attraverso l’arte della musica.
Repliche 28 giugno, 8, 10, 14, 19, 22, 27 luglio, 2, 5, 7, 11, 19, 23, 29 agosto, 1 settembre.  
(Recita di sabato 23 giugno 2018)

Crediti fotografici: Foto Ennevi per la Fondazione Arena di Verona
Nella miniatura in alto: il direttore Jordi Bernàcer
Al centro in sequenza: Anna Pirozzi (Aida); Yusif Eyvazov (Radames); Violeta Urmana (Amneris); Luca Salsi (Amonasro); Romano Dal Zovo (il Re); Vitalij Kowaljow (Ramfis)
Sotto: una bella panoramica di Foto Ennevi sull'allestimento curato da Franco Zeffirelli






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