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Pubblicato il 14 Giugno 2025
Il Nabucco inaugurale della 102.esima edizione di Verona Opera Festival andrā in mondovisione
Nabucco oltre l'essenziale
intervento di Athos Tromboni
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VERONA - Che Nabucco di Giuseppe Verdi, bandiera dell'irredentismo italiano, potesse essere un opera-ballo, non era scontato. Eppure centottantatré anni dopo si è dimostrato possibile: ci è riuscito il regista Stefano Poda, con un allestimento in Arena di Verona che ha sfidato ogni tradizione e ogni immaginaria previsione costruendo uno spettacolo sopra le righe... «Io sono un istrione, ma la genialità è nata insieme a me... » cantava Charles Aznavour nei mitici anni '60 del Novecento. Ecco, adattiamolo a Poda, il sillogismo. Egli, per questo allestimento che ha inaugurato ieri, 13 giugno 2025, la centoduesima edizione dell'Arena Opera Festival nel teatro all'aperto più grande del mondo in una serata da tutto esaurito (sold-out, spellingano i fichissimi...), si è sbarazzato di ogni possibile ed eventuale interferenza tecnica, storica, e/o filosofica di terzi, firmando da solo regia, scene, costumi, luci e coreografia ... io sono un istrione e la genialità è nata insieme a me ... punto. E ha costruito uno spettacolo da gran-gala areniano, visto che andrà in mondovisione sabato 21 giugno per la Giornata Mondiale della Musica. Quale la sintesi e le caratteristiche? Presto detto: esuberanza coreutica, meticolosità tecnica, magniloquenza scenica, abilità tecnologica, ritmo da tarantolati, trovate da coup-de-théâtre, trasgressione... e aggiungiamoci tutto ciò che possa essere in contrapposizione a consuetudine, insipienza, tradizione, semplicità, pertinenza, sciatteria, deja-vu, e persino... moda. Insomma, uno spettacolo certamente originale, costruito grazie a quattrocento addetti fra artisti, figuranti e tecnici, tremila costumi di fogge diverse a seconda delle etnie che la drammaturgia ideata da Temistocle Solera per Verdi prevedeva in scena; poi luci in scena, in cielo, in ogni spazio ove potesse arrivare la vista dello spettatore; luci, luci, luci, applicate persino sui costumi, in una fantasmagoria di gusto ultrabarocco, dove per barocco s'intenda non il significato musicale o artistico, ma il significato estensivo di stravagante e bizzarro. Uno spettacolo generato proprio dalle onnipresenti coreografie più che dal canto dei protagonisti.



In scena poche cose: una torre della "Vanità" e due semisfere luminose a indicare i due mondi etnicamente diversi e contrapposti, quello degli Assiri di Babilonia e quello degli Ebrei loro prigionieri discriminati e nemici. Due semisfere che al termine si uniranno in una sfera unica, simbolo della pacificazione fra le etnie (cioè metafora della pace raggiunta; e, nella realtà d'oggi, messaggio di controtendenza). E poi, via via durante lo spettacolo, alcune strutture montate direttamente a vista (cioè, in scena) dai figuranti, come per esempio le gabbie-prigione costruite dagli Assiri per segregare gli Ebrei in attesa della decretata decimazione razziale. È difficile riassumere in una cronaca musicale tutto il contenuto di questa moderna messa in scena del Nabucco in Arena. Ma non sarebbe - qui - l'essenziale il descrivere l'allestimento. Chi volesse documentarsi dell'essenziale può farlo la sera del 21 giugno prossimo su Rai Tre (mobilitati per i commenti pre e post, e per le interviste inter-act, i benemeriti attori Cristiana Capotondi e Alessandro Preziosi, che con tanto di "gobbo" a portata di naso visibile anche agli spettatori di platea e gradinate raccontavano rave e fave della serata).

  
Allora preferiamo scrivere - per dovere di cronaca e per si parva licet componere magnis - sul sostanziale inessenziale della serata. Ecco l'inessenziale: i commenti della gente ma anche di una parte della critica accreditata, durante l'intervallo; commenti che a caldo si manifestavano come i più disparati, da quelli favorevoli (bello! suggestivo! originale!), a quelli cauti e sospensivi del giudizio sul Nabucco firmato da Poda (boh!? aspettiamo.... vedremo...), a quelli addirittura derisori o censori (che trionfo della vanità! che patchwork! che obbrobrio! che ridicolaggine!). Era un giudizio su Poda, quel che veniva espresso nei commenti a caldo dal "popolo" dell'Arena, non un giudizio sul Nabucco che era e rimane un capolavoro onusto nei secoli. Ma, si sa, quel regista factotum ha estimatori e detrattori negli angoli del mondo: fra gli estimatori, pensiamo di elencare primus inter pares la sovrintendente Cecilia (Gasdia) che nelle dichiarazioni pubbliche e nelle scelte ha dimostrato il coraggio tigresco di affidarsi a lui, a Poda, per lo spettacolo più atteso e importante del Festival 2025. Fra i detrattori... non ci compete citarli, si possono individuare nelle pagine di riviste e giornali a stampa e on-line. Leggendone giudizi e cronache che immaginiamo copiose, trattandosi dell'Arena di Verona. E il vostro cronista di questa piccola, esclusiva e importante testata che state leggendo, voce dei circoli lirici e musicali? Non è difficile capirlo: io mi schiero fra gli estimatori, perché la genialità non può essere dimidiata, né derisa, né ignorata. Giudizio favorevole, senza puzze sotto il naso. È vero, nella messa in scena c'è stata qualche esagerazione (il fulmine che colpisce e fa impazzire Nabucco quando si proclama Dio che, esplodendo in un gran botto improvviso, ha fatto sobbalzare tutti perché era il boato d'una bomba atomica e non un fulmine; le luci poste sui costumi di tutti - coro ballerini e figuranti - nel terzo e quarto atto che facevano sembrare il tutto un presepe popolare di cattivo gusto; altre manifestazioni ultrabarocche nelle scene d'insieme...) ma il positivo giudizio d'insieme non si può ritenere invalidante per eccesso di trovate, in uno spettacolo votato proprio all'eccesso per impostazione programmatica. Dunque - come si diceva più sopra - un Nabucco traslitterato da opera lirica a opera-ballo. Dentro gli effetti di grande suggestione, va rilevata la straordinaria bravura del corpo di ballo, dei figuranti e del coro (istruito da Roberto Gabbiani), va lodata l'eccellenza stilistica delle masse protagoniste senza sbavature durante l'intera messa in scena (o comunque con qualche sbavatura trascurabile, quindi labile graffio alla perfezione, ma non elemento pregiudicabile della godibilità). Ultima nota di cronaca: la serata è stata introdotta dall'inno nazionale (oggi non si chiama più - secondo i perfezionisti della filologia patriottarda - "Inno di Mameli" ma è titolato come altisonante - altisonante? - "Canto degli italiani"), eseguito dal coro che, come negli anni passati, indossava mantelle verdi bianche e rosse.


E veniamo alla sostanza dell'esecuzione musicale: il ritorno del maestro Pinchas Steinberg sul podio dell'Orchestra della Fondazione Arena di Verona ha avuto esiti alterni: a volte sublimi (come nell'esecuzione di S'appressan gli istanti e di Immenso Jehova chi non ti sente?) a volte assolutamente routinari (come nell'esecuzione del Va pensiero accolto tiepidamente dal pubblico e per la prima volta a nostra memoria terminato senza la richiesta di bis): per esternare il giudizio complessivo del vostro cronista si espongono qui le lapidarie note degli appunti della serata relative alla prestazione del direttore: "molta infatuazione paracameristica", "ricerca di suoni estranei a Verdi"; "lentezza esasperante nello stacco dei tempi"; "sostanzialmente noioso"... insomma, una conduzione non proprio coinvolgente. Sui cantanti, pensati dalla regia come solisti programmaticamente dispersi dentro il frenetico dinamismo dei movimenti delle masse, e rivelatisi sostanzialmente protagonisti quasi occulti per il canto e per il protagonismo scenico, osiamo dire (al di là degli effetti della discreta amplificazione) che Amartuvshin Enkhbat (Nabucco) si è confermato un grandissimo baritono verdiano, Anna Pirozzi (Abigaille) ha fatto quel che ha potuto finendo per non brillare in quel bailamme scenico che è stato sì spettacolo ma non realizzato per il canto, Roberto Tagliavini è emerso più degli altri colleghi del cast sia per la parte essenzialmente mistico-eroica del personaggio e sia per i pregi indubitabili della sua vocalità, Francesco Meli (Ismaele) e Vasilisa Berzhanskaya (Fenena) hanno onorato il ruolo senza slanci e senza mende ma con un fare di routine affidato alla professionalità, Gabriele Sagona (Gran sacerdote di Belo) giovane basso emergente ha confermato il suo innato talento che lo porterà a essere una luminosa stella dell'opera dei nostri tempi. Completavano dignitosamente il cast Carlo Bosi nel ruolo di Abdallo e Daniela Cappiello in quello di Anna. Citiamo (non per dovere di cronaca, ma per meriti) anche il coordinatore del ballo Gaetano Bouy Petrosino e il direttore degli allestimenti Michele Olcese senza le cui preziose collaborazioni lo spettacolo di questo Nabucco in un altrove ideato da Stefano Poda non sarebbe stato tanto efficace e tanto ben realizzato. Pubblico alla fine diviso, tra chi applaudiva e chi fischiava il proprio dissenso verso la regia. (la recensione si riferisce alla recita di venerdì 13 giugno 2025)

Crediti fotografici: Ennevi Foto per la Fondazione Arena di Verona Nella miniatura in alto: il regista Stefano Poda Sotto: il coro della Fondazione Arena con i mantelli del tricolore durante l'inno nazionale d'Italia Al centro in sequenza: panoramica in controcampo di Ennevi Foto durante l'esecuzione dell'inno nazionale d'Italia; Anna Pirozzi (Abigaille); Roberto Tagliavini (Zaccaria); Gabriele Sagona (Gran sacerdote di Belo) con Anna Pirozzi; la stessa Pirozzi nell'ultima scena dello spettacolo Sotto, in sequenza: panoramica sulla torre della "Vanità"; Francesco Meli (Ismaele); Vasilisa Berzhanskaya (Fenena); il direttore Pinchas Steinberg In fondo, in sequenza: Amartuvshin Enkhbat (Nabucco) durante la cattura voluta da Abigaille; le gabbie dove sono segregati gli Ebrei prigionieri degli Assiri; panoramica su altra scena d'insieme
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Pubblicato il 12 Maggio 2025
Successo nel Teatro Sociale di Rovigo per l'opera multimediale allestita in prima assoluta
Flatlandia del fatto percettivo
intervento di Athos Tromboni
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ROVIGO - Una favola in musica. Anzi una fantafavola quella messa in scena dal Teatro Sociale di Rovigo in prima esecuzione assoluta, venerdì 9 maggio (per il Teatro Ragazzi) e domenica 11 maggio 2025 (per gli abbonati alla stagione d'opera): Flatlandia è un'opera multimediale in 1 atto - recita il sommarietto - liberamente ispirata al racconto fantastico a più dimensioni di Edwin A. Abbott, scrittore, teologo e pedagogista britannico vissuto a cavallo fra Ottocento e Novecento. Ma proprio perché è stata realizzata come opera multimediale su libretto di Andrea Vivarelli con musiche di scena originali di nove autori viventi, lo spettacolo si presta ad alcune considerazioni relative alla storia e allo sviluppo del teatro musicale. Dunque, in principio (verso la fine del XVI secolo) era il canto con accompagnamento di strumenti cordofoni l'elemento principale, dove la voce nel "recitar cantando" era fondamentale per una rappresentazione ligia alla teoria degli affetti. Poi venne il Settecento: e Galuppi, Alessandro Scarlatti, Händel, Haydn, Mozart, Cimarosa, eccetera, svilupparono la moda del canto fiorito fino al trionfo di Rossini: qui la voce cantata faceva il paio e patta con il suono strumentale. Ed infine all'avvento del romanticismo e del verismo musicale la voce ritornò sostanzialmente dominante nella realizzazione dello spettacolo d'opera.
 




Parallelamente all'evolversi nel tempo dello spettacolo d'opera furono importanti dapprima i compositori, poi più di loro i direttori d'orchestra, poi più dei direttori d'orchestra i registi; e oggi stanno assumendo un ruolo preminente nella realizzazione della messa in scena i sound-designers (traduciamo: i disegnatori del suono), i visual-artists (traduciamo: gli artisti della visualizzazione) e i video-makers (traduciamo: i creatori videografici). Ora, la concertazione è legata alla notazione musicale, quindi il direttore d'orchestra ha libertà di movimento (cioè di interpretazione) vincolata; così come i cantanti. Assai più liberi di agire (a tutt'oggi, ma a partire dalle prime regie moderne inscenate fin dagli ultimi 30 anni del Novecento; anche in dispregio della notazione letteraria e a volte anche della notazione musicale) sono i cosiddetti registi che fanno le cosiddette regie moderne, le quali applicate a testi storicamente datati si appellano alla libertà artistica per ammodernare e proporre spesso corbellerie poco gradite al pubblico dell'opera. Dunque ai giorni nostri il centro ottico (cioè l'attenzione che sollecita l'occhio dello spettatore) è sempre di più attratto dalla regia dello spettacolo , mentre il canto e la concertazione sono il sedimentato nella memoria. E a volte il sedimentato entra palesemente in conflitto emozionale con le corbellerie della regia. Già oggi come oggi e in proiezione verso il domani saranno i disegnatori del suono, gli artisti della visualizzazione, i creatori videografici a prendere il sopravvento sulle altre componenti dello spettacolo quali musica, canto, concertazione, regia: piegando le altre componenti alla necessità di una espressione proponente la realtà aumentata, virtuale, da fantafavola, appunto. E la cosa sarà tanto più rapida nella conquista del predominio, quanto più progredirà il possibile creativo legato alla Intelligenza Artificiale. Nella fantafavola l'azione può essere spezzettata, non è necessaria la contiguità fra causa ed effetto e la comprensione del testo narrato è subordinata alla percezione dell'emozione: per cui il messaggio non punta alla ragione, ma alla pancia. Tutto legittimo, intendiamoci, ma anche straniante. Flatlandia sul palcoscenico del Teatro Sociale di Rovigo, ieri e ier l'altro, è proprio l'esempio applicato di quanto si è tentato qui di descrivere, cioè la tansustanziazione del fatto effettivo nel fatto percettivo. In poche parole: bello sì, suggestivo sì, tecnicamente ben realizzato sì, avveniristico sì, ma straniante. Lo spettacolo del Sociale è stato realizzato grazie all'impegno del Conservatorio "Francesco Venezze" di Rovigo, Dipartimento di Musica Applicata coordinato da Marco Biscarini, e da altri Dipartimenti (Pop-Rock, Strumenti a fiato, Strumenti ad arco, Strumenti a percussione, Canto, Chitarra). La regia e le luci sono state curate da Claudio Ronda. I balletti di Artedanzarovigo hanno danzato sulle coreografie di Nabila Zaia e Martina Biscuola. L'Orchestra del Conservatorio "Francesco Venezze" (primo violino Luca Marzolla) era diretta da Stefano Celeghin che ha armonizzato in maniera eccellente il canto e la recitazione con la musica, trattandosi di un patchwork dove il pianoforte elettronico, gli archi e i fiati, le percussioni, agivano su un impaginato che si muoveva fra un accompagnamento simil-gregoriano e le veemenze degli ottoni degne di una colonna sonora per i film di Sivester Stallone (Rocky, per intenderci), cioè una scelta estetica spalmata in un suono che fa anche l'occhiolino al Minimalismo e non disdegna la conversione convinta al Pop-Rock. Le voci narranti e cantanti erano di Silvia Belluco, Silvia Ghirardini, Dewi Franz e Marco Baratta. La trama è semplice: tutto ha inizio con un sogno (quasi un incubo) di Pitagora, matematico e filosofo (interpretato dall'attore Giulio Canestrelli), che viene a trovarsi inaspettatamente nel Paese di Linelandia, paese nel quale si può camminare solo avanti e indietro su una sola linea perché non esistono né la destra né la sinistra. Dopo aver conosciuto e fatto irritare il Re di Linelandia, Pitagora si risveglia nel suo Paese di Flatlandia dove le linee si possono unire fra loro formando una gran varietà di figure piane per lo più regolari: triangoli isosceli ed equilateri, quadrati, pentagoni, esagoni, cerchio; le figure sono bidimensionali, ma si possono muovere in tutte le direzioni, avanti e indietro, sopra e sotto: quindi non solo su una semplice linea come era a Linelandia. Dopo aver scambiato qualche nozione di geometria con il suo nipotino Euclide (interpretato dall'attore Pierdomenico Simone), a Pitagora si presenta uno Straniero che dice di essere una Sfera (cioè un corpo tridimensionale formato da infiniti Cerchi) che rappresenta le tre dimensioni: avanti e indietro, sopra e sotto, alto e basso.


Lo Straniero ce la metterà tutta per far capire a Pitagora che esiste un mondo a tre dimensioni nel quale abitano le figure solide, ma invano. Però, eccitato dall'esperienza trascendentale appena vissuta, il nostro matematico e filosofo, ammette che se esiste una terza dimensione, allora possono esistere anche mondi a quattro, cinque, sei, eccetera, dimensioni. Presi da un brivido di terrore, Pitagora e il nipotino Euclide immaginano allora la realtà di un Paese di Spacetimelandia a più dimensioni (che molti anni dopo un certo scienziato di nome Albert Einstein ne dimostrò l'esistenza) e poi si imbattono addirittura nel Re di Pointlandia, ridotto alla miserevole condizione di vivere in un solo Punto: così giunti al termine del loro peregrinare, Pitagora ed Euclide ritornano nel loro Paese di Flatlandia dove il matematico e filosofo tenterà di condividere proprio con gli abitanti di Flatlandia la sua estatica esperienza a più dimensioni. Egli si prodigherà per convincere i suoi paesani che esiste veramente un mondo in cui la pluralità dei punti di vista, la ricchezza delle diverse culture e lingue, la pienezza della vita nei momenti in cui una luce celestiale rischiara ogni tormentato e vacillante mondo interiore, è un mondo che è possibile conquistare. Ma le sue predicazioni saranno senza successo e Pitagora sarà perciò emarginato e lasciato solo. Ideazione e sceneggiatura di tutto questo è a cura di Vincenzo Soravia che ha lavorato sul libretto del già citato Vivarelli. Pubblico da quasi esaurito e applausi prolungati al termine dello spettacolo. La tansustanziazione del fatto effettivo nel fatto percettivo ha manifestato in pieno il proprio effetto. (La recensione si riferisce alla recita di domenica 11 maggio 2025).

Crediti fotografici: Nicola Boschetti per il Teatro Sociale di Rovigo Nella miniatura in alto: il direttore e concertatore Stefano Celeghin Al centro in sequenza: diversi momenti dello spettacolo negli scatti di Nicola Boschetti Sotto: il saluto finale di tutto il cast
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Pubblicato il 26 Aprile 2025
La regia di Emma Dante per il dramma di Richard Strauss č un Parco dei Mostri di Bomarzo
Salome o del disorientamento stilistico
intervento di Simone Tomei
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FIRENZE - Aprire con un terremoto emotivo e musicale: è questa la scelta del 87° Festival del Maggio Musicale Fiorentino, che ha inaugurato la sua edizione con Salome di Richard Strauss. Un’opera che, a oltre un secolo dalla sua prima esecuzione, conserva intatta la capacità di turbare, sedurre e respingere con la medesima, irresistibile forza. Non è solo un capolavoro del repertorio novecentesco, ma un gesto teatrale estremo, che ancora oggi interpella e disorienta. Strauss, nel 1905, non si limitò a superare le sue precedenti prove operistiche: con Salome spalancò un abisso sonoro e psicologico che avrebbe segnato indelebilmente la musica del XX secolo. La celebre osservazione sulla sua capacità quasi unica di fondere l’azzardo avanguardistico con la garanzia del successo popolare coglie nel segno, ma forse non basta a spiegare il sortilegio di quest’opera: Salome è il frutto dell’abilità quasi diabolica di un compositore-stratega nel maneggiare le tensioni più profonde del suo tempo. Non è un caso che Strauss abbia scelto il testo febbrile e decadente di Oscar Wilde, già avvolto da un’aura di scandalo che sembrava implorare una veste musicale. E Richard Strauss gliela diede, trovando in quelle pagine il catalizzatore perfetto per sondare gli abissi della psiche umana. Il percorso dell’opera nei teatri del mondo fu subito segnato da polemiche e censure - celebre il bando imposto dal Metropolitan di New York - a dimostrazione della sua carica eversiva e della sua capacità di toccare nervi scoperti.
  

Confrontarsi con Salome significa ancora oggi calarsi in un’esperienza limite: un dramma in musica in cui bellezza e crudeltà, desiderio e morte si intrecciano in una danza pericolosa e ipnotica. Un’apertura di festival che è anche una dichiarazione di poetica: il Maggio sceglie di inaugurare con il fuoco. Avvicinarsi alla partitura di Salome è come sporgersi su un precipizio sonoro. Strauss vi compie un funambolico esercizio di equilibrismo tra dissonanze spinte all'estremo che lacerano il tessuto armonico tradizionale, e un'attrazione gravitazionale verso elementi tonali che impedisce la dissoluzione completa. L'opera si configura quasi come un unico, grande arco sinfonico-vocale, dove l'orchestra non è mero accompagnamento ma protagonista assoluta che avvolge e commenta l'azione. Questa orchestra monumentale, arricchita da percussioni esotiche, tastiere e timbri inediti come quello dell'Heckelphon - strumento ad ancia doppia della famiglia degli oboi, ma con un registro più basso, un'ottava sotto l'oboe ordinario - diventa il sismografo delle pulsioni più nascoste. La scrittura è densissima, eppure costruita su un numero esiguo di frammenti tematici ossessivi, quasi cellule melodiche che infettano l'intera partitura, associate ai personaggi e alle loro morbose dinamiche relazionali. La vocalità stessa è rivoluzionaria, abbandona le convenzioni del belcanto per farsi urlo, declamazione spezzata, ma anche inflessione quasi naturalistica, mettendo a nudo i nervi dei personaggi: la vacuità nevrotica di Erode, la rigidità dogmatica di Jochanaan, la gelida determinazione del desiderio di Salome.


L'opera irrompe senza preamboli, in medias res, trascinando l'ascoltatore in un gorgo di violenza sonora e di tagliente leggerezza. È un'esperienza quasi fisica, un fuoco che divampa e si consuma in poco più di un'ora e mezza ma che lascia un segno indelebile. In questo flusso incandescente, privo di approdi lirici tradizionali, si staglia come un'allucinazione la celebre "Danza dei Sette Veli": un intermezzo orchestrale autonomo, ipnotico e sensuale, quasi una febbre esotica prima dell'orrore finale. E poi l'assolo conclusivo della protagonista, culmine di tensione psicologica e musicale, davanti alla testa del Battista. È la scena del bacio impossibile, dell'amore che si realizza solo nella morte e nella profanazione necrofila: una sorta di agghiacciante Liebestod alla rovescia, dove alla trasfigurazione romantica si sostituisce l'apoteosi della perversione. Assistere a questa produzione fiorentina, dopo aver meditato sulla potenza e sulla complessità intrinseca di Salome, risulta un’esperienza straniante, quasi un tradimento delle aspettative. Un'opera di tale forza tellurica richiede una visione registica salda, coerente, capace di reggere l'urto della partitura straussiana. Qui invece ci si smarrisce in un labirinto di scelte discutibili che indeboliscono la tensione drammatica. La regia di Emma Dante, appoggiata sull’impianto visivo di Carmine Maringola, trae suggestione dalla celebre bocca del Parco dei Mostri di Bomarzo, ma la combina in modo incongruo con dinamiche ispirate a una visione quasi caricaturale del teatro dei pupi siciliani, generando un cortocircuito intellettuale. Anche l’appropriato disegno luci di Luigi Biondi contribuisce a un pastiche disomogeneo, privo di una sintesi significativa, che finisce per smarrire il senso profondo del dramma.. I costumi, pur notevoli per la loro fattura curati da Vanessa Sannino, appaiono come splendidi involucri vuoti, slegati da un contesto plausibile, contribuendo a un generale senso di disorientamento stilistico. Manca una logica visiva che guidi lo spettatore attraverso le torbide vicende della corte di Galilea. Persino le corone indossate da Erode ed Erodiade appaiono modellate sulle forme dei “mori siciliani”, figure che, pur rappresentando il melting pot culturale dell'isola e toccando temi universali come la passione, l'amore, la gelosia e il destino tragico, risultano un'ulteriore forzatura simbolica, del tutto estranea all'immaginario biblico e decadente dell'opera e quindi poco adatte al caso specifico. Ma il problema più grave risiede forse nell'inerzia complessiva dello spettacolo. La tensione latita, lo sviluppo drammatico stenta a decollare lasciando una sensazione di piattezza, quasi un elettrocardiogramma piatto laddove ci si aspetterebbe un crescendo parossistico. Molte soluzioni appaiono forzate, giustapposte: la tavola del banchetto, sovraccarica di simboli di opulenza eterogenei e francamente kitsch (teste d'animale, formaggi, crostacei), ne è un esempio lampante. Altrettanto imbarazzanti risultano certe didascalizzazioni visive, come i pavoni bianchi trasformati nelle movenze in polli da cortile o le ricchezze elencate da Erode, mimate goffamente da danzatrici; e le scelte discutibili non si fermano qui. Durante il concitato dibattito tra i Giudei si assiste a un'ulteriore, sconcertante sovrapposizione visiva: la scena sembra voler goffamente ricostruire l'Ultima Cena leonardesca: un riferimento del tutto fuori luogo, reso ancor più bizzarro dal fatto che le invettive isteriche di Erodiade si inseriscono in questo quadro, quasi che la regina prendesse il posto iconografico tradizionalmente attribuito all’apostolo Giovanni. Si tratta di un'idea che, oltre ad essere gratuita, si spinge pericolosamente nel territorio del cattivo gusto. Anche il momento coreografico più atteso, la "Danza dei Sette Veli", pur beneficiando di un'idea visivamente colorata - veli associati ai colori dell'arcobaleno - e della bravura del corpo di ballo, soffre di una scelta interpretativa che ne depotenzia il significato. Questa danza è, nel profondo, l'atto supremo di seduzione e affermazione di Salome stessa, un monologo corporeo rivolto a Erode. Affidarla a un corpo di ballo, per quanto tecnicamente preparato, significa stemperarne la carica erotica e psicologica individuale, trasformando un momento di cruciale confronto personale in uno spettacolo coreografico gradevole ma intrinsecamente meno potente e disturbante. La gestione delle interazioni tra gli interpreti appare piuttosto trascurata: spesso lasciati a se stessi, gli attori si muovono in scena con dinamiche che risultano casuali, meccaniche e prive di una reale motivazione espressiva. Particolarmente discutibile è la caratterizzazione di Erodiade, tratteggiata come una figura quasi nevrotica. La si vede agitarsi in continuazione, arrivando persino a salire sul tavolo del banchetto in una posa che sembra voler suggerire regalità, ma che finisce per apparire come quella di una figura altezzosa e scomposta, intenta a dominare la scena dall’alto. Il suo atteggiamento costantemente sprezzante sembra voler esprimere un sottile disprezzo nei confronti del consorte Erode, sottolineandone la debolezza. Tuttavia, l’idea registica manca di finezza e scivola nel grottesco. Anche la scena finale, pur sorretta dalla forza della partitura musicale, è compromessa da una scelta registica discutibile e incoerente dal punto di vista narrativo: vedere Erodiade scendere nella cisterna per recuperare personalmente la testa del Battista e gettarla sul tavolo risulta una forzatura che contrasta con ogni logica drammaturgica e testuale. Questa produzione fiorentina mi ha lasciato l’impressione di un’occasione solo parzialmente colta e condizionata da una chiave interpretativa forzata. Ancora una volta si nota la tendenza della regista a introdurre stilemi e riferimenti legati all’immaginario siciliano, anche in contesti drammaturgici e culturali che non sembrano naturalmente predisposti ad accoglierli. Il suo "marchio di fabbrica" - qui espresso attraverso l’iconografia dei pupi (ridotti a semplici macchiette), le teste di moro e altri dettagli incongrui - si rivela particolarmente fuorviante e, a mio avviso, completamente inadatto al titolo. L'insistenza su questa cifra stilistica finisce per impoverire la complessità psicologica e la portata universale del capolavoro di Strauss e Wilde, riducendolo ad un esercizio manierato, confuso e sterile, incapace di restituirne il fascino perverso e la forza sconvolgente. Passiamo adesso al cast.


Nel ruolo di Salome, il soprano Lidia Fridman ha affrontato con slancio il ruolo impervio della protagonista. Vocalmente l'interprete ha dimostrato buone qualità: la zona acuta si è rivelata sicura, ben proiettata e capace di sostenere le vertiginose impennate richieste da Strauss. Meritevole anche la gestione delle dinamiche e delle intenzioni espressive. Qualche difficoltà è emersa invece nella regione grave, dove il timbro tendeva a perdere compattezza e il volume risultava talora insufficiente per emergere sul denso tappeto orchestrale. A fronte di una prova vocale apprezzabile, la resa scenica è apparsa meno convincente: la Fridman non è riuscita a incarnare pienamente il fascino morboso e la carica seduttiva della giovane principessa. È mancato quel magnetismo fisico ed espressivo che rende Salome tanto irresistibile quanto inquietante. Questo limite è emerso con particolare evidenza nella "Danza dei Sette Veli", priva di autentica tensione e incapace di trasmettere il fascino sensuale che le è proprio. Lo stesso si può dire per la scena con Jochanaan, dove la febbre emotiva necessaria a rendere credibile l’ossessione di Salomè è risultata affievolita. Incisiva la prova di Nikolai Schukoff nei panni di Erode ove l'interprete ha saputo restituire con grande intensità le molteplici sfaccettature del tetrarca, oscillando tra l'ambiguità, il capriccio e la disperazione. La vocalità si è mantenuta costantemente a fuoco, con sicura proiezione, omogeneità di emissione e una gestione sapiente delle dinamiche espressive, riuscendo così a dominare il ruolo senza mai cedere alla tentazione dell'eccesso caricaturale. Particolarmente efficace la resa teatrale della scena culminante in cui, costretto dalla figlia, deve promettere la testa del Battista. Altra prova di assoluto rilievo ci è stata regalata da Anna Maria Chiuri, splendida interprete di Erodiade. La cantante ha saputo incarnare con assoluta aderenza il carattere orgoglioso e oscuro della madre di Salome, forte di un'esperienza scenica e musicale che si è tradotta in un'esecuzione precisa e sicura. La voce, sonora e compatta su tutta l'estensione, ha affrontato con naturalezza le salite in acuto, mantenendo sempre una linea di canto nitida e piena. La componente attoriale, di grande efficacia, ha completato una piena caratterizzazione del personaggio restituendo in modo vivido le ombre demoniache che gravano su di esso. Un'altra presenza di spicco è stata quella del baritono Brian Mulligan nel ruolo di Jochanaan. L'interprete ha conquistato per la solidità del canto e per la cura attentissima della parola scenica. Se il colore della voce, piuttosto chiaro, poteva inizialmente far temere qualche difficoltà, la prova ha invece mostrato un artista in pieno controllo dei propri mezzi, capace di affrontare la parte con elegante disinvoltura. L'esordio dalla cisterna, sulle parole «... Dopo di me verrà uno che è più potente di me…», ha sprigionato un'intensità dirompente, capace di catturare subito l'attenzione. L'interpretazione, arricchita da un'espressività fisica e facciale perfettamente fusa con il canto, si è imposta per forza comunicativa e magnetismo scenico. Meno felice, purtroppo, l’esibizione di Eric Fennell nei panni di Narraboth, il cui strumento vocale si è rivelato non del tutto adeguato per dimensioni e proiezione richieste dal ruolo. Già dalla quinta fila, la sonorità appariva attenuata, limitando l’impatto di un personaggio che, per natura, dovrebbe emergere per slancio e vitalità. Nonostante l’impegno interpretativo, questa fragilità ha finito per indebolire alcuni passaggi cruciali, attenuando la forza emotiva e scenica. Di ottimo livello, invece, la prestazione dei comprimari per i quali si è avvertita una particolare attenzione alla resa scenica e musicale: ciascun interprete, pur nella brevità del proprio intervento, ha saputo ritagliare un ritratto credibile e incisivo: il Paggio di Erodiade, interpretato da Marvic Monreal, ha brillato per freschezza vocale e musicalità, riuscendo a comunicare con una linea di canto morbida l’ansia e la tenerezza verso Narraboth. Vivaci e ben assortiti i Cinque Giudei - Arnold Bezuyen, Mathias Frey, Patrick Vogel, Martin Piskorski e Karl Huml - capaci di restituire la concitazione dei dibattiti teologici con chiarezza vocale e buon affiatamento d'insieme. Saldi e sicuri i Nazareni (William Hernandez e Yaozhou Hou) e i Soldati (Frederic Jost e Karl Humi) che hanno contribuito a definire con autorevolezza i quadri collettivi. Infine, il breve ma significativo intervento di Un Cappadoce, interpretato da Davide Sodini. La direzione del M° Alexander Soddy, è stata una vera e propria prova di virtuosismo e lucidità interpretativa. Con un gesto misurato e incisivo, ha saputo affrontare le complessità della partitura straussiana con grande sicurezza, mettendo in risalto la ricchezza e la profondità della musica. Nonostante le difficoltà acustiche della buca del Maggio che solitamente rappresentano una sfida per le orchestre, Soddy ha saputo gestire adeguatamente le dinamiche, riuscendo a mantenere sempre il giusto equilibrio tra orchestra e palco. La sua capacità di modulare l'intensità e la sonorità in base al momento drammatico, senza mai cedere alla tentazione di esagerare, ha conferito alla performance una tensione costante che ha accompagnato perfettamente l'evolversi della narrazione. Una delle qualità più apprezzabili della sua direzione è stata la grande attenzione ai dettagli strumentali, che ha permesso di far emergere la straordinaria complessità orchestrale di Richard Strauss. Le transizioni tra le diverse sezioni dell'orchestra sono state impeccabili, e la precisione con cui ha gestito le numerose sfumature di timbro ha contribuito a creare un'atmosfera unica, che ha reso ogni scena ancora più coinvolgente. In particolare ha saputo valorizzare le sezioni più intime e le atmosfere più inquietanti della partitura dove l'orchestra ha sottolineato le drammatiche svolte psicologiche dei personaggi, senza mai risultare invadente. La sua lettura è stata sempre in sintonia con le esigenze interpretative degli interpreti, evidenziando con grande sensibilità le evoluzioni emotive di ogni personaggio e dando vita a un'esperienza musicale d'insieme di notevole spessore. Eccellente l’apporto del corpo di ballo diretto da Silvia Giuffrè, capace di arricchire la produzione con coreografie variopinte per stile e tono. Alcune danze, di grande eleganza e suggestione, hanno evocato atmosfere perfettamente in linea con la drammaturgia; meno convincenti, invece, quelle grottesche e caricaturali, che risultavano talvolta in contrasto con il contesto emotivo e narrativo dell’opera. Ottimi anche i figuranti speciali. Al termine applausi per tutti da parte di un Teatro decisamente gremito. (La recensione si riferisce alla recita di mercoledì 23 aprile 2025)
Crediti fotografici: Michele Monasta per il Teatro dell'Opera di Firenze - Maggio Musicale Fiorentino Nella miniatura in alto: il soprano Lidia Fridman (Salome) Al centro, in sequenza: Lidia Fridman con Nikolai Schukoff (Erode); panoramica su scena e costumi; Brian Mulligan (Jochanaan); Anna Maria Chiuri (Erodiade) e Nikolai Schukoff Sotto, in sequenza: altre panoramiche sull'allestimento fiorentino curato da Emma Dante
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Pubblicato il 29 Marzo 2025
Applaudito spettacolo nel Teatro Sociale di Rovigo di un allestimento storico di Bepi Morassi
L'elisir col bis della lagrima
intervento di Athos Tromboni
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ROVIGO - La provincia, si dice, potrebbe salvare il mondo dell'Opera. E riproporre il ritorno ad una teatralizzazione del genere fuori da psicodrammi inventati e fughe oniristiche dentro la provocazione, ridonando alla drammaturgia di un genere da museo (l'Opera, appunto, genere da museo ma vivente e vivace) la propria incontestabile significanza. La provincia, si dice, rappresenta la stragrande maggioranza del popolo dei melomani - chi considerasse dispregiativo questo sostantivo (melomani), oppure termine offensivo, o anche attributo di una categoria di "care salme" invaghite di acuti svettanti oltre il do di petto, è preda di sussieghi irritanti - e per questa verità statistica si può dire che la provincia è il campione rappresentativo dell'universo: se ciò è vero (ed è vero), il Teatro Sociale di Rovigo o il Luglio Musicale Trapanese, così come il Teatro Sociale di Como o il Teatro Pergolesi di Jesi, e tanti altri piccoli teatri, analizzati nella reazione del pubblico ad un allestimento operistico, valgono quanto i grandi templi della lirica italiani e stranieri. Con la differenza che rappresentano - come provincia - la maggioranza degli amanti d'opera, che poi in definitiva sono quelli che contribuiscono a far vivere il genere da museo fuori del museo e dentro la vita quotidiana. Questo pensiero messo qui come prologo, è maturato ieri sera durante la recita di L'elisir d'amore di Gaetano Donizetti andato in scena a Rovigo, in un teatro gremito in ogni ordine di posti e a lungo acclamante a tutto il cast e al regista alla fine dello spettacolo. Ed è stata una testimonianza che l'Opera - quando messa in scena nella sua essenziale veridicità - tocca più che mai il sentimento della gente.
  
  

Sì, perché l'Opera non è solo l'esercizio di un'attività culturale, ma anche àmbito di passione popolare. In ogni tempo e in ogni luogo; in ogni regime e in ogni democrazia; in ogni ambiente dove essa prende forma (teatro, cinema, radio, televisione, streaming internet, eccetera) fin da quando è stata "inventata". Ma a teatro soprattutto conserva (deve conservare) il proprio àmbito di passione popolare, incoraggiando il pubblico, anziché scoraggiarlo con elzeviri registici che ne stravolgono i contenuti quando tollerano - sì, tollerano, è la parola giusta - la musica, ma snaturano la narrazione che inscindibilmente le appartiene. E adesso parliamo di questo Elisir rodigino che ha mandato in solluchero il pubblico: era un allestimento storico del regista Bepi Morassi, ideato per il Teatro La Fenice di Venezia nel 2003, poi rinnovato con alcuni "innesti scenici" originali nel 2010, come ha tenuto a precisare Morassi nella presentazione dello spettacolo fatta nel Ridotto del Sociale un'ora prima dell'andata in scena. Un allestimento che ha conservato costumi storici, anche se di fantasia, realizzati da Gianmaurizio Fercioni: forse non era l'ambiente agreste del Settecento come nel libretto di Felice Romani mutuato dal lavoro francese Le Philtre di Eugéne Scribe musicato da Daniel Auber un anno prima di Donizetti. Ma comunque suggeriva un ambiente civile da villagio di campagna e un ambiente militare Sette-ottocentesco.


Le scenografie erano sobrie ed essenziali, e mostravano di tanto in tanto fondali dipinti ripresi e rifatti secondo l'allestimento originale del Teatro Cannobiana di Milano quando L'elisir d'amore andò in scena in prima esecuzione assoluta nel 1832 (Gaetano Donizetti aveva allora 35 anni). Le luci appropriate di Andrea Benetello hanno contribuito alla suggestione scenica in maniera eccellente. I movimenti coreografici di Barbara Pessina hanno dato quella vivacità che è propria della commedia dell'arte e della migliore operetta tradizionale. Insomma, uno spettacolo godibile, fresco, in tema con il soggetto dell'opera, così spesso divertente e comico, e altrettanto sentimentale e (per dirla alla francese) larmoyante. In questa cornice ideale i cantanti, tutti, hanno dato il meglio di loro: a cominciare dal tenore Liparit Avetisyan (Nemorino) che è risultato un eccellente attore, un altrettanto eccellente caratterista, e soprattutto un tenore belcantista che sa svettare nella zona dell'acuto e del superacuto senza stimbrare e senza stonare. Strepitosa la sua interpretazione del personaggio principale dell'opera, tanto che a furor di popolo ha dovuto bissare l'aria della "Furtiva lagrima". Non da meno del tenore è stata la brava Giulia Mazzola (Adina) che si è rivelata una belcantista d'elezione, oltre che scenicamente vivace e credibile. Tutta la sua prestazione è degna di elogio, ma soprattutto va messo in evidenza il canto sfoggiato per l'aria "Prendi per me sei libero" e per la prosecuzione dell'aria in "Ah! fu con te verace" dove il finale si inerpica in una sfolgorante serie di vocalizzi - quasi un sillabato - sulla frase "il mio rigor dimentica" vera vetta del virtuosismo sopranile di tutti i tempi: la Mazzola è stata superba, ovviamente subissata da applausi e ovazioni del pubblico a scena aperta. Ottimo il Belcore del baritono William Hernandez voce possente e scura che nel tempo, con la pratica e negli anni a venire, sfocerà sicuramente nei registri di basso drammatico, perché la voce si presta e anche il fisico si presta. Vivace scenicamente e molto musicale il canto di Matteo Torcaso chiamato ventiquattr'ore prima della recita a sostituire l'annunciato Daniel Giulianini ammalatosi: Torcaso è un basso cantante dal colore chiaro, che ha mostrato di potersi adattare bene per i ruoli di carattere (Don Bartolo, Don Basilio, Don Pasquale, forse anche Falstaff): da belcantista, appunto, con una vocalità che a nostro giudizio non sfocerà mai nel drammatico come abbiamo pronosticato per il suo collega Hernandez. Infine last but not least la giovane Judith Maria Duerr vocione sopranile importante e da coltivare, che ha dato alla figurina di Giannetta il piglio di personaggio non di fianco ma da protagonista delle scene che la riguardano; anche per lei un pronostico: in carriera sarà Tosca e Aida... e chi vivrà vedrà.



Bravo il Coro Lirico Veneto preparato da Matteo Valbusa. E ben gestiti dal regista Bepi Morassi anche i figuranti e mimi che di tanto in tanto invadevano il palcoscenico contribuendo all'effetto di gioiosità che ha pervaso tutta la messinscena. Ottima la concertazione del maestro Gerardo Felisatti genius loci (è di Rovigo) sul podio di una brava Orchestra Regionale Filarmonia Veneta. Pubblico, come si diceva, in visibilio, grazie a Donizetti e ... (consentiteci) a Bepi Morassi... Replica domani, 30 marzo, ore 16. (la recensione si riferisce alla recita di venerdì 28 marzo 2025)
Crediti fotografici: Nicola Boschetti e Loris Saviero per il Teatro Sociale di Rovigo Nella miniatura in alto: il direttore Gerardo Felisatti Al centro, in sequenza: Liparit Averisyan (Nemorino); Giulia Mazzola (Adina) con Liparit Averisyan; Judith Maria Duerr (Giannetta); Matteo Torcaso (Dulcamara) con Giulia Mazzola; ancora Matteo Torcaso; William Hernandez (Belcore); panoramica su scene e costumi Sotto: altre panoramiche sull'allestimento e la foto-ricordo del cast a fine recita
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Parliamone
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Nabucco oltre l'essenziale
intervento di Athos Tromboni FREE
VERONA - Che Nabucco di Giuseppe Verdi, bandiera dell'irredentismo italiano, potesse essere un opera-ballo, non era scontato. Eppure centottantatré anni dopo si è dimostrato possibile: ci è riuscito il regista Stefano Poda, con un allestimento in Arena di Verona che ha sfidato ogni tradizione e ogni immaginaria previsione costruendo uno spettacolo sopra le righe... «Io sono un istrione, ma la genialità è nata insieme a me... » cantava Charles Aznavour nei mitici anni '60 del Novecento. Ecco, adattiamolo a Poda, il sillogismo. Egli, per questo allestimento che ha inaugurato ieri, 13 giugno 2025, la centoduesima edizione dell'Arena Opera Festival nel teatro all'aperto più grande del mondo in una serata da tutto esaurito (sold-out, spellingano i fichissimi...), si è sbarazzato di ogni possibile ed eventuale interferenza tecnica, storica, e/o filosofica di terzi, firmando da solo regia, scene, costumi, luci e coreografia ... io sono un istrione e la genialità è nata insieme a me ... punto. E ha costruito uno spettacolo da gran-gala areniano
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Opera dal Nord-Est
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Candide da Voltaire a Bernstein
servizio di Rossana Poletti (13 giugno 2025) FREE
TRIESTE - Teatro Lirico “Giuseppe Verdi”. Per quale motivo Leonard Bernstein scelse il romanzo filosofico “Candide” di Voltaire per scrivere un’opera che lo proiettasse nel mondo lirico? Il primo motivo è certamente la questione politica. Nel dopoguerra l’America è dominata dal Maccartismo (un po’ come oggi dal trumpismo, ma guarda
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Opera dall Estero
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L'Incoronazione di Poppea piace
servizio di Ramón Jacques FREE
BOGOTÁ (Colombia), Teatro Mayor Julio Mario Santo Domingo - L’Incoronazione di Poppea (SV 308) è l’ultima composizione operistica di Claudio Monteverdi (1567–1643), autore italiano a cui si attribuisce il merito di aver contribuito alla nascita dell’opera lirica. La sua lunga carriera, che lo vide impegnato come direttore di coro (fu maestro di cappella
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Opera dall Estero
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Tannhäuser torna a Houston
servizio di Ramón Jacques FREE
HOUSTON (USA) - Grand Opera. Wortham Theatre Center. La Houston Grand Opera ha concluso con successo un’altra stagione con Tannhäuser, un’opera in tre atti con musica e libretto in tedesco di Richard Wagner (1813-1883). Come la maggior parte delle sue opere, Tannhäuser trae ispirazione da leggende medievali tedesche. La quinta opera
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Opera dal Centro-Nord
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Der junge Lord ovvero l'antitesi
servizio di Simone Tomei FREE
FIRENZE - In occasione dell'87° Festival del Maggio Musicale Fiorentino, abbiamo avuto l'opportunità di immergerci nell'intrigante universo di Der junge Lord, un'opera in due atti che porta la firma di Hans Werner Henze. Composta su libretto di Ingeborg Bachmann, liberamente ispirato alla novella di Wilhelm Hauff Der Affe als Mensch ("La scimmia come
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Eventi
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Festival Puccini 2025 e... 2026
servizio di Athos Tromboni FREE
TORRE DEL LAGO (LU) - Nel rinnovato e suggestivo giardino della Villa Puccini sulle rive del Lago di Massaciuccoli, accolti da Patrizia Mavilla, direttrice della Fondazione "Simonetta Puccini", si è tenuta la presentazione del 71° Festival Puccini che inaugurerà la stagione il 18 luglio 2025 con Tosca, per concludersi il 6 settembre con Manon Lescaut.
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Opera dal Nord-Ovest
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Carmen delle parole e delle note
servizio di Simone Tomei FREE
GENOVA – Con Carmen di Georges Bizet, l’Opera Carlo Felice di Genova ha proseguito la sua Stagione Lirica 2024-2025 mandando in scena l’ottavo titolo in cartellone. Opéra-comique in quattro atti, su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy tratto dalla novella di Prosper Mérimée, Carmen è tra i titoli più celebri e popolari dell’intero repertorio
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Opera dall Estero
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Giulio Cesare a Berkeley
servizio di Ramón Jacques FREE
BERKELEY (California, USA), Zellerbach Hall - Nel corso della tournée annuale negli Stati Uniti dell’ensemble inglese The English Concert, è stata eseguita con grande successo l’opera seria in tre atti Giulio Cesare in Egitto, HWV 17 di George Friedrich Händel (1685-1759). La rappresentazione si inserisce nel prestigioso ciclo Cal Performances di danza,
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Vocale
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La Veneziani e la Messa K.427
servizio di Athos Tromboni FREE
FERRARA - Il settantesimo anniversario dell'Accademia Corale "Vittore Veneziani" si è celebrato in queste settimane con diverse iniziative che hanno coinvolto la corale stessa e, naturalmente, la città. E in tutte le circostanze la città (artisti locali, istituzioni e pubblico) ha manifestato la propria simpatia verso "la Veneziani" come viene chiamata
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Opera dal Centro-Nord
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Giselle around Le Villi
servizio di Simone Tomei FREE
LUCCA - Sabato 17 maggio 2025, il Teatro del Giglio ha chiuso la sua stagione lirica con la prima nazionale di Giselle around Le Villi, un evento che ha trasceso la semplice rappresentazione per divenire un'operazione artistica di profonda risonanza. Non un mero spettacolo, ma una narrazione avvincente che ha saputo intessere due capolavori apparentemente
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Opera dal Nord-Est
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Enkbath grande Rigoletto
servizio di Rossana Poletti FREE
TRIESTE - Teatro Lirico “Giuseppe Verdi”. E’ stato un Rigoletto come non lo si vedeva da anni, quello andato in scena al Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste. Un cast eccezionale ha animato il palcoscenico del debutto. Daniel Oren ha diretto l’Orchestra del Verdi con straordinaria maestria, attento a tutte le sfumature della splendida musica del
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Classica
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Zangiev/Gadijev accoppiata vincente
servizio di Nicola Barsanti FREE
FIRENZE - Due opere monumentali della musica russa, lontane nel linguaggio ma accomunate da una tensione emotiva profonda, si incontrano in un’unica serata: il Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 di Sergej Prokof’ev e la Sesta sinfonia di Pëtr Il’ič Tchaikovsky, la celebre Patetica. Da un lato, un’esplosione di energia, una scrittura virtuosistica al
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Classica
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Ferrara Musica nuova Stagione
redatto da Athos Tromboni FREE
FERRARA - Presentata la Stagione 2025/2026 di Ferrara Musica: sono quattordici gli appuntamenti con le migliori orchestre italiane e internazionali, guidate da grandi direttori, tra i quali spiccano il nome di Sir Antonio Pappano sul podio della Chamber Orchestra of Europe e quello di Michele Mariotti alla guida della Filarmonica della
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Nuove Musiche
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Torna miXXer
FREE
FERRARA - Il Festival miXXer, ideato e organizzato dal Conservatorio "Girolamo Frescobaldi" di Ferrara, giunge alla XVIII edizione e avrà luogo il 15, 16 e 17 maggio 2025 presso Palazzo Naselli Crispi, Ridotto del Teatro Comunale, giardino di Palazzo Giulio D’Este, Torrione Jazz Club, Pinacoteca Nazionale di Ferrara e loggiato di Palazzo dei
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Eventi
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Il nuovo cartellone del Regio
redatto da Simone Tomei FREE
TORINO - Il Teatro Regio di Torino si prepara a inaugurare una stagione 2025/2026 ricca di appuntamenti imperdibili, all'insegna di un rinnovato slancio artistico e culturale. Dieci titoli operistici, che spaziano dalle vette del repertorio classico a gemme preziose del Novecento, quattro nuove produzioni che promettono di lasciare
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Opera dal Centro-Nord
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Un Falstaff maturo e autoritario
servizio di Simone Tomei FREE
LIVORNO - Con Falstaff, ultimo capolavoro di Giuseppe Verdi, si è conclusa la stagione lirica 2024-25 del Teatro Goldoni, regalando ai livornesi un ritorno atteso da più di un secolo. L’opera, infatti, era stata rappresentata nella città toscana soltanto una volta in oltre cento anni. La messinscena è frutto di una prestigiosa collaborazione
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Echi dal Territorio
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Vivaldi e il mandolino
servizio di Edoardo Farina FREE
FERRARA - La programmazione invernale 2024/primaverile 2025 di “Ferrara Musica al Ridotto” - Giovani interpreti e rare occasioni d’ascolto attraverso l’organizzazione artistica di Dario Favretti autore anche delle varie ed esaustive note di sala allegate a ogni concerto della domenica mattina presso la sala Stemma del Teatro Comunale “Claudio
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Echi dal Territorio
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Garcia e i cantanti del Frescobaldi
servizio di Athos Tromboni FREE
FERRARA - Voluto dalla direttrice del Conservatorio "Girolamo Frescobaldi", Annamaria Maggese, e realizzato dai docenti Alessandro Patalini, Marina De Liso, Manolo Da Rold, Monica Benvenuti e Susanna Guerrini, si è svolto ieri nel Ridotto del Teatro Comunale "Claudio Abbado" un concerto sotto il titolo “Manuel Garcia 1775-2025, due secoli e mezzo
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Opera dall Estero
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Ainadamar a Los Angeles
servizio di Ramón Jacques FREE
LOS ANGELES (USA), Dorothy Chandler Pavilion - Ainadamar, opera prima in tre atti e tre scene composta dal compositore argentino Osvaldo Golijov (nato nel 1960), è uno dei titoli in programma nella stagione in corso della Los Angeles Opera che si concluderà a giugno con una produzione di Rigoletto e i recital del tenore Joshua Guerrero
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Personaggi
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Parla Leone Magiera
redatto da Athos Tromboni FREE
FERRARA - Quasi duecento giovani cantanti lirici provenienti da tutto il mondo stanno partecipando, in più giorni, alle audizioni presso il Teatro Comunale "Claudio Abbado" di Ferrara per le nuove produzioni liriche rossiniane di La Cenerentola e Il barbiere di Siviglia, in programma nelle prossime stagioni d'Opera del teatro ferrarese. Vogliono mettere
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Opera dall Estero
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Cosė fan tutte alti e bassi
servizio di Ramón Jacques FREE
LOS ANGELES CA, USA, Dorothy Chandler Pavilion - Le nuove e più dinamiche programmazioni dei teatri americani, che si concentrano sulla messa in scena di opere contemporanee, prevalentemente di compositori americani e di alcuni stranieri (il prossimo titolo in programma sarà Ainadamar del compositore argentino Osvaldo Golijov - 1960), nonché di
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Classica
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Saccon Génot ritorno a Ferrara
servizio di Athos Tromboni FREE
FERRARA - Pubblico come sempre numeroso nel salone d'onore del Circolo Negozianti in Palazzo Roverella, ieri, vigilia di Pasqua, per il secondo concerto cameristico promosso dal Comitato per i Grandi Maestri fondato e diretto da Gianluca La Villa. Dopo i saluti del presidente del sodalizio, Paolo Orsatti, sono entrati i due cameristi già conosciuti e
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Opera dal Nord-Ovest
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Danae di rara opulenza
servizio di Simone Tomei FREE
GENOVA - In un panorama operistico spesso dominato da titoli consolidati, emerge con prepotente originalità la produzione di Die Liebe der Danae, Op. 83 di Richard Strauss al Teatro Carlo Felice di Genova. Quest'opera, lungi dall'essere un mero reperto archeologico, si rivela un'esplorazione complessa e affascinante delle dicotomie umane, incastonata
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Opera dal Nord-Ovest
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Dama scolpita dalla luce
servizio di Simone Tomei FREE
TORINO - Il Teatro Regio ha riportato in scena La dama di picche di Pëtr Il'ič Chajkovskij, in una nuova coproduzione con la Deutsche Oper di Berlino. L'opera si è rivelata un'autentica descente aux enfers, un'immersione nelle zone più oscure e tormentate dell'animo umano. L'allestimento, ideato da Graham Vick e portato a termine con
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Nuove Musiche
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Conti Cavuoto Santini il trio
servizio di Athos Tromboni FREE
FERRARA - Ferrara Musica al Ridotto è una rassegna "parallela" e si affianca alla programmazione maggiore di quella Ferrara Musica fondata da Claudio Abbado nel 1989. La rassegna maggiore ha il pregio di proporre i grandi interpreti (solisti, direttori, orchestre) in un cartellone che mira alto; la rassegna "parallela" si assume invece il compito di valorizzare
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Personaggi
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Ferrara e Vivaldi connubio in musica
redatto da Edoardo Farina FREE
È il quarto anno consecutivo che il maestro Federico Maria Sardelli è presente nel cartellone musicale del Teatro Comunale "Claudio Abbado" di Ferrara. Questa volta ha proposto al pubblico estense una Serenata a tre che è praticamente una pagina dimenticata del catalogo del "Prete Rosso". Sardelli è direttore d'orchestra, compositore,
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Vocale
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Serenata d'amore torna a cantare
servizio di Athos Tromboni FREE
FERRARA - La prima esecuzione assoluta in tempi moderni di una pagina musicale molto bella di Antonio Vivaldi, la Serenata a tre RV 690, ha richiamato nel Teatro Comunale "Claudio Abbado" un buon numero di spettatori ed estimatori della musica del "prete rosso", tanto da registrare praticamente il tutto esaurito. Ancora una volta il majeuta è
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Classica
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Il ritorno dei Cardelli
servizio di Athos Tromboni FREE
FERRARA - Il ritorno dei Cardelli. Sembra quasi il titolo di una saga, e tale parrebbe se si considerasse la regolarità con cui da un paio di lustri i recital solististici di Matteo (pianoforte) o di Giacomo (violoncello), nonché i concerti in Duo, fanno registrare una loro presenza nelle rassegne cameristiche di Ferrara. Stavolta, per gli appuntamenti dei
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Nuove Musiche
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Lo Specchio di Dioniso
servizio di Edoardo Farina FREE
FERRARA - Continua la ricca programmazione del Teatro Comunale “Claudio Abbado” luogo simbolo della tradizione culturale locale, nell’ambito della Stagione Opera & Danza 2024-2025 con in scena il decimo appuntamento dei quattordici previsti, Lo Specchio di Dioniso - Risonanze polifoniche erranti venerdì 21 marzo 2025 (replicatosi nella serata successiva)
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Opera dal Nord-Est
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Elektra nella Repubblica di Weimar
servizio di Simone Tomei FREE
VERONA – Nei fermenti intellettuali dei primi anni del Novecento, quando le teorie di Sigmund Freud e gli studi sull'isteria e sull'inconscio scuotevano le fondamenta del pensiero occidentale, il mito degli Atridi subì una profonda umanizzazione; il letterato e poeta Hugo von Hofmannsthal, reinterpretando la leggenda mitologica in chiave
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Opera dal Centro-Nord
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Norma da manuale
servizio di Simone Tomei FREE
FIRENZE - Dopo oltre quarantacinque anni di assenza, Norma torna a Firenze in un allestimento che non si limita a celebrare il capolavoro di Vincenzo Bellini, ma lo reinterpreta con una chiave scenica e musicale di forte impatto. La regia di Andrea De Rosa e la direzione del M° Michele Spotti plasmano uno spettacolo che, pur rispettando la tradizione
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