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Il cast dell'opera esotica di Mascagni trionfa a Livorno nel 120° anniversario |
La splendida Iris della Marrocu |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 20 Dicembre 2017 |
LIVORNO - Iris di Pietro Mascagni, è stato il nuovo allestimento della Fondazione Goldoni di Livorno che, per celebrare nel 2018 i centoventi anni della première, è per la prima volta realizzata con una coproduzione Italia/Giappone. Questo nuovo allestimento è infatti realizzato con Kansai Nikikai Opera Theater Osaka - dove è già stato rappresentato nel maggio scorso con strepitoso successo - e con il Teatro del Giglio di Lucca e Teatro Verdi di Pisa dove sarà rappresentato nei primi mesi del prossimo anno. Prima di questa, soltanto due erano state le rappresentazioni di Iris in Giappone, entrambe a Tokio e prodotte dai giapponesi: la prima nel Teatro Nissei nell’agosto 1985 e poi trenta anni dopo, nel 2015 (ma in forma di concerto) diretta dal M° Andrea Battiston, direttore principale della Tokyo Philharmonic Orchestra. Questa nuova produzione che parte dalla città labronica vede per la prima volta in un teatro italiano, l'opera giapponese di Mascagni firmata da un regista proveniente dal paese del Sol Levante, Hiroki Ihara, uomo di teatro già noto in Italia per alcune produzioni operistiche di successo. Il cast è il risultato del "Mascagni Opera Studio", il progetto del Teatro Goldoni che si è avvalso della preziosa collaborazione del Rotary Club Livorno e si è concluso con una masterclass condotta dal soprano di fama internazionale Paoletta Marrocu, che è stata l’interprete del ruolo del titolo nella serata del 16 dicembre 2017 cui si riferisce il seguente articolo. In merito a questa artista potete leggere qui una mia intervista realizzata in occasione di questo debutto livornese. Per meglio farvi capire l’idea del regista Giapponese Hiroki Ihara voglio farvi partecipi di questo suo pensiero tratto dal libretto di sala: «Iris di Mascagni è superiore alla Butterfly di Puccini in termini di realizzazione di un autentico Giappone. Mascagni ed Illica hanno creato un'espressione più libera e vera, nel senso che descrive un Giappone immaginato attraverso la grande influenza che il Japonisme (la penetrazione dell'arte figurativa e della letteratura giapponese in Europa, prima di tutto attraverso Hokusai e la sua pittura) ha portato in Europa. Orientalismo, Impressionismo e Decadentismo sono le parole chiavi da utilizzare per questo capolavoro: a tratti mi sembra che Iris sia più vicina alla Turandot che alla Butterfly. Ci sono tre uomini intorno a Iris. Sono tutti egoisti: sfruttamento, pressione sessuale e dipendenza, questo è ciò che li contraddistingue nel loro comportamento verso Iris. Liù, grande eroina pucciniana della Turandot ,ci ha fatto conoscere la forza del sacrificio. Iris ci mostra l’arma più forte del sacrificio: la resistenza passiva dell’innocenza. Alla fine Iris diviene veramente la grande eroina rappresentante la vittima di ogni tipo di sfruttamento e maltrattamento nella vita degli esseri umani.»
L’idea è molto semplice e passa attraverso quel carattere esile e privo di una pregnanza teatrale per il quale lo stesso Mascagni avrebbe preferito un finale scenografico trionfale; qui i personaggi sono tendenzialmente poco delineati quasi a voler negare l’idea di un teatro realista e veritiero; ecco che allora le numerose didascalie diffuse nel libretto servono ad aiutare a comprendere e tradurre in scena i personaggi che rimangono piuttosto fantocci o bambole dipinti e mossi da reazioni inconsulte e talvolta ingiustificate. La loro risoluzione è quindi affidata ad un’estetica simbolista fatta di emblemi, mentre il ruolo di protagonisti viene assunto dal solenne Fujiyama, dalla cornice, dagli elementi decorativi e dagli espliciti simboli che Illica dissemina in tutto il libretto. In quest’ottica il regista nipponico ha saputo cogliere appieno tutte le sfumature dell’opera e tutti i suggerimenti del testo riuscendo a coniugare le esigenze del Teatro con un’immediata e chiara comprensione per il pubblico che non ha fatto fatica - parlo per lo meno per me e per qualche amico con cui mi sono confrontato negli intervalli - a trovare la completa ''quadra del cerchio''. Completavano la squadra scenica alle luci ancora Hiroki Ihara il colorato e artistico scenografo Sumiko Masuda, i pertinenti costumi di Tamao Asuka e le coreografie armoniche e piacevoli di Rina Ikoma. Venendo al cast vocale della serata posso dire che l’orecchio ha saputo godere appieno di ottime voci ed altrettanto ottime interpretazioni sceniche in cui il carattere primiero di “poca delineazione” dei personaggi ha saputo tradursi in un comportamento fatto di gesti e simboli che sono riusciti da soli a dare una piena spiegazione dei labili eventi. Nei panni di Il Cieco il basso Manrico Signorini ha saputo tradurre emozionalmente un personaggio che oscilla tra l’ingratitudine e l’egoismo; la voce è tutt’altro che fresca e mostra delle asperità piuttosto marcate soprattuto in acuto, ma trova ampi spazi di risonanza e di perentorietà nelle note medio gravi riuscendo a regalare una pagina finale del primo atto di grande impatto scenico ed emotivo. La Iris di Paoletta Marrocu si è rivelata vincente sotto tutti i fronti; scenicamente è stata emozionante, empatica, dolce, bambina, fragile ed insicura, ma al contempo matura, forte e determinata nel dirigere la vita verso la sua metamorfosi nel fiore che a tratti compare sulla scenografia come andarci a preannunciare l’epilogo; e proprio in questo epilogo anche la morte è stata sublimata da una scelta registica che non vede il momento estremo con un evento buio e triste, bensì lo mostra proprio alla stregua di un momento di luce in cui la protagonista viene inondata di petali che scendono luminosi dall’alto; sempre nell’interpretazione della Marrocu un’intensa scena cosiddetta “della piovra” in cui voce e movenze devono trovare un intenso connubio per rendere appieno la drammaticità del momento in cui la sillabazione serrata non dà tregua e trasforma l’adolescenza bamboleggiante in personaggio con intensa vis drammatica; la voce di Paoletta è salda, generosa, ricca di armonici e sa attraversare senza indugio tutto il rigo musicale mettendo in mostra ottime note gravi piene e ben timbrate e slancianti acuti in cui il fraseggio e l’eleganza del canto sono assoluti gioielli di gusto e perfezione nel porgere la parola cantata. Mi è piaciuto molto l’approccio del tenore Paolo Antognetti nei panni di Osaka; nella "serenata di Jor" le struggenti melodie dai mille colori hanno trovato buona corrispondenza interpretativa anche se qualche suono non è risultato molto centrato ed il fraseggio non sempre elegante e corretto; si è trattato di un debutto in un ruolo importante e probabilmente una componete emozionale ha reso l’impresa un pochino più irta; il riscatto si è avuto nel grande duetto d'amore del secondo atto, in cui emerge ancora una volta l'eroe passionale di cui è pregna l’idea mascagnana del tenore che si barcamena tra malinconia e insoddisfazione; sono sicuro che l’impegno e la voglia di migliorare possano trovare un fertile terreno in una vocalità schietta e in un timbro piuttosto accattivante. Kyoto interpretato dal bass-baritone Carmine Monaco d’Ambrosìa è stato un cesello di arte scenica e di interpretazione vocale; perentorio nei suoi interventi si è dimostrato artista a tutto tondo incarnando la malvagità di un personaggio cui non importa nulla se non il suo tornaconto; ogni gesto, ogni movenza si sono sempre legati alla parola cantata che si beava di un’ottima proiezione, un bellissimo e morbido timbro e un’intonazione ineccepibile che hanno reso la sua partecipazione all’opera mascagnana degna di un encomio particolare. Brava sensuale e quasi eterea la Dhia di Alessandra Rossi che ha anche interpretato il ruolo di Una Guècha; è stata capace di trovare gli accenti giusti nel racconto nel Teatrino dei Pupi in cui narra della sua salvezza ad opera di Jor figlio del Sole con partecipazione scenica di tutto rispetto. Il ruolo di Un Cenciaiolo è stato affrontato con grande bravura dal tenore livornese Didier Pieri che si è saputo mettere in luce per un’ottima intonazione in una pagina musicalmente difficile; completavano degnamente il cast Un Merciaiolo ancora Didier Pieri e Due Cenciaioli Tommaso Tomboloni, Marco Innamorati.
Il Coro Ars Lyrica preparato dal M° Marco Bargagna è stato “rimpolpato” da un coro aggiunto per Inno del sole istruito dal M° Luca Stornello; nel complesso ho potuto notare un buon lavoro nonostante una fusione non sempre perfetta nel trovare i giusti colori con una punta di eccellenza per il coro femminile che si è particolarmente messo in luce nell’ampio momento musicale con il soprano. L’amalgama di tutti questi elementi visuali e vocali ha trovato nella mano direttoriale del M° Daniele Agiman un valido aiuto; il suo approccio allo spartito mi è sembrato meticoloso ai limiti del certosino per andare a scandagliare tutte le sonorità che Mascagni ha voluto trasfondere in queste grandi pagine musicali; come dice lo stesso Direttore nella pubblicazione di sala «… La musica di Puccini arriva diretta al cuore mentre Mascagni… Ecco il cuore del problema: con Iris, Mascagni realizza, in piena unità di intenti con Illica, la sua "opera più filosofica" (così si esprime nelle lettere scritte nel periodo della composizione del lavoro), un'opera in cui il pubblico è chiamato non ad assistere ad una vicenda, ma a riflettere contemporaneamente allo svolgersi della vicenda stessa....e che vicenda… Una costante necessità, per Mascagni ed Illica, di fare vivere all'ascoltatore un'esperienza di trascendenza e di ricerca di senso mentre si assiste allo svolgersi della vicenda: è chiaro che un simile intento va contro ad ogni volontà di immedesimazione, e richiede, da parte del pubblico, un altissima capacità di riflessione e penetrazione. Difficoltà per il pubblico in prima battuta, dunque; ma immane, ed inattuale, la sfida per gli interpreti, a cui viene demandato il compito di rendere "credibile" un'idea di teatro musicale, che è di tutto Mascagni, in cui non basta cantare giusto o bene... occorre trovare e mettere "intenzione", senso, in ogni parola, gesto, attesa, respiro, costruendo un personaggio credibile, e facendolo interagire con l'ambiente (che nell'opera non è solo la scena, ma ancor di più l'ambiente sonoro creato dall’orchestra). Bisogna crederci... credere anche a certe enfatizzazioni, come nel teatrino del primo atto (il teatro della Duse e di D'Annunzio, dei Telefoni Bianchi e della Bertini), o a certe frasi al limite dello sguaiato, come per il coro nella grande scena dello Yoshiwara del secondo atto (estetica del brutto, tra Shakespeare e la filosofia tedesca dell'Ottocento, e che in Verdi, grande estimatore di Mascagni, aveva trovato compiuta realizzazione).... Crederci, sapendo che si tratta di un teatro inattuale perché difficile, ma che ripaga ascoltatori e interpreti delle fatiche con una contemplazione rara sul senso ultimo delle cose.»
Ed anche lui ci ha creduto riuscendo a trasfondere nel suo impegno il significato più recondito di ogni pagina e di ogni nota sì da tramettere ai professori dell’Orchestra Filarmonica Pucciniana quel senso profondo che scaturisce dalle note che, pur non avendomi dato forti emozioni come mi succede con altri componimenti, mi ha fatto comunque assaporare la vibrazione più intima di una melodia che porta la mente a vagare verso lidi lontani con la consapevolezza che la musica riesce sempre e comunque a mettere pace dove la pace non c’è. Il Teatro piuttosto gremito ha reso omaggio con sentite ovazioni a tutti gli artisti coronando con l’imprimatur del successo una serata di grande Teatro.
Crediti fotografici: Augusto Bizzi per il Teatro Goldoni di Livorno Nella miniatura in alto: il regista giapponese Hiroki Ihara Sotto: Paolo Antognetti (Osaka) e Paoletta Marrocu (Iris) Al centro: una bella panoramica di Augusto Bizzi sull'allestimento livornese In fondo: scena con Marco Signorini (il Cieco), Carmine Monaco d'Ambrosìa (Kyoto) e la Marrocu
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