Pubblicato il 05 Luglio 2024
L'opera di Georg Friedrich Händel non è ambientata dal regista Christopher Alden a Napoli
Partenope emigra a Parigi servizio di Ramón Jacques

20240705_SanFrancisco_00_Partenope_JulieFuchs_phCoryWeaver SAN FRANCISCO (USA) -  War Memorial Opera House, 19 giugno 2024. Partenope, opera lirica in tre atti di Georg Friedrich Händel su libretto italiano anonimo, adattata nel 1699 da Silvio Stampiglia, e la cui prima assoluta ebbe luogo al King's Theatre di Londra il 24 Febbraio 1730 - come molte delle opere di Händel - non è una delle opere più conosciute o apprezzate del compositore tedesco, né viene messa in scena frequentemente. Negli Stati Uniti, ad esempio, ha debuttato nel 1988 all'Omaha Opera House, lo stesso anno è stata vista al Glimmerglass Festival di New York e alla New York City Opera, dove è stata poi ripresa nel 2010.
Nel 2014, la San Francisco Opera aveva deciso di includerla nella sua stagione in una nuova produzione teatrale commissionata al regista americano Christopher Alden, andata in scena per la prima volta all'English National Opera di Londra nel 2008. Le rappresentazioni di San Francisco vedevano nel ruolo della protagonista il soprano Danielle de Niese, e trattandosi di un importante teatro americano, questo ha attirato l'attenzione di molti appassionati e critici, rendendolo uno spettacolo di successo. L’opera avrebbe dovuto essere rappresentata nell’estate del 2020, ma ha dovuto essere cancellata a causa del Covid, insieme a Ernani di Verdi e The (R)evolution of Steve Jobs di Mason Bates, che è stata già riproposta nella scorsa stagione; ma di Ernani non si conosce ancora la data del suo recupero, poiché non è stata inserita nella prossima stagione.
Almeno quest'estate è stato possibile godersi quel gioiello handeliano che è Partenope.
Come molte opere del repertorio antico, la trama di questa opera comprende varie situazioni comiche, e assieme ad Agrippina, che si stacca dallo stile dell’opera seria (come era abitudine di Händel di comporre), fu considerata ai suoi tempi un'opera poco attraente, per la vastità delle arie e i lunghi recitativi, oltre che per la sua frivolezza dovuta agli intrecci amorosi che compongono la trama.
Per questa rappresentazione di ben tre ore e mezza furono apportati diversi tagli alla partitura, eliminando alcuni numeri, come una sinfonia, dei recitativi e alcune arie in ciascuno dei tre atti, per non farla durare più di quattro ore, come sarebbe stata la versione senza tagli.
Essendo un'opera votata alla commedia ma che include un personaggio mitologico come la regina Partenope, fondatrice di Napoli, la scena è ambientata a Parigi negli anni '20 del Novecento, dove Partenope è una raffinata aristocratica, che organizza un gioco di carte nell'elegante e spaziosa sala del suo palazzo.
Riassumendo la trama in poche parole, i personaggi di Arsace, Armindo ed Emilio corteggiano Partenope, la quale mostra di preferire Arsace, ma compare il personaggio di Rosmina, travestita da Eurimine per allontanare Arsace, suo ex compagno, da Partenope. Alla fine Partenope sceglie Armindo e Rosmira riprende Arsace.
Christopher Alden ha saputo sfruttare la comicità che la storia permette, senza cadere in eccessi, riuscendo a realizzare uno spettacolo fluido, divertente, senza idee fuori luogo o eccessi.

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L'idea scenica di Andrew Liebermann è esteticamente attraente, con un ampio spazio bianco che contiene un'enorme scalinata da un lato del palco e un tavolo dall'altro, che è il salone menzionato prima, rappresentativo dell’avanguardia del XIX secolo. Il secondo atto si svolge nel seminterrato di quel palazzo, e l'ultimo atto ci mostra un collage realizzato su un enorme muro bianco con fotografie del personaggio del guerriero Emilio, che qui è una specie di paparazzo che usa la sua macchina fotografica invece della spada per esplorare e indagare una comme rappresentazione o avatar del fotografo Man Ray; per concludere lo spettacolo nella stessa stanza, con il personaggio di Partenope che poggia una gamba su una sedia e l'altra sul tavolo, la stessa scena con cui inizia la rappresentazione quando il tenore si alza, come esempio dell’importanza gerarchica del personaggio.
Quell’immagine appartiene ad una fotografia scattata nel 1920 alla scrittrice Nancy Cunard dal fotografo Man Ray, di cui sono stati proiettati video e immagini della sua opera. Nella progettazione e nei tratti di questo allestimento si notano influssi dei movimenti surrealisti e dadaisti, come le maschere utilizzate dai personaggi, di André Breton, o i dipinti di Pablo Picasso, ecc. e vanno menzionati anche i costumi eleganti, dell’epoca di Jon Morrell.
Per l'occasione si è formato un buon cast con la presenza del soprano  francese Julie Fuchs nel ruolo di Partenope, che, al suo debutto americano, ha mostrato affinità con il repertorio barocco, fraseggiando con buon gusto ed eleganza, agilità nel canto e un timbro vivace e duttile. Mostrando personalità e eleganza scenica con i suoi movimenti delicati e calibrati, ha anche dato autorevolezza al personaggio di Partenope, suscitando interesse per la sua versione anni '20.
Si è distinto anche il controtenore italiano Carlo Vistoli che, anch’egli al suo debutto su un palcoscenico americano, ha dato rilevanza al personaggio di Arsace, recitando bene e con grazia, esibendo virtuosismo nel suo canto e in ciascuna delle sue arie, con una voce delicata, piena di musicalità ed elasticità in tutto il registro.
Nel caso del controtenore Nicholas Tamagna, nel ruolo di Ormindo, la sua voce sembrava un po' più pesante e aspra nell’emissione, ma riusciva comunque a gestirla con disinvoltura e virtuosismo e il suo disimpegno attoriale era giustamente comico.
Il mezzosoprano Daniela Mack, nel ruolo di Rosmira (e travestita da Eurimene) e il tenore Alek Shrader nel ruolo di Emilio, facevano parte del cast dell'opera nel 2014, impegnati negli stessi ruoli.
Daniela Mack ha cantato correttamente con la sua voce brunita, vellutata e morbida e, nonostante una certa durezza nelle colorature, ha mostrato le sue qualità canore e consapevolezza stilistica.
Da parte sua, Shrader ha cantato con un tono caldo e un colore piacevole, molto attivo e divertente in scena. Il baritono Hadleigh Adams ha interpretato bene vocalmente il malizioso Ormonte, ma in generale ha recitato in modo esagerato.

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Come aveva fatto nell'Orlando dello stesso compositore, nell'esecuzione del 2019, il maestro inglese Christopher Molds ha diretto l'orchestra dal clavicembalo, dando una lettura di questa sontuosa partitura fluida, leggera, piacevole e ben condotta, la cui musica, soprattutto nella parti dei corni e delle trombe, somiglia molto a quella del Messiah. L'orchestra ridotta a trentotto strumentisti con strumenti d'epoca, e con la buca dell'orchestra rialzata un po' più del normale, come si fa di solito qui con questo tipo di opere o con Mozart, ha offerto un'esecuzione brillante della partitura e ha fornito accompagnamento e sostegno appropriati per una rigogliosa resa vocale.

Crediti fotografici: Cory Weaver / San Francisco Opera
Nella miniatura in alto: la protagonista Julie Fuchs (Partenope)
Sotto, in sequenza: belle istantanee di Cory Weaver sul cast alla San Francisco Opera





Pubblicato il 06 Giugno 2024
Il Festival Berlioz di La Côte-Saint-André ha messo in scena un'opera di Berlioz raramente rappresentata
Béatrice et Bénédict secondo Michieletto servizio di Ramón Jacques

20240606_Lione_00_BeatriceEtBenedict_GiuliaScopelliti_phBertrandStoflethLIONE (Francia) - Il compositore Héctor Berlioz (1803-1869) è nato nella città di La Côte-Saint-André nella regione dell'Auvenia-Rodano, a circa 75 chilometri dalla città di Lione, quindi è praticamente da considerarsi un compositore di casa. Si tratta tuttavia di una coincidenza, poiché non esiste uno stretto rapporto tra le opere del compositore e questo teatro dove sono state rappresentate poche delle sue opere, in particolare La Damnation de Faust e Béatrice et Bénédict, che ha debuttato qui nel 1981, ed è stato vista per l'ultima volta nella stagione 1992. La popolarità di Berlioz come compositore è dovuta soprattutto alla sua Symphonie fantastique (1830), alla sua sinfonia corale Roméo et Juliette (1839), al già citato pezzo drammatico La Damnation de Faust (1846) e al suo grand-opera Les Troyens (1863). 
Eppure, la sua fama e il suo contributo al periodo romantico musicale non passano inosservati alle istituzioni musicali francesi, che dal 1979 organizzano il Festival Berlioz, in luoghi e chiese della città natale del compositore, così come nelle città circostanti: e questa produzione di Béatrice et Bénédict a Lione è stata realizzata proprio in coproduzione con il suddetto festival. 
Quest'opéra-comique in due atti, la cui prima fu diretta dallo stesso Berlioz il 9 agosto 1862 al Neus Theatre di Baden (Germania), e che fu ascoltata per la prima volta in Francia nel 1890 - quasi trent'anni dopo la sua prima esecuzione assoluta e ventuno anni dopo la morte del compositore - è basata sulla commedia romantica scritta da William Shakespeare, Much to do about nothing (Molto rumore per nulla come è nota in Italia), è proprio in quell'aspetto romantico, carico di commedia e burlesque, che ha ispirato il noto regista italiano Damiano Michieletto per creare questa produzione.  Non si può negare che, attualmente, gran parte delle decisioni di programmazione dei teatri ruotano attorno alla presenza di alcuni registi, che hanno assunto un ruolo talvolta eccessivo. 
Michieletto, noto per le sue audaci letture di brani generalmente dimenticati e abbandonati, ha situato l'azione - incentrata su due visioni opposte dell'amore tra due coppie: la sicurezza del matrimonio tra Claudio e Héro e la paura del fidanzamento di Béatrice con Bénédict - senza riferimenti alla Sicilia del XVI secolo come indicato nella pièce. Michieletto la colloca in un cubo bianco in scena, disegnato da Paolo Fantin, in epoca indeterminata, con costumi di varie epoche, di Agostino Cavalca, e luci brillanti nei toni del bianco e nero di Alessandro Carletti.
Sul cubo, che ricopriva tutto il palco, c'erano tanti microfoni, che i membri del coro utilizzavano mentre coreografavano e cantavano; e con la presenza di Somarone, personaggio inventato da Berlioz, che qui rappresentava una sorta di tecnico responsabile di un apparente studio di registrazione musicale, che si presentava con le sue cuffie e il suo registratore e indicava ai coristi come posizionarsi e cantare nei loro microfoni. 

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Quando i personaggi principali apparivano sul palco, dovevano anche eseguire i loro dialoghi attraverso dei microfoni posti nello spazio tra il cubo bianco e la buca. In certi momenti, il cubo si apriva a metà e il palcoscenico diventava una giungla esotica e fitta dove vagavano i personaggi nudi di Adamo ed Eva, e persino un gorilla.  Visivamente, l'ambientazione sembrava attraente e affascinante, mostrando due realtà diverse, ma man mano che lo spettacolo andava avanti divenne distaccato e distanziato dalla trama, rendendo difficile stabilire una relazione, un significato o una coerenza tra il montaggio e l'azione, forse una rappresentazione e contrasto tra l'amore più puro - con il bianco - e quello più selvaggio e misterioso - nella giungla -, qui rappresentato con idee più vicine al Regietheater, che allo spirito shakespeariano o a quello dello stesso Berlioz. 
Nella parte orchestrale e vocale, l'opera ha pienamente adempiuto alla sua missione di soddisfare il pubblico con la sontuosa orchestrazione, il canto e le parti corali. Memorabile, ad esempio, è stato il sublime duetto “Nuit paisible” tra il soprano Giulia Scopelliti (Héro) e il mezzosoprano Thandiswa Mpongwana (Ursule).  In particolare, il soprano italo-tedesco Giulia Scopelliti ha dimostrato portamento, personalità ed eleganza sul palco, con il tocco di astuzia che il personaggio richiede, sommato alla chiarezza e all'ampiezza dei colori con cui scolpisce il suo canto, fino a commuovere con la sua aria "Je vais le voir”, facendo risaltare il suo personaggio in ogni suo intervento.
Da parte sua, il mezzosoprano sudafricano Thandiswa Mpongwana a esibito una tonalità oscura e profonda appropriata alla sua parte. 
Si sono comportati bene vocalmente e recitando, in ciascuno dei loro personaggi il baritono Pawel Trojak nel ruolo di Claudio; il basso-baritono Pete Thanapat nel ruolo di Don Pedro; Il baritono belga Ivan Thirion nel ruolo di un Somarone divertente e molto attivo; così come l'attore Gérald Robert-Tissot nel ruolo parlante di Léonato.
Infine, impersonando i ruoli principali dell'opera, il tenore gallese Robert Lewis, in abiti militari, ha cantato la sua parte di Bénédict con passione e dedizione, un tono lirico chiaro e caldo, nonostante alcune difficoltà nell'emissione di alcune note acute. Da parte sua, il mezzosoprano italiano Cecilia Molinari ha mostrato le sue qualità vocali e la sua vasta esperienza, rendendola una cantante ideale per il personaggio di Béatrice. Ha impregnato il suo canto di sfumature e tonalità piacevoli, dimostrandosi un'amante capricciosa e loquace come richiedeva l'ambiente. 
Eccezionale è stato il coro molto professionale dell'Opéra de Lyon, guidato dai suoi direttori Benedict Kearns e Guillaume Rault, mettendo in risalto in particolare il coro allegro e la "sicilianne" con cui inizia l'opera.

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A capo dell'orchestra dell'Orchestre de l'Opéra de Lyon c'era il maestro Johannes Debus, direttore musicale della Canadian Opera Company di Toronto, dai cui musicisti riuscì a estrarre la sontuosità, i contrasti e la squisitezza della partitura di Berlioz, essendo attento all'equilibrio tra i cantanti e l'orchestra, e la ricerca dei timbri e dei colori che emergono da questo lavoro.
(La recensione si riferisce allo spettacolo di mercoledì 22 Maggio 2024)

Crediti fotografici: Bertrand Stofleth per il Festival Berlioz di La Côte-Saint-André
Nella miniatura in alto: il soprano Giulia Scopelliti (Héro)
Al centro e sotto: belle istantanee di Bertrand Stofleth sulla messinscena ideata da Michieletto





Pubblicato il 28 Aprile 2024
Personaggio un tantino provocatorio voluto dalla regista Shawna Lacey ma lo recita ha avuto successo
La Traviata osé servizio di Ramón Jacques

20240428_LosAngeles_00_LaTraviata_RachelWillisSorensen_phCoryWeaverLOS ANGELES - Dorothy Chandler Pavilion (California USA). La terza opera della cosiddetta 'trilogia popolare' di Giuseppe Verdi (1813-1901) è La Traviata, la cui première avvenne il 6 marzo 1853 alla Fenice di Venezia, e che è senza dubbio considerata oggi il suo titolo più popolare, tra le altre cose, per la sua ricchezza melodica, inventiva e vocalità espressiva, che sono così strettamente legate alla commovente e tragica storia d’amore. Certamente questa popolarità si è manifestata evidente dal recente allestimento realizzato dall'Opera di Los Angeles (LA Opera), che mi ha fatto ricordare che nel periodo post-pandemia questo è stato lo spettacolo a cui hanno preso parte il maggior numero di spettatori, con tutti i posti esauriti nell'enorme teatro Dorothy Chandler Pavilion.
Potrebbe essere una conseguenza della decisione del pubblico di tornare a teatro per assistere agli spettacoli dal vivo o sarà stata l'occasione dovuta alla presentazione di questo titolo, assente su questo palco dalla stagione 2019? La verità è che opere che consideriamo come classici non lasciano mai scontento nessuno, e forse è una formula per recuperare pubblico in tante sale, che a livello internazionale soffrono ancora le conseguenze di un periodo di instabilità e di scarse presenze.
Per ora, dopo La Traviata di Verdi, l'Opera di Los Angeles proporrà come ultima opera della sua stagione, la Turandot di Giacomo Puccini, un'altra opera popolare e molto apprezzata, assente a livello locale da più di vent'anni.
Per questa Traviata è stata utilizzata la produzione dell'Opera di San Francisco, che aveva debuttato alla fine del 2022. Le scenografie, con costumi eleganti e variopinti di Robert Innes Hopkins, e le luci di Michael Clark, con la regia di Shawna Lacey, sono rispettosi di ciò che la storia racconta e sono inerenti al libretto.
L'ampio palcoscenico si apprezza per il movimento libero e fluido del coro e dei solisti, con l'azione posta all'interno di un opulento salone nel primo atto, in un immenso giardino, e ancora in un'altra enorme sala dalle pareti luminose e variopinte e mobilia rossa per la festa di Flora, e ancora nella stanza iniziale ora trasformata per l’ultimo atto nell'austero letto di morte di Violetta. Quando fu realizzata per la prima volta questa produzione fu dichiarata l'intenzione del teatro di San Francisco di tornare alle sue origini e avere una produzione che potesse essere ripresa e utilizzata in varie stagioni future. Da questo punto di vista la parte scenica era funzionale. Tuttavia, le dimensioni dell’allestimento fanno sì che ci siano due lunghi intervalli, facendo durare lo spettacolo fino a tre ore e mezza, come è successo qui. Inoltre, la Lacey ha voluto lasciare il segno, evidenziando l'erotismo e la sensualità della storia, con un rapporto più intimo e stretto tra i due protagonisti principali, dettaglio raramente visto in altre produzioni dove c'è una certa distanza tra di loro; e nel primo e nel terzo atto ha messo in scena la depravazione e la perversione vissute nella società e nell’ambiente mondano parigino, con eccessi, travestitismo, sadomasochismo, ecc. Che senza entrare in termini moralistici, sembrano non contribuire per nulla alla trama.

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La parte vocale è stata ben eseguita dai cantanti scelti per l'occasione, come il soprano Rachel Willis-Sørensen, che qui ha lasciato una piacevole impressione lo scorso anno nei panni di Desdemona nell'Otello verdiano, e che è tornata a impersonare in maniera convincente la cortigiana Violetta Valery. Sul palco appariva avvolta in una pelliccia, vivendo e recitando la sua parte con intensità, grazia e compostezza. Vocalmente, ha mostrato una tavolozza di colori raffinata e piacevole che sa focalizzare a seconda dell'umore o delle situazioni di tensione e ansia che sta attraversando il personaggio, oltre ad essere cadenzata e agile. Sebbene la proiezione e la densità della sua voce fossero punti che gli giocavano a sfavore, e nel primo atto, ha mostrato insicurezza e cautela nell'emissione degli acuti, durante e soprattutto alla fine di 'Sempre Libera', la sua interpretazione nel terzo atto è stata drammaticamente e vocalmente soddisfacente.
Anche il tenore armeno Liparit Avetisyan nei panni di Alfredo Germont ha avuto una performance contrastante. Ha indubbie qualità per quanto riguarda la voce e la timbrica, ma a volte ha mostrato difficoltà con il fiato, il che rendeva difficile far sentire la sua voce attraverso il volume orchestrale. La sua prestazione vocale è andata in crescendo d'intensità e ha finito per trovare un tono robusto, colorito e virile. Scenicamente ha esagerato nei momenti di rabbia e furore che vive il suo personaggio, come alla fine del secondo atto e durante il terzo, ma in generale è un artista che sa attuare la sua parte e sarà interessante poterlo ascoltare anche in altre occasioni.
Da parte sua, il baritono coreano Kihun Yoon (Giorgio Germont) ha mostrato un colore baritonale brillante, forte, potente, ma anche capace di meravigliare con i pianissimi quasi impercettibili della sua aria 'Pura siccome un angelo' e nel duetto con Violetta del seconda atto. Purtroppo, a causa del suo evidente aspetto giovanile, né l'abbigliamento né il trucco, oltre alla sua rigidità in palco, lo aiutavano a sembrare un credibile papà Germont anziano.
Corretti erano gli altri personaggi che interpretavano i ruoli minori come il mezzosoprano Sarah Saturnino, elegante e seducente Flora, il basso baritono Patrick Blackwell nel ruolo del Barone Duphol, il tenore Julius Ahn nel ruolo di Gastone, il basso Alan Williams nel ruolo del Dr. Grenvil, il baritono Ryan Wolfe nel ruolo del Marchese di Obigny e il mezzosoprano canadese Deepa Johnny nel breve ruolo di Annina; la maggior parte di essi fa parte della scuola dei giovani artisti di questo teatro.
Non si può non citare l'esibizione del Coro del teatro diretto da Jeremy Frank, e quella dell'orchestra che ha donato momenti di intensità, emozione e vigore sotto la lettura sicura e appassionata del suo direttore titolare James Conlon, che dal Preludio è sembrato cesellare lentamente la sontuosa partitura fino a commuovere il pubblico e regalare un posto di rilievo ai musicisti dell'orchestra.
Verdetto di gradimento e approvazione da parte del pubblico presente che ha applaudito intensamente, celebrando ogni uscita degli artisti dopo aver goduto della loro performance.
Si dice che il cliente abbia sempre ragione. A teatro, e soprattutto oggi, ad avere ragione alla fine è stato il pubblico.
(La recensione si riferisce alla recita di mercoledì 24 aprile 2024)

Crediti fotografici: Cory Weaver per il Dorothy Chandler Pavilion di Los Angeles
Nella miniatura in alto: il soprano Rachel Willis-Sørensen (Violetta Valery)
Al centro: la celebre scena del "brindisi"
Sotto in sequenza; ancora Rachel Willis-Sørensen; Kihun Yoon (Giorgio Germont) con la Willis-Sørensen; Kihun Yoon con Liparit Avetisyan (Alfredo Germont); Rachel Willis-Sørensen con Liparit Avetisyan






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