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Due interpreti alternative per il capolavoro verdiano andato in scena nel Teatro di San Carlo |
Aida Lewis surclassata da Aida Nizza |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 26 Luglio 2016 |
NAPOLI - “Aida fu rappresentata la vigilia di Natale del 1871 dinanzi a un pubblico di diplomatici, di ufficiali e di belle donne europee, frammisti ad Arabi, Persiani, Turchi ed Egiziani, con i loro turbanti ingemmati, e all'harem del Kedivé, le cui mogli, modestamente velate, affollavano tre palchi”. È questo un quadro molto caratteristico della descrizione della prima rappresentazione del capolavoro di Giuseppe Verdi. Voglio immaginare la maestosità delle scenografie l’imponenza delle masse che affollavano il palcoscenico; Aida si configura come un’opera di impatto scenico e visivo sul pubblico con le sue maestosità e le sue grandezze, ma al contempo ha degli spazi - e forse sono quelli più numerosi - dove la componente intimistica è prepotentemente protagonista. Mi veniva in mente la definizione di Petrobelli sulle componenti del Teatro musicale che così recita: “tre sono le componenti del teatro musicale, ciascuna delle quali organizzata secondo proprie leggi e principii: l’azione drammatica lungo la quale si svolgono gli eventi; la struttura verbale nella quale s’incarna il dialogo tra i personaggi…..; e finalmente la musica”. L’ho presa un po’ alla larga per cercare una logica in relazione ai tre elementi, rispetto a quanto ho potuto vedere al Teatro di San Carlo di Napoli in occasione della ripresa della produzione di Aida di qualche anno fa. Leggendo le cronache del tempo non mi era sembrato di notare molto entusiasmo in merito a questa messinscena ed ora che anche io ho toccato con mano e visto con i miei occhi, posso affermare come le tre componenti pietrobelliane succitate non abbiano trovato una felice collocazione ed incastro in questa rappresentazione; regia, scenografia, parole e musica non sono riuscite a impostare un comune denominatore tale da rispondere alle esigenze del librettista Ghislanzoni e ancor meno alle aspettative del compositore della musica; ma andiamo con ordine. È doveroso innanzitutto citare gli autori dell’aspetto prettamente visivo; nell’ordine in cui compaiono nel libretto di sala troviamo alla regia Franco Dragone, cui ha fatto seguito per la ripresa Michele Sorrentino Mangini; scene curate da Benito Leonori, costumi, di Giusti Giustino, coreografie di Lienz Chang, luci Vincenzo Raponi ed assistente ai costumi Concetta Nappi.
In primis posso dire di aver notato una “non regia” in quanto tutto il dipanarsi della vicenda non è stato altro che un entrare ed uscire in maniera molto asettica e per nulla comunicativa che ha fatto in certi momenti rimpiangere un’esecuzione in forma di concerto; la recita di poco si è discostata dalla forma del concerto, se non per scarne e insignificanti scenografie e sparuti movimenti scenici e per i costumi che tutto sommato si distinguevano per originalità; non è andata meglio nemmeno sul fronte coreografico che ha visto sopperire la danza dei moretti, alla ballata delle odalische - per altro molto brave - e le danze del trionfo ad una sorta di coreografia che era più incline alle melodie di Il lago dei Cigni, che non alla proclamazione ed al trionfo di un vincitore; anche i momenti intimistici sono stati invasi da figure sempre presenti sul palcoscenico, per le quali non sono riuscito a trovare giustificazione, nonostante una didascalica spiegazione nelle note di regia. In questo ambiente poco suggestivo, a tratti caotico e spesso privo di significato, hanno trovato alloggio parole, canto e musica. Prima di parlare degli interpreti vocali vorrei soffermarmi su un altro aspetto piuttosto deludente per poi innescare su questa base l’apporto vocale dei cantanti.
La direzione e concertazione di Pinchas Steinberg: se volessi trovare un aggettivo per definirla potrei usare tranquillamente la parola “egoistica”; ho notato in entrambe le recite che ho seguito, pochissima attenzione per il palcoscenico e una forte individualità che in molte occasioni ha preso il sopravvento sia per dinamiche che per ritmi, sui cantanti; non sono mancati vistosi e imbarazzanti scollamenti anche con il coro, grazie ad un gesto poco chiaro che privilegiava quasi sempre le componenti in buca e molto poco quelle sul palcoscenico; come già accennato anche i ritmi sono stati sempre piuttosto incalzanti e molto perentori togliendo solennità e brio ai momenti maestosi e conferendo poco pathos ai momenti più intimistici; scollamenti evidenti tra palco e buca si sono perpetrati in entrambe le recite sia in momenti in cui vi erano vistosi cambi di tempo - tra la fine della danza dei moretti e la ripresa del coro femminile nel Gabinetto di Amneris e nel giudizio finale con il coro maschile - sia nel momento in cui i cantanti dovevano esprimere i loro sentimenti a livello individuale e nei numerosi duetti. Ora che ho spiegato le fondamenta dello spettacolo passo all’analisi dell’aspetto vocale distinguendo le due serate e citando per la seconda solamente gli artisti che si sono susseguiti.
Recita del 19 luglio Il soprano Kristin Lewis ha vestito i panni di Aida; mi sono stupito come una veterana di questo ruolo non sia riuscita né scenicamente, né vocalmente ad imprimere alla schiava etiope il carattere che le è proprio; ha mostrato una vocalità molto vacillante specialmente nel registro medio basso, a tratti quasi impercettibile; è come se il personaggio fosse visto dall’esterno con una sorta di impersonalità che ho notato durante tutti gli atti; mi ha colpito in questa impersonalità il fatto che al termine del concertato del primo atto non abbia nemmeno cantato insieme a tutto il coro la frase Ritorna vincitor svuotando di significato anche la successiva aria che è stata risolta con poco pathos quasi alla stregua di un mero solfeggio, in cui sono mancati un morbido fraseggio e quelle belle dinamiche passionali suggerite dallo spartito; non è andata meglio nella zona acuta dove spesso vi è stata una costruzione del suono più che una naturalità dell’emissione, perdurando questo stato di cose anche nell’impegnativo terzo atto e nell’addio alla vita del finale. Il tenore pisano Antonello Palombi nei panni di Radames in virtù della sua importante vocalità ha sofferto in alcuni momenti della concertazione troppo sbrigativa del direttore d’orchestra; l’aria iniziale partita con grande intensità e trasporto si è leggermente affievolita nella ripresa dove l’incalzare della bacchetta ha costretto il cantante ad un’emissione meno morbida di come l'abbiamo sentita in altre occasioni dalla sua voce, così i colori sono risultati piuttosto netti e poco sfumati; la tempra vocale però non è venuta meno nel prosieguo dell’opera; Palombi ha dimostrato grinta e determinazione in tutti in concertati dove la sua voce ben si distingueva; di grande intensità e bravura vocale è stato il duetto finale anche perché è stato il vero protagonista in questo momento così musicalmente elevato, a causa della stentoreità del soprano; in generale, nella performance del tenore, bei colori belle sfumature si sono succedute durante tutta la serata, ma a prezzo di una fatica maggiore del solito nell’affrontate certi passaggi. Altra voce di grande rilievo e peso è stata quella del mezzo soprano georgiano Nino Surguladze nei panni di Amneris; grande presenza scenica e solida vocalità hanno accompagnato la sua interpretazione; buona grana vocale nella zona centrale e in quella più grave, con ottime ascese all’acuto, mai forzate e sempre pregne di quel peso vocale necessario a rendere le caratteristiche emozionali del personaggio; dai momenti languidi a quelli più feroci, ha saputo mutare gli accenti con grande eclettismo portandoci fino allo spasimo sdraiata in terra nel suo Mi sento morir per poi esplodere con solida veemenza nell’acuto finale - nel quale nonostante tutto avrei apprezzato una maggiore ostentazione - Anatema su voi; anche per lei come per tutti non sono mancati momenti un po’ di “sofferenza” e di incomprensione con la bacchetta, per i tempi a volte troppo incalzanti. Giovanni Meoni è stato un bravissimo Amonasro; ha dato forza e possanza al personaggio senza mai risultare sopra le righe, riuscendo a trovare la giusta intensità vocale sia nell’aria iniziale che nel duetto del terzo atto dove è stato assoluto protagonista. Corretto e preciso il Ramfis di Riccardo Zanellato che ricordavo più incisivo e più determinato nel repertorio donizettiano, ma anche qui ha saputo distinguersi per il suo timbro molto gradevole e una perfetta intonazione. Completavano il cast il Re piuttosto poco pregnante di Dario Russo, buono il Messaggero di Antonello Ceron, e piuttosto sopra le righe, seppur corretta a livello di intonazione, la Sacerdotessa di Rossella Locatelli. Buona la prestazione del Coro preparato dal M° Marco Faelli che nonostante gli scollamenti suddetti e l’emersione di qualche corista - nella sezione dei tenori - che ha puntato in modo un po’ veemente certi suoni, nel complesso si è bene districato nelle importati pagine dove il coro è protagonista. Il meraviglioso Teatro di San Carlo quasi al completo ha riversato il suo calore a tutto il cast e al direttore con lunghi e sentiti applausi.
Recita del 21 luglio.Cambio di guardia per il ruolo eponimo che nella seconda serata è stata interpretata dal soprano Amarilli Nizza; in questo caso possiamo dire che la grande frequentazione del ruolo è emersa con notevole prepotenza con il risultato complessivo di infondere il vero carattere e la giusta personalità alla schiva etiope; scenicamente è risultata molto credibile nonostante qualche piccola incertezza dovuta ad una mancanza di prove che è stata un po’ appannaggio di tutti gli interpreti del secondo cast; queste lievi incertezze sceniche si sono ridotte al minimo grazie alla comprovata esperienze e sono state sopperite da un canto convincente dove hanno trovato spesso albergo le giuste sonorità e le sentite intenzioni, che si legano sempre ai vari stati d’animo voluti dal compositore. Stefano La Colla ha vestito i panni di Radames; seppur con una vocalità tutto sommato corretta, è stato poco incisivo e molto titubante scenicamente, soprattutto nel dimostrare la personalità del condottiero; l’ascesa agli acuti era spesso improntata ad un canto piuttosto di spinta, ma è mancato in alcuni momenti quell’accento più veemente richiesto dal ruolo; non male comunque il fraseggio anche se per lui si sono sentiti gli affanni di una concertazione troppo esagitata. Anche Ramfis ha cambiato interprete che è stato affrontato egregiamente dal basso Marco Spotti; grana solida, bel suono rotondo, nobile fraseggio hanno accompagnato la sua interpretazione dimostrando ottima intesa con gli altri personaggi e come per tutti una non impeccabile padronanza delle movenze. Proprio in merito a questo, mi preme mettere in evidenza la bontà e genuinità artistica della citata Amneris che non è mutata nelle due serate, anche per la seconda recita da me seguita era in scena la Nino Surguladze; proprio in questa seconda rappresentazione ho potuto godere lo spettacolo dalla barcaccia e mi sono reso conto con più consapevolezza di molti aspetti, sia nel bene che nel male; ho notato una volta di più e da vicino, nella Surguladze, una grande professionalità nell’essere una valida spalla per le incertezze sceniche degli interpreti che si sono avvicendati; quando è risultato necessario ha saputo fornire quegli sguardi, quelle attenzioni e quell’aiuto necessari a superare il momento di empasse, guadagnandosi sicuramente apprezzamento e stima, in un mondo dove - anche se non sempre - vige il motto mors tua, vita mea. Concludo riportando il calore unanime del pubblico, che anche in questa serata ha riempito quasi all’esaurimento il Teatro partenopeo.
Crediti fotografici: Foto L.Romano e Francesco Squeglia per il Teatro di San Carlo di Napoli Nella miniatura in alto: il soprano Kristin Lewis (Aida) Al centro in sequenza: ancora la Lewis durante il primo atto e con il baritono Giovanni Meoni (Amonasro) Sotto: il tenore Stefano La Colla (Radames) e, a seguire, una panoramica sull'allestimento del Teatro di San Carlo In fondo: l'interprete del secondo cast Amarilli Nizza (Aida)
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TORINO - Il titolo designato per l’inaugurazione del cartellone d’opera 2024 del Teatro Regio di Torino è il Don Pasquale di Gaetano Donizetti. Qui riproposto nel fortunato allestimento della fine degli anni '90 del Novecento, firmato da uno dei maestri della drammaturgia musicale italiana: il regista, scrittore e giornalista Ugo Gregoretti, la cui regia
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Jazz Club Ferrara 45 concerti
redatto da Athos Tromboni FREE
FERRARA - Dal 26 gennaio 2024, prende il via al Torrione San Giovanni la seconda parte della 25.ma stagione di Ferrara in Jazz. Grandi nomi del jazz internazionale e largo spazio ai giovani, per complessivi 45 concerti accompagnati da eventi culturali collaterali, realizzati con il contributo del Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna, Comune
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Bolena e Seymur destino congiunto
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Haroutounian una Butterfly di riferimento
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Un Trovatore cosė cosė
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Barbiere di Siviglia stratosferico
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PARMA - Il Teatro Regio di Parma inaugura il cartellone d’opera del 2024 con il fiore all’occhiello di Gioacchino Rossini: Il Barbiere di Siviglia. Com’è noto ai più, nel 1782 Giovanni Paisiello scrisse un’opera dallo stesso titolo e con lo stesso soggetto, da qui la decisione del maestro di Pesaro di intitolare la sua nuova composizione (almeno in un primo
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