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Ottimo esito per l'ultima opera della stagione 2012 del Teatro Grande di Brescia

Ernani trionfale

servizio di Roberta Pedrotti

Pubblicato il 19 Dicembre 2012

121217_Pedrotti_Bs_Ernani_00_AntonioPirolliBRESCIA - Si chiude in bellezza, con un bilancio positivo, la stagione lirica 2013 del Teatro Grande di Brescia, che pure si era aperta in modo interlocutorio con una Tosca non pienamente convincente e una Lucia di Lammermoor decisamente fallita. Poi, però, con la forza di un audace allestimento, di una buona direzione e di una compagnia di canto affiatata con alcuni buoni elementi I Capuleti e i Montecchi hanno impresso un netto cambio di rotta al cartellone, e per qualità e per stimoli. La bella Italiana in Algeri nella classica messa in scena di Pizzi, anche qui con un cast se non perfetto comunque non privo di attrattive e ottimi artisti, ha confermato il passo decisamente più felice, culminante nel gran finale siglato dall'esito trionfale e meritato dell' Ernani.
Quest'ultima è un'opera dalla drammaturgia difficile, tutta condizionata da leggi d'onore e vendetta che hanno radici lontane e si mescolano alle passioni con esiti fatali. L'unico ad interrompere la catena è Don Carlo, il quale nell'ascesa al soglio imperiale vive una maturazione che nell'atto di clemenza sembra preludere al passaggio dai codici feudali a un moderno stato di diritto. Non così per Silva, che di atto in atto si sclerotizza consumato dal demone della vendetta e dell'orgoglio; non così per Ernani, per il quale la forza del destino e l'ombra ingombrante del padre ucciso saranno implacabile ostacolo ad ogni anelito di libertà e realizzazione; non così per l'ardimentosa e volitiva Elvira, che pure si trova a essere impotente nel meccanismo che stritola ogni sua speranza di felicità.
Andrea Cigni mette in scena una materia ch'è potenzialmente croce e delizia d'ogni regista, e lo fa con la consueta limpidezza d'intenti e maestria tecnica: al centro della scena (di Dario Gessati, illuminata da Fiammetta Badiserri) abbiamo un cilindro dalle pareti scorrevoli, all'interno arabeschi dorati, come in uno scrigno scintillante ma claustrofobico, istoriato all'esterno da versi tratti dall'Hernani di Hugo, sigillo di destini e ideali che determinano implacabili la sorte di ciascuno, perfino dello stesso sovrano, che, sì, avrà il coraggio della clemenza, ma per adempiere alla sua sorte e alla responsabilità del successore di Carlo Magno, abdicando di fatto anch'egli alle sue passioni e alla propria, pur turbolenta e fin arrogante, personalità.

121217_Pedrotti_Bs_Ernani_01_LuongoAlessandroBilleriMaria_02phRaffaeleRastelli 121217_Pedrotti_Bs_Ernani_02_LuongoAlessandroRudyPark_phRaffaeleRastelli

I costumi di Valeria Donata Bettella, belli ed eleganti, richiamano la suggestione dell'epoca con qualche licenza in favore d'una maggiore stilizzazione. L'iconografia classica è rivisitata con gusto moderno, che rinnova la tradizione eliminando ogni residuo di polvere e rimodellandola secondo un'idea teatrale, ovvero lo stretto rapporto con una recitazione curatissima, profonda, coinvolgente, che sviluppa ogni personaggio, conferendo rilievo perfino a Don Riccardo e Jago, devoti ai loro signori, partecipi, dotati finalmente di carattere autonomo e definito.  Se ne giova la drammaturgia dell'opera, la sua resa teatrale, ma anche i due interpreti, che si distinguono anche per l'ottima resa vocale: il tenore Saverio Pugliese (Don Riccardo) è sensibilmente cresciuto negli ultimi anni e s'impone per lo squillo invidiabile d'una voce perfettamente proiettata, che non spiacerebbe sentire alla prova anche in prime parti, ma che potrebbe egualmente ambire a una gloriosa carriera da comprimario di lusso nella tradizione di Piero De Palma e di altri memorabili artisti e caratteristi; da parte sua il basso Gianluca Margheri (Jago) si fa notare e lascia intuire belle potenzialità di sviluppi futuri.
Non mancano poi suggestioni simboliche, come l'istante in cui, durante la cavatina, Ernani raccoglie dal proscenio il corno, speculare a quello in cui, nel finale, Silva lo riporrà nello stesso punto, o i movimenti quasi ipnotici del coro che abita il castello e assiste alle feste nuziali, sempre studiati a suggerire un vago senso d'inquietudine. Non credo sussistano dubbi nel definire Andrea Cigni uno dei migliori registi italiani (e non solo) delle ultime generazioni. Sia caso o fortuna, poi, nelle produzioni a lui affidate traspare sempre palpabile l'affiatamento e l'ottimo clima di collaborazione fra tutti gli artisti e gli artefici dello spettacolo, come hanno confermato le festosissime uscite finali di fronte a un pubblico finalmente e giustamente giubilante per questa trionfale chiusura di stagione.
Tutti acclamati, e a ragione, gli interpreti a partire da Alessandro Luongo (Don Carlo), baritono  la cui nobiltà si esprime in un colore tendenzialmente chiaro non senza un caldo retrogusto brunito, voce di sapore antico, ma al tempo stesso moderno per la partecipazione scenica, il fraseggio vibrante e sorvegliato, per la capacità di unire stile, eleganza, irruenza, arroganza, introspezione fino alla sofferta rinuncia, prostrandosi a un valore superiore. Luongo, pur cantando sempre assai bene, ha dimostrato di essere non un mero strumento di note ampie e perfette, ma piuttosto un artista e un musicista, e non potremmo desiderare di più.

121217_Pedrotti_Bs_Ernani_02_phRaffaeleRastelli 121217_Pedrotti_Bs_Ernani_04_LuongoAlessandroPuglieseSaverio_phRaffaeleRastelli

Meno incisivo da questo punto di vista l'Ernani di Rudy Park, che per quanto maturato rispetto al debutto nel ruolo a Bologna un anno e mezzo fa, non si può dire soggioghi per l'accento, i colori e le dinamiche, quanto piuttosto per una dote naturale impressionante in potenza, brunitura, compattezza e facilità in tutta l'estensione. L'artista sembra latitare, ma sorprende poi quando affronta con ispirazione l'aria del finale alternativo del secondo atto – “Odi il voto”, composta per Nicola Ivanoff su richiesta di Rossini – in quest'occasione felicemente ripristinato. Da tradizione si conserva poi la cabaletta di Silva “Alfin che un brando vindice”, proveniente dall'Oberto e inserito poi per il grande Ignazio Marini, che elevò il terzo pretendente alla mano di Elvira al rango di autentico protagonista meritevole di un'aria bipartita completa. Enrico Giuseppe Iori la onora giustificandone la presenza e completa,  energico e implacabile senza cadute di gusto, con un'ottima prova un comparto maschile decisamente convincente.

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La fanciulla contesa da cotanti rivali è Maria Billeri, voce ampia, fraseggio perentorio, ma anche ottime intenzioni nelle sfumature e pregevole capacità di cantar piano: la tragedia che incombe si addice al suo strumento e al suo temperamento più che le volute ardenti di un coeur de seize ans stendhaliano che sogni la fuga d'amore, e la sua prova appare di conseguenza in crescita di scena in scena. La accudisce con discrezione la Giovanna di Nadya Petrenko, anch'essa ben caratterizzata.
Sul podio Antonio Pirolli si conferma un'ottima scelta per questo repertorio: non sarà un fuoriclasse nel cesellare cantabili e dettagli preziosi, ma è un maestro solido e preciso, il suo Verdi è vibrante, vitale, teatralissimo, le atmosfere giocate con abilità, gli equilibri orchestrali ben controllati e i cantanti sempre sostenuti a dovere. Una bacchetta di cui spesso si sente la mancanza. Efficaci, sotto la sua guida, l'orchestra dei Pomeriggi Musicali e il coro preparato da Antonio Greco, che dopo “Si ridesti il leon di Castiglia” è stato subissato da richieste di bis, non esaudite. Ma questo non ha turbato il successo e, come lo scorso anno, la stagione lirica si congeda lasciandoci per le feste natalizie il ricordo di una splendida giornata passata a teatro: non capita facilmente, nemmeno nei teatri più blasonati e finanziati, di uscire così soddisfatti dopo una recita di Ernani.
E frattanto sono stati annunciati gli appuntamenti dei prossimi sei mesi nel Grande: molta danza, molti concerti, e il debutto di Antonio Pappano a Brescia (con due date, orchestre e programmi diversi, in stagione e nel Festival Pianistico). Davvero, non c'è da lamentarsi!

Crediti fotografici: Raffaele Rastelli fotografo
Nella miniatura in alto: il direttore Antonio Pirolli
Sequenza 1: Alessandro Luongo (Don Carlo) e Maria Billeri (Elvira); Luongo e Rudy Park (Ernani)
Sequenza 2: Maria Billeri (di spalle); Luongo e Saverio Pugliese (Don Riccardo)
In basso: l'insieme sfoggia i bei costumi disegnati da Valeria Donata Bettella






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