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L'opera incompiuta di Giacomo Puccini ha aperto il Macerata Opera Festival 2017 |
Turandot è una bambina capricciosa |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 23 Luglio 2017 |
MACERATA - Siamo al 21 luglio e prende il via al Teatro Sferisterio il Macerata Opera Festival 2017. Una calda serata estiva ci accoglie nello spazio magico del Festival dedicato quest'anno all'Oriente; un Festival che diventa anche solidarietà attraverso un sodalizio importante con l'Anfass per evidenziare ancor meglio l'idea di condivisione che un evento così importante può comprendere al suo interno. La Turandot di Giacomo Puccini è il titolo che dà l'abbrivio al Festival 2017 ed il pubblico delle grandi occasioni è tutto presente per assistere a questa nuova produzione che porta la firma registica Ricci/Forte realizzata in collaborazione con il Teatro Nazionale Croato di Zagabria. Ebbene una nuova produzione che ci porta nel mondo onirico e fatato di Turandot, nelle pagine della favola di Gozzi, nell'esperienza post-wagneriana di Puccini e in quell'idea di amore che richiede anche il sacrificio. Turandot è l'estrema esperienza del compositore che è stato sempre incline a tentar vie poco calpestate; egli infatti fu affascinato da questa vicenda favolosa ed irreale e ha usato elementi pieni di esotismo inserendovi anche elementi di natura burlesca, che già facevano parte della poetica di Gozzi, per poi virare senza soluzione di continuità nella "... passione di Turandot che per tanto tempo ha soffocato sotto la cenere del suo orgoglio". (lettera di Puccini al librettista Simoni, 18 marzo 1920). Questa è la Turandot che conosco, questa è la Turandot di Giacomo Puccini, ma di quanto visto nell'emiciclo maceratese, di questi concetti, nemmeno l'ombra. Era stata preannunciata come una regia "alternativa" o "moderna" come spesso si suole dire nel linguaggio teatrale, ma dopo la visione di questa messincena molti dubbi e molte perplessità hanno campeggiato nei miei pensieri. Credo che per dire se una cosa sia bella o brutta - tra l'altro esprimendo quindi concetti molto relativi - vi sia necessità di comprendere, di capire, di entrare nella logica di colui o di coloro che vogliono dirti qualcosa. Con molta buona volontà, nel silenzio della mia intimità, del mio ascolto e con profondo rispetto per il ruolo che rivestivo e per il luogo in cui mi trovavo, ho cercato di godere appieno di quanto avveniva sul palcoscenico senza crearmi dei pregiudizi o delle false convinzioni basati sulle mie conoscenze. Prima di assistere alla recita, come mio solito, non ho letto le note di regia che invece mi hanno fatto compagnia nella notte seguente, proprio per andare a capire con più "verginità" di spirito, il messaggio che si voleva trasmettere allo spettatore. Ebbene alla fine della rappresentazione ho sentito come un moto di stizza nei miei confronti perchè la mia cultura, la mia conoscenza della musica e del melodramma, non erano riuscite a farmi penetrare da questo messaggio; come dicono le tre maschere nel primo atto: Notte senza un lumicino, gola nera d’un camino, son più chiare degli enigmi di Turandot! Un po' come il messaggio Ricci/Forte lo è stato per me.

A questo punto, dunque, non avevo altra scelta che giocarmi la carta delle note di regia e cercare di mettere insieme i brandelli della mia disperazione per non aver compreso assolutamente nulla di quanto accadeva sul palcoscenico e per provare a cercare quella chiave segreta che potesse aprire lo scrigno della comprensione. Ho letto e riletto, ho cercato di isolare la mente da pregiudizi, abitudini, tradizione, ovvietà, ma non ci sono riuscito... anzi dopo la lettura di queste pagine illustrative sono ancor più sprofondato in uno stato mentale completamente obnubilato e ho dovuto far decantare qualche giorno prima di mettermi nel cimento di scrivere queste righe di commento e di riflessione. Ho pensato più volte in questo tempo a quanto avevo visto e alla fine sono arrivato ad una conclusione tutta mia e quindi non indenne da critica o confutazione: il duo registico Ricci/Forte al debutto nella regia d'Opera, ha voluto mettere in scena una Turandot che vive e campeggia solo nella loro idea, che è frutto forse di qualche esperienza vissuta e che ha segnato il loro spirito e il loro animo a tal punto da dover essere concretizzata sì da dare vita reale a questo dramma/gioia personale. A mio avviso, qui non si trova niente di ciò che compositore e librettisti avevano concepito per questo estremo componimento del Doge lucchese; penso alla frase famosa che Puccini rivolse proprio ad Adami in una lettera del Marzo 1924: "... Penso ora per ora, minuto per minuto a Turandot e tutta la mia musica scritta fino ad ora mi pare una burletta e non mi piace più. Sarà buon segno? Io credo di sì"; quanto entusiasmo, quanta passione, quanta emozione avrà provato lo stesso compositore nel cesellare momento dopo momento quel libretto, quelle parole, quelle didascalie che i due librettisti gli proponevano?

Ho provato a pensare a queste cose dopo la "prima" maceratese e ho sempre più messo a fuoco la convinzione di essermi trovato di fronte ad un egocentrismo registico e al desiderio di mettere in scena qualcosa che nulla ha a che fare con la Turandot di Puccini, bensì un dramma reale o inventato dai due neoregisti d'opera. Posso dire con cognizione di causa che mi sono trovato davanti alla Turandot di Ricci/Forte con la musica di Giacomo Puccini; questa idea che mi sono fatto è riuscita un pochino a rimettermi in pace con me stesso e con il mondo e mi ha dato lo spunto per poter scrivere queste brevi riflessioni che sono doverose per la gentile ospitalità ricevuta e per il diritto di critica che ho sempre fatto con onestà, con il dovuto rispetto e con la ricerca di trasmettere al meglio le emozioni vissute. Tutte le idee espresse nelle note di regia le ho intese quindi come espressioni di due soggetti che hanno voluto dare una loro lettura ad un componimento musicale e letterario che non ne ha assolutamente bisogno, ma che per diritto di creatività, lecito e indiscutibile, hanno voluto stravolgere e reinterpretare. Queste operazioni in Teatro ormai accadono sempre più spesso ed ogni volta, come è giusto che sia, dividono il pubblico e la critica nelle fazioni più disparate; dal mio punto di vista non ho mai criticato in maniera bigotta le cosiddette "regie moderne"... anzi ho sempre cercato di comprenderne il significato più profondo cercando di adattarlo, ove possibile, anche alla nostra realtà nelle sue più variegate sfaccettature. Non capisco il pensiero per il quale per Puccini il melodramma diventa in Turandot, citando le note di regia: "... la possibilità di indagare in spazi liminari legati al sonno, all'incubo. Il tentativo di governare la Natura, questa capponaia belluina nella quale la protagonista si è rinchiusa, alimentata da smania di vendetta, diventa un tracciato psicanalitico alla ricerca del senso di amare e lasciarsi amare, una topografia di quella forza generatrice di cui siamo impastati... colpisce il senso del tragico e l'aspetto fiabesco intesto come viatico per un itinerario emotivo dei protagonisti in questa landa riarsa dal rancore...".Una lettura che non aggiunge nulla a quanto è già esperesso nella drammaturgia, ma che nella proposizione del duo Ricci/Forte trova il pretesto per inserire un impianto scenico creato da Nicolas Bovey (che ha curato anche le luci) fuori da ogni umana logica e da ogni contesto seppur reinventato come quello della coppia registica; Turandot è vista come una bambina mai cresciuta e quindi viziata che può disporre di tutto e di tutti; appare in scena sin dall'inizio sconvolgendo quindi la sequenza logica del dramma, entra in immediato contatto con Liù e Timur entrambi vestiti con abiti nuziali; le tre maschere compaiono in scena come giardinieri di vasi sempreverdi in una delle teche che fanno parte della scenografia; un'altra teca contiene un orso polare sul quale Turandot farà una traversata del palcoscenico salutando tutti in pieno stile Moira Orfei condannando a morte il povero Principe di Persia che appare in una teca come un bambino e che all'urlo di morte fa scatenare una raffica di mitragliatrici che stermina l'intero coro delle voci bianche; non manca nemmeno uno stuolo di figuranti - tra l'altro di estrema bravura - che sono vestiti all'inizio con delle tute che richiamano un misto tra ninja ed Isis per poi spogliarsi e diventare corpi flessuosi che si contorcono durante la scena degli enigmi; e per finire la stessa protagonista che spara alla giovane schiava Liù. Mi scuso con voi se questo mio racconto può risultare farneticante e confuso, ma la mia capacità di scrittura non ha trovato modo più semplice di descrivere un insieme di idee che potevano anche essere valide, ma che hanno mancato, a mio avviso, di uniformità e di organicità spiazzandomi in maniera totale e alterando un'idea già ben radicata e solida riguardante musica e libretto. Concludo per la parte visiva citando Gianluca Sbicca per i costumi che oscillavano da uno stile anni '50 del Novecento ad incursioni più classiche; e per i movimenti scenici Marta Bevilacqua.


Ed ora, per quel che mi resta di sana lucidità e sgombro dalle incursioni registiche, voglio dare spazio alla voce ed alla musica. Ed inizio subito proprio dall'aspetto musicale parlando della concertazione del M° Pier Giorgio Morandi che, alle redini della Fondazione Orchestra Regionale delle Marche, ha saputo in parte restituire quella pace che la visione mi ha tolto; ottimo per tempi e per dinamiche ha trascinato l'ascoltatore all'interno delle pagine musicali riuscendo a far (ri)scoprire taluni suoni e talune sfumature orchestrali che spesso in un ascolto routinario possono passare in secondo piano; ottimo il rapporto con il palcoscenico - nonostante la fibrillante confusione che ivi si perpretava - trovando sempre quel giusto piglio per accarezzare e accompagnare le voci nel pieno rispetto dei rispettivi ruoli; buono anche l'incastro musicale con il complesso di palcoscenico Banda "Salvadei". Sotto l'aspetto vocale si è imposta senza dubbio Irene Theorin nel ruolo eponimo; una voce corposa e ancora generosa di armonici che ha donato al personaggio quella verve interpretativa e quel piglio audace che le è proprio; nobile e sontuosa nell'aria di sortita In questa reggia con un fraseggio morbido e una dizione precisa, mentre nella scena degli enigmi, pur rimandendo fedele ad un signorile fraseggio ha perso un tantino l'aspetto della parola con una tendenza progressivamente marcata a procedere nel canto in maniera più vocalizzante. Buona anche la Liù di Davinia Rodriguez per pasta vocale e per ricerca di intenzioni non sempre però andate a buon fine; ha difettato un po' nel fraseggio soprattutto nell'intervento finale prima della morte Tanto amore segreto... tu che di gel sei cinta che è stato avaro di sfumature e di una certa continuità stilistica. Nel ruolo di Calaf il Principe ignoto, il tenore Rudy Park; dall'ultimo ascolto sempre nel medesimo ruolo ho notato un certo declino interpretativo e vocale; da un punto di vista interpretativo ho notato la costante tendenza di un canto monocorde, un po' come se in auto l'acceleratore fosse sempre tenuto premuto fino in fondo, senza andare a cercare quelle finezze o quelle sfumature che sono necessarie specie nel primo atto nell'aria quasi conclusiva Non piangere Liù; da un punto di vista vocale non sono mancate incertezze e cedimenti specie nella zona del passaggio dove in diverse occasione la voce ha sonoramente "scroccato" - termine usato per il corno quando il suono non esce pulito - mettendo in evidenza un probabile stato insalubre della voce. Scenicamente, nel marasma più totale, si è difeso piuttosto bene risultando abbastanza accattivante nella scena degli enigmi. Buono l'apporto vocale di Alessandro Spina nel ruolo di Timur che ha saputo regalarci una vocalità molto compatta e rotonda con buona capacità di fraseggiare e donare quegli accenti drammatici propri del personaggio. Encomiabili le tre maschere nei cui ruoli si sono cimentati Andrea Porta (Ping), Gregory Bonfatti (Pang) e Marcello Nardis (Pong) che hanno saputo trovare con gusto e con giusto equilibrio l'amalgama vocale necessaria affinchè il loro ruolo, per certi versi comico, con una forte componenente drammatica, potesse emergere nella loro precipuità, visto che da un punto di vista scenico sono stati impegnati in movenze e situazioni molto inconsulte. Completavano il cast un ottimo Nicola Ebau nel ruolo di Un Mandarino, Stefano Pisani come L'Imperatore Altoum e Andrea Cutrini in Il Principe di Persia. Valido l'apporto del Coro Lirico Marchigiano "Vincenzo Bellini" guidato e preparato dal M° Carlo Morganti il quale, a parte qualche sbavatura vocale soprattuto nel primo atto, si è distinto per buona preparazione e per un sicuro approccio allo spartito. Anche il Coro di voci bianche Pueri Cantores "D. Zamberletti", sotto la guida del M° Gian Luca Paolucci si è ben distinto per ottima vocalità e buona interazione con l'orchestra.

Alla fine ci sono stati applausi per tutti da parte di una platea sold-out, nonostante qualche sparuto dissenso alla volta della regia; dissenso che in maniera isolata aveva già fatto capolino durante il primo atto da qualche voce solitaria nei palchetti laterali.
Crediti fotografici: Alfredo Tabocchini per Macerata Opera Festival Nella miniatura in alto: i registi Ricci/Forte Sotto: Irene Theorin (Turandot) e Davinia Rodriguez (Liù); Rudy Park (Calaf) Al centro in sequenza: alcuni momenti dell'opera dove si apprezzano i costumi di Gianluca Sbicca In fondo: una bella panoramica di Alfredo Tabocchini sullo Sferiterio di Macerata
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LIVORNO - Con Falstaff, ultimo capolavoro di Giuseppe Verdi, si è conclusa la stagione lirica 2024-25 del Teatro Goldoni, regalando ai livornesi un ritorno atteso da più di un secolo. L’opera, infatti, era stata rappresentata nella città toscana soltanto una volta in oltre cento anni. La messinscena è frutto di una prestigiosa collaborazione
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GENOVA - In un panorama operistico spesso dominato da titoli consolidati, emerge con prepotente originalità la produzione di Die Liebe der Danae, Op. 83 di Richard Strauss al Teatro Carlo Felice di Genova. Quest'opera, lungi dall'essere un mero reperto archeologico, si rivela un'esplorazione complessa e affascinante delle dicotomie umane, incastonata
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Opera dal Nord-Ovest
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Dama scolpita dalla luce
servizio di Simone Tomei FREE
TORINO - Il Teatro Regio ha riportato in scena La dama di picche di Pëtr Il'ič Chajkovskij, in una nuova coproduzione con la Deutsche Oper di Berlino. L'opera si è rivelata un'autentica descente aux enfers, un'immersione nelle zone più oscure e tormentate dell'animo umano. L'allestimento, ideato da Graham Vick e portato a termine con
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Nuove Musiche
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Conti Cavuoto Santini il trio
servizio di Athos Tromboni FREE
FERRARA - Ferrara Musica al Ridotto è una rassegna "parallela" e si affianca alla programmazione maggiore di quella Ferrara Musica fondata da Claudio Abbado nel 1989. La rassegna maggiore ha il pregio di proporre i grandi interpreti (solisti, direttori, orchestre) in un cartellone che mira alto; la rassegna "parallela" si assume invece il compito di valorizzare
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Personaggi
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Ferrara e Vivaldi connubio in musica
redatto da Edoardo Farina FREE
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Vocale
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Serenata d'amore torna a cantare
servizio di Athos Tromboni FREE
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servizio di Athos Tromboni FREE
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