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Piů che godibile il riallestimento in Arena dell' opera «migliore» di Giuseppe Verdi |
Rigoletto con costumi e scene storiche |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 03 Luglio 2017 |
VERONA - Mi domando per l'ennesima volta, dopo aver assistito al Rigoletto di Giuseppe Verdi in Arena, come mai si debba sempre gridare allo scandalo con tanto di “isteria snobbante” allorché si assiste ad un allestimento datato, ma che porta in grembo una cura particolare alla didascalia, al libretto, alla partitura e soprattutto al rispetto delle voci. Di fronte a tanti scempi cui ho assistito ultimamente in relazione proprio a quest’opera, dove le “ispirazioni” più depravate fornivano spunti per movimenti orgiastici inconsulti e fuori luogo o per movenze dal gusto sado-maso, in questo caso, senza scendere in simili bassezze, nulla è mancato per assaporare le dissolutezze del giovane Gualtier Maldè, Duca di Mantova, proprio perché sono stati fatti “parlare” il libretto e la musica in tutta la loro completezza; non sono mancate l’orchestrina sul palco, la banda fuori scena, come indicate in partitura… insomma una corrispondenza pedissequa, ma al contempo intelligente e con qualche guizzo di novità e freschezza, a quanto il Cigno di Busseto aveva indicato. L’entusiasmo di Verdi traspariva da tutti pori e proprio in merito alla pièce di Victor Hugo da cui è tratto il tema egli scriveva: «È il più gran soggetto e forse il più gran dramma de’ tempi moderni. Tribolet è creazione degna di Shakespeare!!». Non ha senso allora aggiungere altro, come molti registi fanno ed hanno fatto: tutto è scritto, non manca nulla. Rigoletto in scena al 95° Festival dell’Arena di Verona è il terzo titolo della stagione in corso; una lettura quella che il regista Ivo Guerra offre al pubblico, rispettosa, fedele al libretto e alle indicazioni della partitura; essa prende spunto proprio da quella proposta nella prima rappresentazione areniana di Rigoletto del 1928. Una scenografia, curata da Raffaele Del Savio, statica ed in puro stile pittorico per quello che riguarda i fondali che si ergono sulle gradinate dell’Anfiteatro veronese, rappresentanti la città di Mantova con il suo stile prettamente rinascimentale, senza deficitare al contempo di elementi dinamici e più tridimensionali, che via via compongono in maniera molto elegante il proscenio: i saloni sontuosi della reggia del Duca di Mantova, la semplicità della casa del protagonista ed una dimora trasandata per quello che riguarda l’ultimo atto sulle rive del Mincio, nei luoghi di Sparafucile.

Tutto molto semplice, ma non semplicistico; probabilmente con il sapore di un tempo che fu, ma sicuramente fruibile e godibile per regalare i colori, i sapori e le emozioni di quella che lo stesso compositore definiva la sua “opera migliore”; una nota particolare meritano infine i costumi in pieno stile cinquecentesco disegnati da Carla Galleri, anch’essi frutto di una ricreazione fedele dell’edizione del 1928. Venendo all’aspetto musicale è necessario partire da un concetto fondamentale che ho riscontrato in questa serata: è mancata totalmente un’idea musicale precisa e la colpa primiera è da assurgere alla bacchetta di Julian Kovatchev che non è riuscita a conferire quei moti e quella dinamicità insiti nell’azione scenica; i tempi molto slentati, hanno fatto perdere quel guizzo quella briosità che in tante pagine sprigiona dallo spartito; anche se alcune intenzioni sono state buone, si sono smarrite poi cammin facendo, andando a planare su tempi sempre più pesanti e privi di brillantezza sonora; non sono mancati palesi scostamenti tra palcoscenico e buca soprattutto quando “giocavano” più ensemble: mi riferisco principalmente al concertato del primo atto in cui coro, solisti, orchestrina sul palco e banda fuori scena concertano con la grande orchestra nel golfo mistico; una direzione che non ha suscitato emozioni, ma che speriamo migliori nelle prossime recite.

Dal punto di vista delle voci, il tenore Gianluca Terranova è stato un ottimo Duca di Mantova con un sonoro e brillante squillo e con una grande capacità di fraseggio e di tenuta del suono: brillante l’aria di sortita, piena di pathos e di carnalità quella del secondo atto cui si sono unite una grande padronanza scenica e un’ottima interazione con il resto del cast. Molto bravo anche il baritono Amartuvshin Enkhabat nel ruolo eponimo che non si è risparmiato quanto a verve scenica ed a impegno vocale; una “cooperativa di baritoni” come si usa dire in gergo; molta voce e ben gestita con qualche sporadica asperità in acuto che nulla toglie ad una prestazione di grande rilievo; asperità probabilmente dovuta ad un clima ventoso e fresco che non ha aiutato molto la voce in questa serata, ma che non ha messo in secondo piano un’ottima padronanza del mezzo vocale e una grande interiorizzazione del personaggio sì da renderlo credibile sempre più a mano a mano che si dipanava la matassa del dramma; Enkhabat ha saputo cogliere appieno tutti gli stati d’animo del padre-giullare trovando, come un grande veterano, i giusti accenti d'interprete e le migliori intenzioni.

Poco emozionante e sotto tono la Gilda del soprano Elena Mosuc; già ascoltata in Anna Bolena poco tempo fa a Genova, confermo qui le perplessità che al tempo misi in rilievo; l’emissione poco ferma soprattutto in acuto, mette in luce una voce un tantino logora e con poco smalto; probabilmente i repentini cambi di repertorio non giovano ad uno strumento non più giovane, ma ancora bello come timbro. L'aria di bravura Caro nome, è stata eseguito in maniera corretta da un punto di vista musicale, ma a livello interpretativo è mancata quelle brillantezza e la capacità di rendere quelle note trasognate e leggiadre come l’eta della giovane ragazza. Bravo anche il basso Andrea Mastroni nel ruolo di Sparafucile che con una voce piena e tonante dotata di ampi armonici e grande volume, ha risolto il personaggio in maniera egregia. Anche Anna Malavasi (Maddalena) ha messo in campo con una giusta vocalità brunita e tonda, un personaggio che di solito trascende nella volgarità più becera: cosa che qui non è accaduta, ma al contrario è emerso in maniera molto “elegante” seppur con una buona dose di scaltrezza e villanìa. Hanno completato il cast Alice Marini come Giovanna, Nicolò Ceriani in un tonante e perentorio Conte di Monterone, Marco Camastra come Marullo, Francesco Pittari in un brillante Matteo Borsa, Dario Giorgelè come Conte di Ceprano, Marina Ogii per la Contessa di Ceprano, Omar Kamata Usciere di corte e Lara Lagni nel Paggio della Duchessa. Il Coro, qui impegnato con la sola sezione maschile, guidato dal M° Vito Lombardi è stato corretto, ma non troppo entusiasmante e ciò è da collegare, a mio avviso, ad una insufficiente preparazione musicale d’assieme e ad una bacchetta talvolta poco chiara nel gesto. Un anfiteatro colmo, ma non sold-out ha riversato numerosi e calorosi applausi a tutto il cast. Le prossime repliche del titolo: 6,14,19,27 luglio alle ore 21. (La recensione si riferisce alla recita di sabato 1 luglio 2017)
Crediti fotografici: Ennevi Foto per la Fondazione Arena di Verona Nella miniatura in alto: il baritono Amartuvshin Enkhabat (Rigoletto) Sotto: Rigoletto nel primo atto alla corte del Duca di Mantova Al centro in sequenza: Luca Terranova (Duca di Mantova) e Anna Malavasi (Maddalena); ancora Enkhabat con Elena Mosuc (Gilda) In fondo: una bella immagine di Ennevi Foto sulla scenografia fedele al libretto
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