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Una breve intervista a Davide Burani e José Antonio Domené in occasione dell'uscita del loro CD |
Aires de Espaņa per due |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 01 Novembre 2019 |
Nel novero degli strumenti musicali, l’Arpa è senza dubbio uno dei più sensuali ed ammalianti, in virtù di un suono che avvolge l’animo e carezza l’orecchio con una delicatezza quasi paradisiaca. Non solo la sua letteratura musicale regala pagine di indubbio interesse, ma, quando si decide di raddoppiarne la presenza, l’emozione cresce esponenzialmente. Ascoltando il CD Aires de España, non si può non percepire quel senso di piacere che diventa brivido nel momento in cui gli arpisti Davide Burani e José Antonio Domené scelgono di addentrarsi in un repertorio tanto inusuale quando affascinante. Dal classicismo alle sonorità del periodo pre-impressionista, passando per il nazionalismo spagnolo, il filo conduttore del disco può essere riassunto nel trittico “amore, venerazione e rispetto”, sia per la musica, sia per lo strumento. Da ciascuna nota scaturisce una fusione di suono talmente cristallina e nitida da farla apparire come un unicum etereo, in cui le armonie diventano un viaggio fantastico e trasognante, arricchito di accenti particolari e di elegiache sfumature. Il periodo classico si concretizza nel celebre Fandango, tratto dal Quintetto n. 4 in re maggiore G448 di Luigi Boccherini (1743-1805), nella trascrizione dell’arpista Elisabeth Collard, nel Concerto num. 3 in Sol Maggiore per due organi di Antonio Soler (1729-1783), con i suoi due movimenti, Andante e Minué e nel Concerto num. 2 per due organi di Pedro José Blanco y Castro (17..-1811), nella trascrizione di Macario Santiago Kastner per duo di arpe. Addentrandoci nella seconda metà del XIX secolo, ecco Isaac Albéniz (1860-1909) e Enrique Granados (1867-1916), massimi esponenti del nazionalismo spagnolo. Granada di Albéniz è il primo dei numeri della Suite spagnola op. 47 per pianoforte, mentre di Granados si raccolgono, sempre nella trascrizione della Collard, cinque dei suoi Otto Valzer Poetici op. 10. Ai valzer segue l’Intermezzo dell’opera Goyescas, scritto riutilizzando la musica dell’omonima suite per pianoforte composta nel 1911. Albéniz e Granados aprono inoltre la via a un’altra figura centrale del nazionalismo musicale spagnolo, ossia Joaquín Turina (1882-1949), il cui Tema e Variazioni Op. 100 vede anche al pianoforte José Antonio Domené. Il secondo compositore non spagnolo di questo CD, dopo Boccherini, è il gallese John Thomas (1826-1913), qui rappresentato dal Duo per due arpe su temi della Carmen di Bizet. Chiude questo fantastico viaggio musicale la Danza Num. 1 tratta da La vida breve di Manuel de Falla (1876-1946), trascritta per duo di arpe da Patty Masri-Fletcher. La passione e la ricerca sono elementi necessari per poter confezionare un sì particolare e ricercato intreccio di melodie. Difatti, salvo rari casi, la composizione arpistica è stata una prerogativa degli stessi interpreti e non esiste un ampio catalogo di opere originali per una coppia di arpe. L’unica via è quindi quella delle trascrizioni e la musica iberica è un pozzo senza fine cui attingere, sebbene il suo simbolo sia sempre stato la chitarra.
Non a caso, nel libretto del CD, Pablo Gonzalez riporta come Joaquín Rodrigo (che trascrisse il suo celebre Concerto d'Aranjuez per il pianoforte e, più tardi, per l’arpa, su richiesta di Nicanor Zabaleta) spiegasse che tutti i compositori spagnoli sognarono sempre di comporre con uno “strumento fantasmagorico dotato di anima di chitarra, coda di pianoforte e ali d'arpa.” La realizzazione di tale sogno è la chiave di Aires de España, ma, per poter interpretare ancor meglio la dimensione onirica e musicale creata da Davide e José Antonio, ho voluto che fossero loro stessi a raccontarci qualcosa in più, consentendoci di assaporare più consapevolmente le armonie delle corde colorate e del doppio movimento dei pedali. Conversando sull’arpa e non solo con Davide Burani e José Antonio Domené, ecco una rapida intervista:
Come nasce l’idea di questo disco? Il repertorio spagnolo affascina da sempre chi suona il nostro strumento, a cominciare dal grandissimo apporto datogli dal più celebre arpista di tutti i tempi: Nicanor Zabaleta (originario di San Sebastian, nei Paesi Baschi), che ha diffuso l’arpa come strumento solista in tutto il mondo. Ci siamo avvicinati alla musica che lo stesso Zabaleta suonava nei suoi recital, cercando le sue trascrizioni per due arpe. Da qui l’idea di costruire un vero progetto musicale, da cui poi è scaturito il nostro disco.
Aires de España abbraccia un repertorio che va dalla metà del Settecento alla metà del Novecento. Con quale criterio interpretativo avete affrontato un periodo musicale di duecento anni? Abbiamo affrontato il repertorio classico con maggior rigore, cercando di essere il più fedeli possibile al manoscritto, leggendo e interpretando secondo lo stile del tempo gli ornamenti, i fraseggi e le ripetizioni. Avvicinandoci ai tempi più recenti e al Novecento, ci siamo lasciati andare ad un gusto più romantico e più vicino alla nostra sensibilità.
Il repertorio per arpa si può considerare più limitato o più sconosciuto? La trascrizione diventa quindi una via obbligata oppure la strada maestra per far conoscere sempre più questo strumento? Se parliamo del repertorio per sola arpa, possiamo di sicuro affermare che esiste una gamma vastissima di composizioni. Alcune, ancora sconosciute e manoscritte, giacciono nelle biblioteche dei Conservatori, mentre altre hanno rivisto luce grazie alle ricerche di tantissimi colleghi, che si sono adoperati per farne riscoprire la bellezza e l’originalità. Per il duo di arpe, in questo caso, ci siamo affidati a specifiche trascrizioni per il repertorio che abbiamo scelto.
L’arpa è uno strumento sempre affascinante: ma come si è evoluta l’organologia dello strumento? Pur essendo uno strumento antichissimo, la sua evoluzione ci consente di suonarlo oggi in forma moderna, grazie all’intuizione di Sebastian Erard, che nel 1811 dotò l’arpa di sette pedali per permetterle di affrontare tutte le tonalità e di quarantasette corde per raggiungere le quasi sette ottave del pianoforte. Tale è lo strumento che ancora oggi utilizziamo e che ci consente, complice la perfezione tecnica raggiunta dalle liuteria di ultima generazione, di suonare agevolmente in tutte le tonalità, compiendo virtuosismi non solo con le mani, ma anche, silenziosamente, coi piedi.
Cosa vuol dire essere arpisti oggi? Vuol dire avere il coraggio di affrontare, far conoscere, divulgare e studiare l’arpa, il suo repertorio e la sua duttilità, senza mai banalizzarla o ridurla a mero strumento d’accompagnamento orchestrale.
I giovani stanno riscoprendo l’arpa: come insegnanti, cosa cercate di trasmettere, oltre alla tecnica, alle nuove generazioni? Lo studio dell’arpa, soprattutto per i primi anni, non è semplice. Al di là dell’approccio introduttivo (tutti i ragazzi restano affascinati dall’arpa, soprattutto i più piccoli), è necessario far passare il messaggio che la tecnica di base (che deve essere solida e sicura) si apprende proprio nella fase iniziale dello studio, perché consente al giovane di affrontare agevolmente qualsiasi repertorio, anche il più difficile e arduo. È quindi necessario non sottovalutare l’aspetto didattico relativo ai primi anni di insegnamento, che deve essere affidato a docenti esperti.
Arpa e voce: uno connubio che parte dal repertorio barocco, ma che guarda anche al periodo classico e romantico. Come si sposano i due mezzi? Si tratta di un rapporto complicato o idilliaco? Abbiamo entrambi avuto la possibilità e l’onore di accompagnare importanti voci sia all’interno del repertorio operistico (dove l’arpa solista si trova molte volte a sottolineare diversi passaggi vocali), sia nel repertorio cameristico. L’arpa dà sempre alla voce un’aura di regalità e di dolcezza, oltre a creare un’atmosfera infinitamente sognante grazie alla quantità di suoni armonici che le sue corde sprigionano. Il repertorio originale, soprattutto nel Novecento, celebra queste caratteristiche. Alcuni critici parlano di esaltazione delle corde vocali da parte delle corde dell’arpa: siamo d’accordo con tale visione, che abbiamo sperimentato di persona in tutte le nostre esibizioni.
Le vostre prossime avventure in duo? Dalla fine di novembre saremo protagonisti di tanti e importanti concerti. Il 27 novembre suoneremo presso il Teatro della Fondazione San Carlo di Modena, in occasione del Modena Organ Festival. Il 28 novembre andremo a Cuneo per un concerto presso la Fondazione CRT, organizzato dal Museo dell’Arpa Victor Salvi di Piasco. Il 29 novembre ci sposteremo a Nizza, dove ci esibiremo a Villa Ephrussi de Rothschild a Saint-Jean-Cap-Ferrat. Doppio appuntamento sabato 30 novembre: nel pomeriggio saremo in diretta su Radio Tre nella trasmissione Piazza Verdi (dove presenteremo dal vivo il nostro disco), mentre la sera suoneremo a Vicenza insieme all’organista Stefano Pellini. Infine il 1° dicembre ci vedrà ospiti nella Sala della Provincia di Massa-Carrara.
Augurando grande successo ai due artisti, che spero di poter ascoltare dal vivo il prima possibile, invito a godere di questo CD (di cui sottolineo il pregio dell’edizione, anche a livello di grafica) per trascorrere un’ora di pura passione, amore e un pizzico di dramma, che non guasta mai.
Crediti fotografici: fotografie fornite dagli artisti Nella miniatura in alto: la copertina del CD Aires de España Sotto in sequenza: Davide Burani (a sinistra) e José Antonio Domené
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