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Il direttore Renato Palumbo e il cast contribuiscono a un'edizione memorabile dell'opera di Verdi |
La Moreno grande Traviata |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 20 Gennaio 2025 |
GENOVA - Continua a riscuotere un grande successo di pubblico la stagione operistica del Teatro Carlo Felice con il quarto titolo in cartellone che rappresenta uno dei capolavori assoluti del repertorio lirico, nonché l’opera più rappresentata al mondo: La Traviata di Giuseppe Verdi. Inserire Traviata in stagione si è rivelata una scelta vincente. A oltre 170 anni dal debutto, l’opera di Verdi continua a emozionare e coinvolgere il pubblico, anche quello genovese presente in numerose recite che hanno registrato il tutto esaurito, confermandone il fascino di quest'Opera senza tempo. Nell’allestimento di Giorgio Gallione il sipario si alza e una fredda luce si riversa sulla scena, tagliente e immobile. È il Dottor Grenvil a introdurci in un mondo che già da subito si mostra come un limbo irreale, un luogo sospeso dove la vita e la morte si fronteggiano senza pietà. Sul pavimento di vetro incrinato, segno tangibile di una frattura ormai irreparabile, emerge un albero spoglio, bianco, illuminato da cristalli: fragile, spezzato, eppure ostinato. È da qui che prende il via il racconto di Gallione, una narrazione che ci trascina in un flashback viscerale e allucinato. La visione si scompone nel preludio, danzato da tre figure identiche a Violetta, con abiti bianchi macchiati di rosso, preannunciando il sangue e la passione che segnano la sua esistenza. Non c’è calore in questo mondo; la scenografia, firmata da Guido Fiorato, costruisce un ambiente sterile e glaciale, un bianco e nero che amplifica l’angoscia di un dramma già scritto. Il rosso, quando appare, è tagliente come una ferita, un richiamo visivo alla vita che si consuma e alla morte che avanza.


Nel secondo atto, parte seconda, la scena cambia, ma non la tensione. I pomi rossi, sparsi sul palco, sembrano frammenti di un paradiso fugace, fragile quanto i sacchi neri da cui cadono a terra, schiacciati sotto il peso delle invettive di Giorgio Germont. La carica visiva raggiunge nuove vette con le danze delle Zingarelle e dei Mattadori, avvolti in un’atmosfera intensa e seducente, con una teatralità che sfiora il sovrannaturale. Ogni movimento, ogni tonalità esprime una narrazione di declino, di speranze spezzate e di passioni negate. Il terzo atto ci riporta al punto di partenza, ma con un’intensità rinnovata. Violetta giace accanto all’albero abbattuto, mentre le luci si spengono lentamente, lasciando il palco in penombra. Sopra di lei, un soffitto a specchio riflette ogni cosa: non per rivelare, ma per amplificare il senso di disgregazione. La sua immagine riflessa sembra un’eco lontana di ciò che era, un’illusione che si spegne con lei. A invadere questo momento di intimità arriva il carnevale, una sfilata grottesca di scheletri con il cilindro e uccelli simili ai medici della peste. Lo scenografo Fiorato trasforma ogni elemento scenico in un simbolo vivo, una presenza che amplifica il dramma interiore di Violetta. I contrasti cromatici, il vetro che separa e riflette, l’alternanza tra gelo e passioni violente: tutto concorre a creare un’esperienza visiva di straordinaria intensità. Le luci sono curate da Luciano Novelli. La direzione musicale affidata al M° Renato Palumbo rappresenta uno dei punti di forza di questa produzione, offrendo un’interpretazione che esalta ogni dettaglio della partitura verdiana. Con una lettura precisa e sensibile, Palumbo riesce a far emergere l’ampio spettro emotivo che attraversa l’opera, mantenendo un equilibrio perfetto tra orchestra, coro e cantanti. Ogni frase musicale è curata con attenzione, ogni pausa e ogni crescendo diventano parte di un racconto che coinvolge lo spettatore fin dalle prime note.

Riportiamo dal libretto di sala: «... con La Traviata Verdi sceglie la strada della semplicità – spiega Renato Palumbo – semplice è la trama, semplice la scrittura musicale. Semplice, colloquiale, moderno e illuminato è il libretto di un ispirato Francesco Maria Piave, sicuramente marcato stretto però dall’implacabile Verdi. Dietro questa semplicità si nasconde un mondo meraviglioso fatto di solitudine, di passione e soprattutto di dolore. Il dolore affettivo ma anche il dolore fisico. Il dolore è quindi presente dalla prima all’ultima nota dell’opera. Il Direttore d'orchestra ha il difficile compito di narrare e creare quest’atmosfera ricercata da Verdi, pensando alla scrittura musicale ma soprattutto alla parola verdiana che in quest’opera diventa quella della quotidianità. Con la sua forza e, in questo caso, con i suoi grandi silenzi. Così sarà la mia lettura di Traviata, un omaggio al ricordo della breve e intensa vita di Marie Duplessis, cortigiana morta sola a Parigi il 3 febbraio del 1847, della quale Verdi più degli altri capì la sofferenza e che cercò di rendere immortale con un’opera perfetta.» La sua visione si traduce, dunque, in una direzione che riesce a sostenere con delicatezza i cantanti, offrendo loro un appoggio sicuro, senza mai sovrastare il dramma umano che si consuma sul palco.

   
L’amalgama tra la massa corale e l’orchestra si rivela impeccabile, creando un tessuto sonoro uniforme che amplifica il pathos della vicenda. Il risultato è un’interpretazione capace di rendere giustizia alla semplicità profonda e all’intensità emotiva che caratterizzano la partitura. Un cast di grande livello affolla il palco del teatro genovese regalando una recita di intense emozioni. Nel ruolo di Violetta Valéry, il soprano Carolina López Moreno offre un’interpretazione di grande spessore artistico, capace di restituire tutta la complessità del personaggio sia sul piano vocale che scenico. Con una voce piena e ben centrata, il soprano dimostra un’abilità tecnica notevole, modulando ogni frase con sensibilità e intelligenza interpretativa. Viene spesso detto che La Traviata richieda tre soprani diversi per affrontare le sfide dei tre atti, ma López Moreno smentisce questo luogo comune con una prestazione equilibrata e ponderata, frutto di una gestione accorta delle forze vocali. Nel primo atto si presenta convincente e incisiva, ma è negli ultimi due atti che la sua interpretazione raggiunge il massimo splendore. In particolare, nel terzo atto riesce a catturare il pubblico con mezze voci perfette, filati di rara bellezza e un controllo impeccabile dello strumento vocale, rendendo ogni momento musicale ricco di pathos e autenticità. La López Moreno non solo canta, ma “vive” Violetta, trasmettendo con intensità le emozioni di un personaggio che passa dall’euforia giovanile alla rassegnazione della malattia, fino alla tragedia finale. Completamente a suo agio nel ruolo di Alfredo Germont, il tenore Francesco Meli conferma ancora una volta di trovarsi in un territorio di elezione per la sua vocalità. Con una performance di livello, mette in risalto uno smalto vocale nitido e cristallino, caratterizzato da una brillantezza che cattura l’attenzione fin dalle prime battute. Il tenore genovese si distingue per un fraseggio raffinato, capace di donare profondità e sfumature al personaggio. Ogni parola e ogni nota sono curate con precisione, rendendo Alfredo non solo credibile sul piano tecnico, ma anche autentico e umano nella sua evoluzione emotiva. La facilità con cui affronta le difficoltà tecniche del ruolo, unita a un controllo impeccabile dell’emissione e a un’espressività intensa, consente a Meli di costruire un Alfredo affascinante e pieno di ardore giovanile. Con il baritono Roberto Frontali nel ruolo di Giorgio Germont, si raggiungono livelli di interpretazione di straordinaria raffinatezza. La sua esperienza si traduce in una performance che unisce tecnica impeccabile e profondità emotiva. L’artista dimostra un controllo assoluto del fraseggio, curando ogni dettaglio con meticolosa attenzione. Ogni accento, ogni parola scenica è scolpita con precisione, restituendo la complessità di un personaggio che si muove tra l’ipocrisia iniziale, dettata dalle convenzioni sociali, e il dolore autentico che affiora nel corso della vicenda. La sua interpretazione non si limita a eseguire la partitura, ma scava nelle pieghe emotive di Germont, rendendolo un uomo intrappolato nei propri conflitti interiori. La voce calda e avvolgente, si distingue per il controllo impeccabile e per una ricerca costante dell’intenzione drammatica. Ogni frase è carica di significato, trasformando il canto in un racconto profondo e coinvolgente. Ne risulta quindi un personaggio centrale, ricco di sfumature, in cui emerge un’intima umanità. La forza della sua interpretazione risiede nella capacità di fondere la grandezza vocale con un’intensa espressività, offrendo una lettura che esalta non solo il talento dell’artista, ma anche la profondità del personaggio. Nel quadro di una produzione già di alto livello, una schiera di comprimari di lusso arricchisce ulteriormente il cast, conferendo a questo allestimento una compattezza e una qualità complessiva encomiabili. Carlotta Vichi, nel ruolo di Flora Bervoix, si distingue per presenza scenica e vocalità ben calibrata, capace di dare vivacità al personaggio. Al suo fianco, Chiara Polese (Annina) offre una caratterizzazione tenera e partecipe. Francesco Milanese, nel ruolo del Dottor Grenvil, conferisce al suo personaggio un autorevole equilibrio, mentre Roberto Covatta, nei panni di Gastone, brilla per energia e vivacità, dando un tocco di leggerezza all’insieme. Claudio Ottino, impeccabile come Barone Douphol, trasmette con efficacia la freddezza e l’arroganza del suo personaggio. A completare questa solida squadra troviamo Andrea Porta (Marchese d’Obigny), Loris Purpura (Domestico di Flora), Giuliano Petouchoff (Giuseppe) e Filippo Balestra (Commissionario), tutti all’altezza dei rispettivi ruoli. Di grande spessore artistico anche la prestazione del coro, preparato e diretto con cura dal M° Claudio Marino Moretti, che si rivela un elemento fondamentale per il successo complessivo della produzione: la prova dei coristi si distingue per la compattezza delle voci e per una precisione esecutiva che esalta ogni passaggio della partitura verdiana. Grazie a una direzione attenta e scrupolosa, il coro non si limita a fare da sfondo, ma diventa un protagonista collettivo, capace di aggiungere profondità e forza emotiva alle scene. Teatro sold-out ed esito festante per tutti. (La recensione si riferisce alla recita del 19 gennaio 2025)

Crediti fotografici: Ufficio stampa del Teatro Carlo Felice di Genova Nella miniatura in alto: il soprano Carolina López Moreno (Violetta Valery) Sotto in sequenza: il direttore Renato Palumbo; Carolina López Moreno; Roberto Frontali (Giorgio Germont) e Francesco Meli (Alfredo Germont); Carolina López Moreno e Francesco Meli; scena con Giorgio Germont, Violetta, Alfredo e l'albero caduto; Al centro in sequenza; la danza delle Zingarelle e dei Mattadori: Carolina López Moreno e Francesco Meli; Carlotta Vichi (Flora Bervoix) e Carolina López Moreno; ancora Carlotta Vichi; Roberto Frontali In fondo: i saluti finali del cast
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