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Ottima produzione della romanticissima opera di Vincenzo Bellini nel Teatro Carlo Felice |
Beatrice di Tenda da visibilio |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 25 Marzo 2024 |
GENOVA – Procede con scelte azzeccate e particolarmente ricercate la stagione operistica del Teatro Carlo Felice di Genova con un altro capolavoro belliniano, Beatrice di Tenda. Sono già due stagioni che le opere del catanese compaiono nel cartellone del teatro genovese: nel 2021 Bianca e Fernando – secondo l’edizione riservata proprio al teatro ligure - e nel 2023 Norma – nelle due versioni con la protagonista soprano e mezzosoprano -. Il libretto del genovese Felice Romani porta in scena fatti realmente accaduti e personaggi realmente esistiti qui brevemente riassunti: il 16 maggio 1412, in seguito ad una congiura, fu assassinato a Milano il Duca Giovanni Maria Visconti, signore della città. Simultaneamente moriva un famoso capitano di ventura, Facino Cane, la cui vedova Beatrice di Tenda si trovò così a disporre delle agguerrite bande di mercenari che avevano fino allora militato sotto le insegne del marito. Con l'aiuto di Beatrice, da lui immediatamente sposata, Filippo Maria Visconti, fratello di Giovanni Maria, poté in un mese sconfiggere i congiurati e riconquistare il ducato di Milano. Sei anni dopo, Filippo Maria, invaghitosi di Agnese del Maino, volle disfarsi della moglie Beatrice. L'accusò di averlo tradito con un paggio, Michele Orombello, sottopose entrambi a tortura e li fece decapitare nel castello di Binasco, a metà strada fra Milano e Pavia, nella notte fra il 13 e il 14 settembre del 1418. Questa non è soltanto la vicenda narrata da Felice Romani nel libretto musicato da Bellini, ma la vera storia di Beatrice de' Lascari, più nota come Beatrice di Tenda. Felice Romani però si discosta dalla verità storica soltanto in due occasioni: non dice che Beatrice aveva ventidue anni più di Filippo Maria e che s'era mostrata incapace di dargli un erede. Sostiene inoltre che Beatrice negò sempre di aver avuto illeciti rapporti con Michele Orombello. Viceversa Beatrice, durante la tortura, non resse alle sofferenze e ammise tutto ciò di cui la si accusava.
   

Una volta condannata, però, ritrattò, prima con il confessore, poi pubblicamente ciò che aveva ammesso e anche avviandosi al patibolo proclamò solennemente la propria innocenza. Va aggiunto che questa truce vicenda scosse tutta l'Italia e colpì l'immaginazione popolare e non mancarono nemmeno accese diatribe tra "innocentisti" e "colpevolisti". Il librettista, tacendo certe circostante, volle sublimare la figura di Beatrice e rendere più dolorosa la sua storia e più orrendo il crimine di Filippo Maria Visconti, uomo notoriamente spregiudicato, infido e crudele. La scelta d'un soggetto ambientato nel medioevo consentiva di portare in scena gli intrighi, i tradimenti, i delitti che si attribuivano a certi personaggi di quell'età ferrigna e di creare un clima fosco e misterioso per suscitare nel pubblico il brivido dell'orrore e, simultaneamente, la pietà per le innocenti vittime. Il fatto storico di Beatrice viene oggi portato sul palcoscenico genovese dal regista Italo Nunziata che si avvale della collaborazione dello scenografo Emanuele Sinisi, dei costumi di Alessio Rosati e alle luci Valerio Tiberi. Ed è proprio lo stesso Nunziata che nelle sue note di regia ci dà ulteriori spunti per cogliere più compiutamente questo dramma per musica mettendo in luce le implicazioni narrative e psicologiche che definiscono i personaggi: «… Tutto è già successo, tutto è avvenuto prima. All’aprirsi del sipario di Beatrice di Tenda, ci troviamo di fronte immediatamente ad un presente del quale avvertiamo la tragicità, in una atmosfera cupa e pesante di ambientazione “gotica”. La sensazione di uno spazio chiuso, dove però sentimenti e passioni possono dominare incontrastati fino quasi ad annullare ogni altra forma di volontà, guidati ad un destino ineluttabile… In accordo con lo scenografo Emanuele Sinisi, abbiamo coinvolto nel progetto scenografico, per la prima e l’ultima immagine dello spettacolo, l’artista fotografo finlandese Ola Kolehmainen, che si occupa di spazio, luce e colore attorno all’architettura storica. Insieme a questo, l’utilizzo di dagherrotipi o vecchie foto consunte dal tempo e dal ricordo. Immagini inserite all’interno di una sorta di spazio/agone dove i protagonisti sono quasi costretti ad affrontarsi all’interno del loro dramma, circondati da alcune pareti di specchio che stanno perdendo la loro argentatura di fondo come mangiati dal tempo e dall’incuria, da fondali/pareti anche essi in decadimento e forati da squarci o da rotture che sembrano ormai insanabili. I cambi di scena avvengono senza soluzione di continuità a sottolineare l’ineluttabilità della vicenda. Così come per le scene, in accordo con il costumista Alessio Rosati, anche per i costumi abbiamo trasportato il racconto agli ultimi anni del diciannovesimo secolo, ultimo ed estenuato baluardo di una vita di corte e di regole e comportamenti precisi con i quale relazionarsi all’interno di quel mondo. Abiti come involucri destinati a “vestire” di apparenza, a rilevare intenzioni, a dimostrare il potere e al tempo stesso la fragilità umana, severi nelle loro leggi ferree e integrati totalmente nel meccanismo sociale.» Le fotografie che corredano questo mio scritto parlano senza dubbio meglio delle mie parole.


Sul versante musicale troviamo il M° Riccardo Minasi alla guida dell’Orchestra del Teatro Carlo Felice in una serata particolarmente ispirata: la sua frequentazione con la musica belliniana è nota e in questo contesto ha travalicato confini oltre l’immaginabile. Presentando l’opera esordisce con queste parole: «… La grande cura per il significato espressivo della musica legato alla parola, elemento cardine dell’estetica delle sue opere, rappresenta ogni volta una nuova sfida nel costante tentativo di porre un’attenzione particolare proprio a questo aspetto, per restituire fedelmente al pubblico le intenzioni della sua musica.» E direi che l’obiettivo è stato perfettamente centrato: colori, emozioni, agogica, tutto si sviluppa intorno ai propositi manifestati dal M° Minasi. Non ha mai fatto cadere la tensione del dramma giocando sui chiaro scuri della partitura con estrema eleganza e certosina dedizione, ha trovato perfetta intesa con il palcoscenico ed il gesto chiaro e netto ha fatto sì che i professori d’orchestra restituissero appieno le sue intenzioni. Il coro, preparato e diretto dal M° Claudio Marino Moretti, ha una funzione molto importante: Bellini infatti se ne serve per delineare un'atmosfera cortigiana di complotti e di adulazioni. La partecipazione dei cori maschili e femminili, ora contro Beatrice, ora in sua difesa, sono frequenti fino alla fine dell'opera. Ma quando la tragedia di Beatrice parrà ineluttabile e s'avvierà a compimento, prevarranno, negli interventi corali, la pietà e il rammarico. Di particolare interesse, nel tratteggio dei volubili umori della corte d'un tiranno, sono il coro degli armigeri che spiano Orombello nella quarta scena del primo atto L'amore o l'ira e quello delle dame e dei gentiluomini che, all'inizio del secondo atto, commentano con accenti dolenti il supplizio inflitto ad Orombello. Sono stati questi due momenti di intensa e rara bellezza vocale. In questo alterno clima di pietà e di sordidi complotti s'affrontano Filippo e Beatrice, i due personaggi principali dell'opera. Filippo Maria Visconti è un regnante protervo, roccioso, ma anche autorevole e la voce del baritono Mattia Olivieri ha saputo infondere alla parola scenica i vari aspetti del suo carattere affrontando con voce sicura, intonazione precisa ed elegante proprietà di fraseggio il non facile compito affidatogli. Il metallo vocale, solido e ben proiettato si è esplicitato in una restituzione del suono morbida e vellutata. Nei panni di Beatrice di Tenda Angela Meade non teme le difficoltà del ruolo affrontandole con determinazione, voce angelica – mai scontata o frivola – ed elegante duttilità; si trova a proprio agio sia nelle agilità che nelle note più impervie, dipanate sempre con estrema sicurezza. Ottima anche l’Agnese del Maino – antagonista di Beatrice – impersonata da Carmela Remigio. La scelta di mettere due soprani appare molto opportuna in quanto siamo di fronte alla “diatriba” tra due donne “alla pari” ed il timbro della Remigio, più robusto e nerboruto rispetto a quello della protagonista, caratterizza ottimamente il carattere del deus ex machina di tutta l’azione scenica evidenziando i momenti di gelosia e invidia da quelli di rimorso e pietà. Francesco Demuro è un Orombello di lusso la cui voce non fatica ad arrampicarsi sulle vette dei sovracuti e sa ben calibrare le note più centrali con piena proiezione ed un fraseggio mirabile. Perfettamente a fuoco l’Anichino di Manuel Pierattelli e il Rizzardo del Maino di Giuliano Petouchoff. Teatro in visibilio con applausi sentiti per tutti. (la recensione si riferisce alla recita di venerdì 22 marzo 2024)

Crediti fotografici: Ufficio stampa del Teatro Carlo Felice di Genova Nella miniatura in alto: il soprano Angela Meade (Beatrice di Tenda) Sotto, in sequenza: Angela Meade; Mattia Olivieri (Filippo Maria Visconti); Carmela Remigio (Agnese del Maino); Francesco Demuro (Orombello); ancora la Meade con Olivieri nella scena dell'accusa Al centro, in sequenza: la Remigio e Olivieri; Meade e Demuro; panoramica su scene e costumi In fondo: i saluti finali di tutto il cast
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