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La regia di Davide Livermore è una poetica riflessione sul confine fra realtà e finzione

Demetrio Polibio e il genio nascente

recensione di Roberta Pedrotti

Pubblicato il 30 Dicembre 2012

121228_Dvd_00_Demetrio e PolibioGioachino Rossini  Demetrio e Polibio
Moreno, Zaytseva, Shi, Palazzi
direttore Corrado Rovaris, regia di Davide Livermore
Pesaro, teatro Rossini, Rossini Opera Festival, 2010 - DVD Arthaus 101 647, 2012
L'adolescente Gioachino Rossini entra in contatto con i Mombelli, famiglia d'artisti che costituiva una vera e propria compagnia teatrale: il tenore Domenico, il padre, aveva sposato in prime nozze Luisa Laschi, creatrice della Contessa nelle Nozze mozartiane, e quindi Vincenzina Viganò, sorella del celeberrimo coreografo Salvatore, danzatrice a sua volta e letterata, da cui ebbe Maria Ester, soprano, e Marianna, contralto, entrambe destinate a una bella carriera (e la prima sarà destinataria che della cantata la morte di Didone e del ruolo di Madama Cortese nel primo Viaggio a Reims); l'amico e factotum di casa Ludovico Olivieri. Domenico intuisce le potenzialità del giovane pesarese e gli commissiona un'opera per la compagnia che andrà in scena solo nel 1812, lasciando di fatto la cronologia e i dettagli della composizione nell'incertezza, senza che di fatto si sappia ancora con precisione – nonostante l'ottimo lavoro critico di Daniele Carnini sulle fonti a disposizione – quando l'opera sia stata effettivamente scritta, se i numeri siano stati o meno concepiti autonomamente in tempi diversi, dove sia eventualmente intervenuto il committente tenore e compositore sul lavoro del giovane genio ancora inesperto. La grazia della partitura e i numerosi spunti e temi presenti che troveranno presto sviluppo in opere come Il signor Bruschino, L'equivoco stravagante o lo stesso Tancredi s'iscrive ancora in un disegno esile, se non fragile, è inutile negarlo. La stessa drammaturgia non aiuta, con un libretto nel quale Vincenzina si rifà al modello metastasiano con un pretesto poco convincente e avvincente (il giovane principe Demetrio sotto il nome di Siveno viene cresciuto con affetto paterno dal re Polibio e sta per sposarne la figlia Lisinga, quando il vero padre, Demetrio anch'esso sotto il nome di Eumene, giunge per riprenderlo con sé: una serie d'equivoci, scontri e rapimenti porterà all'ovvia risoluzione con nozze e riappacificazioni). Un'opera evanescente, che sorge da un tempo passato, da un mondo perduto di piccole compagnie, cliché neoclassici, consuetudini e convenienze teatrali. Per riportarle in scena nulla di più appropriato che evocarne lo spirito, nel vero senso della parola: quando dopo uno spettacolo il teatro chiude e le luci si spengono, riemergono i fantasmi a reiterarne eternamente l'incanto della scena. Nell'intervista contenuta nel bonus (di cui si consiglia vivamente la visione anche prima dell'opera completa) il regista Davide Livermore parla della magia che si respira all'ultimo spegnersi delle luci dopo uno spettacolo; chi, come me, ha avuto il privilegio di trascorrere delle notti intere in un teatro deserto o quali può ben immaginare di cosa si tratti, quali storie e quali memorie sembrano materializzarsi, seppur incorporee. Allo stesso modo durante la sinfonia assistiamo dal retropalco alla fine di un concerto, alle operazioni tecniche di chiusura e all'apparizione degli spettri di Domenico/Demetrio/Eumene, di Ester/Lisinga, di Anna/Demetrio/Siveno e di Ludovico/Polibio. Come fantasmi dell'opera la magia e l'illusione la loro dimensione: appaiono e scompaiono da un punto all'altro della scena, si moltiplicano, si materializzano negli specchi, si riconoscono fra padri e figli per i colori dai fuochi fatui che danzano loro fra le mani, possono attraversarsi a vicenda il petto con una mano. Non visti dai custodi e dai vigili del fuoco in servizio notturno si  aggirano nei magazzini, in sartoria, in tutti gli ambienti del teatro, scatenano perfino un incendio, presto domato dai viventi in servizio. Il mondo incantato ed eterno del piccolo teatro metastasiano di due secoli fa si rinnova ogni notte e si dissolve al mattino, quando cede il passo alla prova di un balletto in carne e ossa. Quella di Livermore e dei suoi collaboratori è una sorta di poetica riflessione sul confine impalpabile fra realtà e finzione, fra passato e presente fra palcoscenico, magazzini, laboratori, camerini, sale prove, passaggi, graticcia, sottopalco. È anche un gioco leggiadro sullo stupore e sul meraviglioso che è alla base di ogni rappresentazione, un gioco sospeso nel tempo che si avvale anche delle fresche forze dei bravissimi allievi dell'Accademia delle Belle Arti di Urbino, che hanno realizzato scene e costumi. Anche il cast è in gran parte giovane ed è notevole soprattutto nella componente maschile. Il cinese Yijie Shi, dopo aver cantato nel Viaggio a Reims dell'Accademia Rossiniana e poi nel Comte Ory sempre al ROF, si affermava proprio con questa produzione come una delle più interessanti realtà dell'ultima generazione tenorile: tecnica saldissima che gli permette di dominare la tessitura centrale – a lui più congeniale – di Demetrio/Eumene come quelle acutissime di altri ruoli contraltini del suo repertorio, timbro brunito e personale, incisività d'interprete e fruttuoso impegno nella recitazione ne fanno un artista interessantissimo, perfetto nel rendere qui l'antica coloratura eroica d'un tenore padre e re. E parimenti eccellente il Polibio di Mirco Palazzi, artista elegantissimo, vocalità morbida e sicura, altro punto di forza della produzione. Victoria Zaytseva, fresca fresca d'Accademia Rossiniana, risolve onestamente la parte di Demetrio/Eumene, con debita partecipazione e sicura preparazione stilistica; Lisinga è affidata alla più esperta Maria José Moreno, che ne  risolve il virtuosismo eroico e acutissimo non senza qualche tensione e durezza, ma risultando comunque più che accettabile.
Dalla partitura, l'abbiamo detto, non si potranno ricavare le meraviglie di altri lavori più maturi, ma Corrado Rovaris è un ottimo direttore per questo repertorio e sa renderne con leggerezza lo spirito e le preziosità, senza lasciarsi prendere dall'ansia di mostrare le anticipazioni di ciò che sarà, ma giostrando con equilibrio fra consuetudini neoclassiche e bagliori del genio nascente.
La prima edizione in Dvd non è la prima registrazione in assoluto di Demetrio e Polibio: sono disponibili tre diverse edizioni tutte dal vivo ma tutte finora solo in audio e per quanto gli interpreti fossero anche prestigiosi (ricordando in ordine sparso Ganassi, Mingardo, Spagnoli, Surjan, Gonzales, Bertolo, Nocentini, Weidinger), il complesso di questa produzione, in edizione critica, rappresenta un valore aggiunto non trascurabile per chiunque voglia approcciare la prima opera teatrale del Pesarese, cogliendone una lettura dolcemente fiabesca, una fantasmagoria che sembra sorridere affettuosamente al sogno di un melodramma che tramontava all'alba della grande stagione rossiniana – tutti i lettori di Stendhal ricorderanno l'amore emblematico del francese per il quartetto del secondo atto “Donami omai Siveno”.
Ottima resa tecnica e regia sempre pregevole di Tiziano Mancini, sottotitoli in italiano, inglese, tedesco, francese, spagnolo e coreano, testi (sempre puntuali di Reto Müller) solo in inglese francese e tedesco. Sempre piacevolissimo il bonus ricco di interviste, da guardare subito.






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