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L'amore ond'ardo... idee e sentimenti, passato presente e futuro del baritono Mario Cassi

Vado dove mi porta la voce

a cura di Angela Bosetto e Simone Tomei

Pubblicato il 29 Agosto 2018

180829_00_Personaggi_Mario Cassi_phFrancescoSquegliaVERONA - Incontriamo… ebbene sì “non son solo, siamo in due”, come direbbe il bohémien Rodolfo agli amici di ventura nel capolavoro pucciniano. Per questo ameno confronto con il baritono aretino Mario Cassi ho voluto accanto a me una cara amica e collega, Angela Bosetto, con la quale ho condiviso serate estive in Arena e pomeriggi invernali al Teatro Filarmonico di Verona.
Sono le ore 18 di un torrido 24 agosto 2018: ci è testimone l’orologio di Piazza Bra che oltre a suggerirci l’ora è diventato anche luogo di ritrovo per la nostra allegra compagnia. Ci siamo tutti - Mario, Angela ed il sottoscritto - e calpestando le roventi pietre del Liston ci dirigiamo verso il cancello 57, dove è atteso il nostro artista per “trucco e parrucco” in quanto alle 20,45 vestirà i panni di Figaro, factotum della città, in Il barbiere di Siviglia, capolavoro buffo di Gioachino Rossini.
La passeggiata inizia, ma quasi subito viene interrotta da alcuni melomani che, riconoscendolo, fermano Mario per una foto di rito e un autografo; imperterriti, proseguiamo il nostro cammino, ma non prima di aver sorseggiato in piedi un buon caffè, nell’ultimo bar che si affaccia sulla piazza.
Nel nostro procedere verso il tempio della musica veronese, iniziamo la piacevole chiacchierata: un racconto della vita professionale di Mario Cassi, accompagnato dai ricordi di esperienze ed emozioni, più che un’intervista tout court, per riuscire a cogliere qualcosa di più del suo animo di artista.
Varchiamo il mitico cancello 57 e l’odore della Musica comincia a farsi sentire, sempre più pregnante; le pietre dell’Arena “sputano” tutto il calore accumulato nel corso della giornata, ma con quel sapore di “eterno” che rende più sopportabile l’afa agostana; dentro tutto inizia a muoversi con frenetica flemma, ma noi rubiamo ancora qualche minuto al protagonista dell’opera per concludere la prima parte della chiacchierata.
Vedrete che alla fine - gli artisti famosi sono così - il tutto si svolgerà in tre riprese, anche per rispettare i sacri tempi del Teatro, che impongono rituali e necessità tecniche ben definite, al fine di regalare al pubblico una serata di grande musica.
“Dammi il braccio, o mia piccina” e, parafrasando ancora La bohème di Giacomo Puccini, invito Angela a recarci presso l’arcovolo numero dodici per ritirare i biglietti, notando con piacere come una brezza rinfrancante stia mitigando la calura opprimente di poco prima. E l’antipasto è servito...

Quando è avvenuto il tuo “felice innesto” con la lirica?
Molto presto. Da piccolo facevamo le vacanze estive girando in auto l’Italia e, durante uno di quei viaggi, sentii per caso in macchina una cassetta di mia madre. Conteneva le registrazioni della Bohème, soprattutto, di Carmen, in forma di suite orchestrale. La musica di Bizet mi fulminò e non appena uscì al cinema il film di Francesco Rosi (Carmen, 1984) lo andai a vedere. L’amore per la lirica è cominciato così, anche se, all’epoca, per me l’opera più che altro era Carmen.

Un amore a prima vista o un percorso ragionato?
Forse è stato più un percorso perché, durante l’ora di musica alla scuola media, la professoressa ci faceva ascoltare i grandi del melodramma e fu lì che iniziò a svilupparsi la passione vera e propria, il che mi fa capire quanto sia importante l’insegnamento musicale nelle scuole. Infatti nel 1987, come premio per l’ottimo ottenuto agli esami di terza media, chiesi di essere portato in Arena per assistere ad Aida. Invece la prima opera che vidi in assoluto fu la diretta televisiva del Nabucco scaligero del 1986, diretto dal maestro Riccardo Muti. L’amore passò così da Carmen ai grandi dell’Ottocento, soprattutto italiano, in particolare Rossini, Bellini, Donizetti e il primo Verdi, che sarebbero divenuti in seguito i miei autori di riferimento. 

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Come è stato quel primo impatto con l’Arena, da spettatore?
Mi aspettavo l’Aida storica, invece mi trovai davanti quella spettacolare e ipermoderna di Piero Zuffi. Al di là dello stupore per l’enormità dello spazio areniano, quando vidi l’allestimento rimasi un po’ deluso perché mi sembrava evocasse cose estranee al contesto. Però alla fine, nonostante l’iniziale diffidenza, ne fui conquistato. Secondo me, il tipo di pubblico che fa “bene all’opera” è quello che viene, sì,a teatro con le proprie idee, ma che accetta comunque di mettersi in gioco e di lasciarsi rapire da ciò che vede. L’emozione si coglie anche se anche se arriva da uno spettacolo con canoni estetici inaspettati.

Musicalmente come ti sei formato?
Da ascoltatore, ho iniziato a girare i teatri, a partire da quello del Maggio Fiorentino dove, dal 1989 in poi, ho visto praticamente tutti gli spettacoli. La prima volta al Maggio mi colpirono in particolare tre capolavori: Pelléas et Mélisande di Debussy, Idomeneo di Mozart e, soprattutto, I puritani di Bellini (con mise en scène di Giorgio de Chirico e una funambolica Luciana Serra) che furono la folgorazione. Così la passione si è trasformata in studio della musica e della vocalità. Ho iniziato con il pianoforte per comprendere meglio gli spartiti, poi (al compimento dei 18 anni) sono passato al canto con la mia maestra di Arezzo, Slavska Taskova Paoletti.

Il tuo ricordo personale del maestro Alberto Zedda?
Bellissimo, quasi un sogno. Quando arrivai al ROF nel 2011 per Il barbiere di Siviglia, ero guidato dal grande amore per Gioachino Rossini (il mio primo ruolo importante era stato Germano in La scala di seta) e sino ad allora avevo visto il Maestro Zedda solo in televisione. Quando spiegava come andava eseguita la partitura aveva negli occhi una luce speciale. Ti faceva capire parola per parola, battuta per battuta qual era il senso della concertazione di Rossini, scavando nella musica e donando una gioia incredibile a noi, che eravamo strumenti nelle sue mani. Essendo l’unico della compagnia a non aver mai cantato con lui, arrivai a Pesaro con un forte senso di soggezione, ma la prima cosa che mi disse fu di darsi del tu (per me, difficilissimo). Ricordo che attaccai l’aria pensando: “Ora me la distrugge e dirà che non va bene niente”. Invece ne fu contento (il fraseggio gli andava molto bene) anche se mi diede vari suggerimenti d’intenzioni. Infatti, più che sulla musica o sul testo, in cui la mia esecuzione lo lasciava pienamente soddisfatto, il lavoro con lui era basato sulle intenzioni e sul modo di vivere il personaggio. Avevo già fatto il Barbiere diverse volte (fra cui quella, prima e indimenticabile, con Michele Mariotti), però è solo dopo averlo affrontato con Zedda che mi sono sentito padrone del ruolo e penso a lui ogni volta che lo porto in scena. Nonostante abbia fatto mie tantissime suggestioni dei grandi direttori con cui ho avuto il piacere di lavorare dopo, dall’immenso Bruno Campanella a giovani come Omer Meir Wellber o Andrea Battistoni (che mi hanno sempre dato consigli preziosi), colui che ha cambiato il mio modo di vedere Figaro è stato sicuramente il Maestro Zedda.

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Rivivresti con noi le sensazioni e le emozioni del tuo debutto?
Sebbene il primo ruolo sul palcoscenico sia stato Alcindoro della Bohème ad Arezzo, considero il vero debutto La scala di seta al Teatro Mario Spina di Castiglion Fiorentino nel 2001. Fu un esordio preparato con molta calma all’interno di un corso di perfezionamento, il che ci permise di arrivare alla recita con tranquillità. Però il pubblico venne da tutta la Toscana perché il titolo era raro e quella sera la ricordo con il grande piacere di essere arrivato fino in fondo, portando sul palco un ruolo che avevo amato molto, ma che mi aveva anche dato molte pene...

Raccontaci una bella esperienza che porterai sempre nel cuore. Siccome saranno sicuramente tante, diciamo pure la prima che ti viene in mente.
Sinceramente la prima che mi viene in mente è sempre l’ultima in ordine cronologico. In questo momento è Il barbiere di Siviglia del 17 agosto scorso, che ha sancito il ritorno in Arena e alla parte di Figaro in una produzione per me già fortunata e ricca di soddisfazioni. Dopo un mostro sacro come Leo Nucci, riuscire a conquistare il pubblico e addirittura a fare il primo bis della mia carriera, per di più in Arena e dopo tanto tempo che non cantavo il ruolo, è stata davvero un’emozione che fatico a raccontare.

Come affronti lo studio di un nuovo ruolo?
Questo è un punto interessante. Intanto devo essere onesto: amo studiare i ruoli in un tempo lunghissimo. Faccio un esempio: Figaro del Barbiere l’ho debuttato nel 2008, ma lo stavo studiando da circa dieci anni (la prima volta l’ho cantato in una competizione a Spoleto nel 1999). Ora sto per esordire come Conte di Luna del Trovatore di Verdi, ma sono almeno diciotto anni che ne canto arie e duetti nei concerti. Mi sono capitate anche altre parti da imparare in tempo più breve, ma quelle che hanno fatto l’ossatura del mio repertorio hanno sempre avuto un tempo di maturazione molto lungo, dovuto al fatto che mi piace conoscere a fondo la partitura, il libretto e la storia. Nel momento in cui arriva lo spartito, devo sapere a memoria tutte le parole. Per quanto riguarda l’aspetto vocale, preferisco che sia la mia voce ad andare verso il ruolo e non il contrario. Lavoro molto sui vocalizzi e, negli ultimi mesi, mi concentro su fraseggio, legato, durata, possibilità espressive e virtuosistiche, laddove siano richieste dall’autore e necessarie a esprimere il concetto (il puro esibizionismo proprio non mi interessa). Così, giorno per giorno, porto progressivamente la voce a fare ciò che la mente sa e legge nello spartito, ma che non sempre esce fuori. Inoltre mi faccio ascoltare da maestri di canto, che possono anche essere colleghi di cui ho grande stima, e da pianisti. Ognuno mi porta a rifinire l’interpretazione finale.

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Qual è il tuo rapporto con i registi lirici e le richieste della “messa in scena” in generale?
Il discorso è abbastanza complesso perché viviamo in una stagione in cui la messa in scena lirica è divenuta di importanza cruciale, in positivo e in negativo. Il mio rapporto con i registi è abbastanza differenziato: con alcuni (penso a maestri come Hugo de Ana o Lamberto Puggelli) è stato veramente splendido, in quanto nato dalla voglia di imparare e di mettermi al servizio delle loro bellissime idee, che mi hanno permesso sia di crescere artisticamente, sia di fare spettacoli che sono rimasti nella memoria mia e del pubblico. Invece con altri, quando sento che mancano la conoscenza del testo, della musica e a volte persino l’amore per il nostro lavoro, tendo a bloccarmi, forse per difendere me stesso e l’opera lirica per come la amo e per come ho sempre pensato che debba essere fatta. Altre volte la collaborazione non è facile perché le richieste lasciano un po’ perplessi e non capisci quanto siano fatte per un’autentica idea o un semplice capriccio. In ogni caso, mi piace moltissimo mettermi a disposizione della visione creativa del regista, senza imporre le mie idee, anche se magari quel ruolo l’ho fatto cento volte. Anzi, mi piace seguire le intuizioni altrui quando sono interessanti e convincenti.

Sei alla seconda stagione areniana come Figaro nel Barbiere di Siviglia, dopo il debutto del 2015. Cosa è cambiato in questi tre anni?
A meno che non sia una sostituzione last minute (cosa che negli ultimi anni capita spesso), riprendo sempre lo studio sullo spartito come se fosse la prima volta che lo affronto. Lo stesso vale per il ritorno a una produzione che ho già fatto: se cambiando i colleghi e il direttore, mi piace ripartire senza pensare a quello che facevo ieri, ma a quello che vorrei fare oggi. In questi tre anni ho lavorato molto sull’emissione per renderla più omogenea, quindi rinforzando la parte centrale della voce, ma mantenendo la luminosità in acuto e senza gonfiare i suoni. Inoltre ho cercato di dare a Figaro maggior energia e brillantezza, così da rendere al meglio il factotum della città che vive qualunque situazione come un’esplosione di gioia. Quest’anno devo dire grazie alla presenza fondamentale di Andrea Battistoni, con cui nel 2015 avevo fatto Carmina Burana. Ha un’idea del Barbiere che mi trova perfettamente d’accordo e quindi mi permette di cantarlo in maniera molto libera.

Che emozioni ti dà questo ruolo e come è cresciuto con te nel tempo?
Quando un ruolo si fa tante volte, il rischio è di scadere nella routine, ma in questo caso è difficile perché la cavatina è un tale banco di prova (con delle variazioni, poi, che portano due volte la voce al La naturale) che necessita sia di una forma fisica perfetta (e di una notevole padronanza dei mezzi), sia di un impegno tale che “abituarvisi” è impossibile. A chi mi chiede se sono stufo di Figaro, rispondo di no proprio perché non sono ancora riuscito a fare tutto quello che vorrei. Ci sono tanti punti dell’opera che potrei eseguire meglio. Questo tipo di ragionamento all’inizio può essere frustrante perché non si è mai contenti, ma, dall’altro lato, permette di portare avanti un ruolo per anni e anni senza stancarsi mai. Credo che il mio Figaro sia cresciuto perché la maturazione vocale e artistica di ogni cantante indiscutibilmente arriva anche al ruolo, ma ovviamente l’emozione è sempre tanta, specialmente all’entrata. Se fai bene la cavatina, il pubblico si accende e senti di portare felicità a chi ti ascolta e questo credo sia il massimo che si può sperare.

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Hai avuto la possibilità di interpretare tutti e tre i Figaro operistici: quello di Rossini (Il barbiere di Siviglia), quello di Mozart (Le nozze di Figaro) e quello di Mercadante (I due Figaro). Spiegaci come hai vissuto le diverse facce del personaggio.
I tre Figaro li feci tutti nel 2011, portandoli poi avanti nel tempo. Vocalmente non si potrebbe pensare a tre tipologie più differenti. Per esempio il Figaro di Mozart è un basso-baritono ma dai colori schiettamente baritonali, mentre quello di Mercadante è un baritono altrettanto basso ma con accenti pre-verdiani. Anche a livello psicologico i caratteri sono estremamente diversi: quello di Rossini è positivo, quello di Mercandante è cinico e pieno di aspetti negativi, mentre quello di Mozart è forse quello più dotato di un’umanità fresca e immediata. Cantarli tutti e tre non solo ha cambiato il mio approccio al Figaro rossiniano (ho iniziato a vedere e a inserire in lui degli aspetti non dico cinici, ma forse un po’ più cattivelli), ma mi ha anche fatto riflettere sempre di più sul carattere del personaggio che ho portato e che continuo a portare in scena regolarmente.

Ti è mai capitato di non entrare in sintonia con un personaggio perché non riuscivi a comprenderne la natura?
Premetto che il mio approccio ai personaggi è brechtiano: cerco di vederli e costruirli da fuori senza portare me stesso in scena. Sono convinto che il personaggio sia molto più interessante di chi lo interpreta, il che mi ha fatto anche scontrare con dei registi. Con il tempo, però, sono diventato più accondiscendente e ho cominciato a usare il mio vissuto qua e là, specialmente sui ruoli più drammatici, cercato di rivivere alcuni momenti in prima persona per portare in scena qualcosa che venisse da me e non dallo studio. Detto questo, chi sceglie di interpretare dei personaggi, li ama tutti, anche se non danno i risultati sperati. Un po’ come un pittore o uno scultore che resta legato per sempre a ogni suo lavoro, anche se poi riconosce che, magari, quella particolare opera non era così bella. Psicologicamente non ho mai avuto difficoltà a calarmi in un ruolo, piuttosto, a volte, si può averne a calarsi nell’idea che ne ha il regista.

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Ancora piacevolmente frastornati dal rocambolesco finale del primo atto del Barbiere areniano messo in scena da Hugo de Ana, sembra quasi anche a noi “d’esser con la testa in una fucina”, ma tutt’altro che orrida, anzi! Ci incamminiamo, attraversando una platea pullulante di persone, verso il camerino di Figaro per proseguire la chiacchierata. Nei corridoi del retropalco, quasi  ogni passo corrisponde a un saluto: per un cantante, un corista, un orchestrale o un membro dello staff della Fondazione Arena. Arcovolo dopo arcovolo, quel sapore di “eternità” mista a Musica torna ad invadere i nostri sensi e  a inebriarci lo spirito.
Terminato il cambio del costume, Mario Cassi è di nuovo a nostra disposizione, mentre i suoi occhi brillano ancora dell’energia che solo il palco e il pubblico dell’Arena regalano a chi li conquista.

Quale ruolo ti assomiglia di più a livello caratteriale?
Indubbiamente Figaro, ma, complice la toscanità, anche Gianni Schicchi, nonostante l’abbia cantato una sola volta (motivo per cui mi piacerebbe molto rifarlo). Forse vi stupirò, però caratterialmente i personaggi con cui mi identifico di più sono quelli del baritono nobile, da Alphonse della Favorite di Donizetti a Valentin del Faust di Gounod. Lì ho davvero usato il metodo Stanislavskij dell’identificazione col personaggio, accompagnando la musica con il ricordo di un’emozione vissuta.

Un personaggio che ami come ascoltatore, ma che non canteresti mai?
Ce ne sono tanti, ma penso in particolare ad Amonasro (Aida) e ad Alfio (Cavalleria rusticana), personaggi un po’ unidirezionali senza grandi sfaccettature o momenti in cui affiori il dubbio, piuttosto che il pentimento o un’emozione accesa, tutti dettagli che invece accendono la mia fantasia di interprete.

La tua voce ti ha portato lontano. Oggi dove vuole condurti?
Amo pensare di aver sempre lasciato decidere a lei... io ho cercato di assecondarla e rispettarla, dandole i dovuti momenti di riposo e nutrendola con tante lezioni. Lei mi ha condotto lontano in tutti i sensi: ho girato il mondo e mi manca di cantare solo in Australia. A livello di repertorio, invece, la direzione è quella del baritono nobile: stanno arrivando i grandi ruoli verdiani e voglio continuare a cimentarmi nel belcanto serio. Si potrebbe dire “Va’ dove ti porta la voce”.

Esiste un’opera poco conosciuta che ami particolarmente e vorresti affrontare, avendone l’occasione?
Il matrimonio inaspettato di Giovanni Paisiello, che ho avuto la fortuna di fare col maestro Riccardo Muti. Mi sono sempre chiesto perché non si esegua più spesso: la riprenderei volentieri in qualunque momento.

Quando non hai lo spartito in mano, cosa ti piace fare?
Mi piace scappare fisicamente in un luogo lontano dalla musica, che per me, essendo pure collezionista di dischi, è un po’ una droga. Posti esotici come Messico, Nuova Zelanda e Mar Rosso, ma anche le nostre isole (Sicilia, Sardegna e Corsica), dove godermi il sole, il mare e il silenzio. Ma capita molto di rado perché sono spesso impegnato a studiare.

Che tipo di musica preferisci ascoltare nel tempo libero? E, se ami guardare film, che genere prediligi?
Quasi sempre musica classica, che però cambia a seconda dei luoghi, dei momenti e degli stati d’animo. Per anni ho ascoltato principalmente Johann Sebastian Bach, gli ultimi due li ho passati con Franz Joseph Haydn e di recente ho scoperto le meravigliose composizioni per viola d’amore di Henry Purcell. A livello operistico, evito accuratamente di ascoltare i ruoli che canto per essere il più possibile autonomo. Al cinema vado poco perché mi da fastidio l’aria condizionata, ma a casa mi rifugio nei classici del grande Mario Monicelli.

Che rapporto hai con la critica musicale?
Passiamo alla domanda successiva? (ride, ndr). Scherzi a parte, un rapporto piuttosto complicato. Partendo dal presupposto che sono nell’opera praticamente da trent’anni, quando ero un semplice ascoltatore si leggevano sui giornali le critiche di Fedele d’Amico, Leonardo Pinzauti e Massimo Mila, penne verso le quali c’era una fiducia totale per via della loro ponderazione su quello che scrivevano. Con il tempo, ahimè!, chiunque può aprire un blog o fare critica sulla propria pagina Facebook. La separazione fra la critica professionale e l’espressione autonoma di un parere personale trasformato in critica agli occhi di chi legge è diventato estremamente labile. Ciò ha fatto sì che, col tempo, abbia smesso di leggere questi resoconti e di seguire solo i critici ai quali riconosco un’autentica capacità di cogliere la realtà. Non è tanto una questione di giudizi positivi o negati. Essendo il più grande critico di me stesso e mai contento di quello che faccio, anche una lode immotivata mi lascia l’amaro in bocca, esattamente come una critica negativa non motivata o motivata in maniera pregiudiziale. Viceversa, quando i critici hanno la capacità di descrivere il tuo operato, leggerli diventa un piacere: i suggerimenti o le critiche costruttive dove mi si spiega cosa ho sbagliato, sono preziosissime. Il problema sono le recensioni che potrebbero essere state scritte il giorno prima sulla spinta del pregiudizio. Il guaio, in particolare a livello di social network, è che ormai si vede quel che si vuol vedere e si sente quel che si vuol sentire, ma difficilmente si guarda e si ascolta davvero. Avere l’orecchio e l’occhio già precondizionati è una delle più gravi malattie di oggi. Nel nostro settore, poi, porta un grande impoverimento perché si perdono sia la spontaneità del giudizio, sia la capacità critica. Di pari passo, la crescita della qualità artistica rischia di venire compromessa.

Qual è il tipo di riscontro che ti fa più piacere e quello che, invece, proprio non sopporti?
Come ho già detto, quello che mi fa più piacere è il riscontro spontaneo e sincero, sorretto più da un’intima percezione che da una conoscenza capillare perché ci sono persone che magari hanno ascoltato e letto poco, ma che possiedono una sensibilità molto maggiore rispetto a chi ha una conoscenza smisurata… e direttamente proporzionale al pregiudizio con cui si accosta al teatro. Le critiche che non sopporto, anche nei confronti dei colleghi, sono quelle prevedibili o completamente staccate dalla realtà.

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E il tuo rapporto con i colleghi com’è?
Di solito, estremamente positivo. Cerco sempre di costruire un legame forte perché, per me, uno spettacolo si fa tutti insieme. Penso all’opera come a uno dei quadri rinascimentali che si facevano a Firenze nella bottega del Verrocchio: alla fine portavano la firma di colui che forse aveva contribuito più degli altri, ma alla realizzazione del dipinto avevano collaborato tanti giovani artisti. Se poi cambia un collega, in particolare nelle opere mozartiane e rossiniane (dove c’è sempre il botta e risposta), bisogna avere la capacità di ascoltarsi a vicenda, soprattutto nei duetti.

Il secondo atto sta per cominciare e fra poco farai la barba a Don Bartolo… ma non prima che tu ci abbia parlato dei futuri impegni artistici.
Incombe il debutto nel Trovatore a Liegi e quasi non riesco a pensare a tutto quello che farò dopo. Comunque, sempre a Liegi, ci sarà la ripresa di Il matrimonio segreto: il Conte Robinson, pur essendo un ruolo settecentesco ha una vocalità da baritono nobile e mantenerlo accanto a ruoli più maturi non può fare che bene. Poi arriverà l’altro debutto nei Puritani, che avrebbe dovuto avvenire pure quello a Liegi (nel giugno del 2019) e che, invece, avverrà prima a Trieste a novembre, in una nuova produzione di Emilio Sagi diretta dal maestro Fabrizio Maria Carminati, altro direttore che stimo assai. Infine Il barbiere di Siviglia mi porterà a Pechino in febbraio. Per quanto riguarda la stagione 2019/2020, aspetto la prossima intervista: gli impegni ci sono, ma preferisco non rivelarli in anticipo.

Il terzo gong sta per suonare e, se non ci incamminiamo velocemente, rischiamo di non poter più accedere ai nostri posti. Ci diamo quindi appuntamento al termine dell’opera per concludere un discorso appena accennato, ma che a Cassi sta molto a cuore.

Parlaci del tuo fortunato sodalizio con Liegi.
Penso che ogni artista desideri un posto dove tornare regolarmente, sapendo di essere accettato e apprezzato. Il mio stupendo rapporto con Liegi è iniziato ormai dieci anni fa e, da quando il direttore artistico dell’Opéra Royal de Wallonie è il maestro Stefano Mazzonis di Pralafera, da lì (complice la posizione geografica privilegiata) sono passati grandi artisti, musicisti e registi, come Stefano Vizioli, con cui nel 2006 ho fatto Il turco in Italia a Roma e oggi sto lavorando al Trovatore. È un regista che ammiro tantissimo e con il quale si riesce a costruire un personaggio non stereotipato, partendo dal testo, dalla musica e dalla base culturale (conosce perfettamente il dramma originale di Antonio García Gutiérrez). Inoltre Liegi è una città dove si vive benissimo, manca la confusione delle grandi metropoli, non c’è difficoltà nel muoversi e si può arrivare a teatro comodamente a piedi. Sono cose importanti perché ti permettono di concentrarti sull’aspetto vocale e musicale del tuo lavoro con una grande calma e rilassatezza. Inoltre in questi anni il pubblico belga è cresciuto moltissimo, sia a livello numerico (un dato controcorrente da premiare), sia a livello di conoscenza operistica.

180829_13_Personaggi_Mario Cassi_Trovatore_phAlessandroCiammarughiTornando al Trovatore, chi è per te il Conte di Luna?
Un personaggio straordinario e per niente monolitico. Lui e Manrico, il tenore dell'opera, sono due ragazzi poco più che ventenni con delle psicologie geneticamente simili nonostante abbiano condotto vite agli antipodi: l’uno, Grande di Spagna, è cresciuto a corte, l’altro, zingaro, combatte con i ribelli. Penso che la cosa eccezionale di quest’opera sia il modo in cui Verdi stesso riesca a trasmettere questa ambiguità dell’elemento genetico. Manrico comunque è nobile dentro, e la stessa Azucena ha con lui un rapporto di amore/odio fino alla fine, mentre il Conte di Luna, pur essendo un signore, è divorato dalla passione amorosa per Leonora, che lo porta persino ad andare anche contro la religione (cosa inconcepibile all’epoca, specie per un aristocratico), arrivando a parlare di Dio quasi come di un rivale. È un un guerriero innamorato, a momenti folle, a momenti nobile: possiede tutti gli aspetti dell’animo umano spinti al massimo.

A questo punto non può mancare un pensiero sui Puritani...
È un titolo a cui sono molto legato: lo canto sin dal primo concorso internazionale (Spoleto, 1999), ma, come diceva la mia prima maestra, la carriera non la puoi decidere tu, i ruoli te li propongono. Riccardo Forth è arrivato solo ora, però ho già firmato per tre produzioni e questo mi da una grande soddisfazione perché è un ruolo sul quale intendo puntare, pieno di pagine straordinarie, in cui al puro belcanto si unisce una teatralità moderna. Mi è sempre rimasto impresso il costume del primo Riccardo visto nel 1989: il genio di Renato de Chirico aveva visualizzato l’animo di quest’uomo intrecciando la parte destra dell’abito alla parte sinistra, in modo da far capire quanto fosse combattuto tra emozioni e sentimenti opposti. Questi sono i personaggi che amo.

Quando arriverà Rodrigo (Don Carlo)?
Spero presto, perché è in cantiere da tanti anni, ho quasi terminato di studiarlo e già se ne parla nei teatri in cui mi invitano, quindi chissà… Rodrigo è un sogno per tutti i baritoni, ma per me in particolare perché nutro verso di lui una forte identificazione. I suoi ideali di libertà, giustizia e amicizia sono sempre stati le basi fondanti della mia vita.

Salutaci con una citazione lirica che rappresenti il tuo stato d’animo attuale.
La prima a cui penso è una frase, spesso storpiata, del Conte di Luna: “L’amore è un dardo”. Ovviamente in scena la canterò come è scritta (“L’amore ond’ardo”), però in questo momento mi viene da pensare che l’amore davvero è un dardo: chissà dove va a colpire, chi va a colpire e cosa ti porterà a fare nella vita, visto che non solo, come direbbe Dante, “move il sole e l’altre stelle”, ma muove soprattutto gli uomini.

Mentre il 24 agosto cede il posto al dì seguente, la nostra lunga ed intermittente chiacchierata volge al termine. Purtroppo Mario Cassi non ha tempo di godersi la “dolce vita” del dopo recita: un aereo lo attende per condurlo a Liegi e alle prove del tanto atteso Trovatore. Tornerà però a Verona in tempo per il suo ultimo Barbiere stagionale, il 30 agosto. Lo ringraziamo dunque per essersi messo in gioco e aver condiviso con noi così tanti aspetti della sua carriera e della sua vita, con l’augurio sincero che quel “dardo” da lui citato lo conduca alle aspirazioni più alte e nobili.

Crediti fotografici: Archivio Mario Cassi; Francesco Squeglia (Arezzo); Foto Ennevi (Verona); Pietro Paolini (Firenze); Silvia Lelli (Ravenna); Alessandro Ciammarughi (Liegi); Archivio Operà Royal de Vallonie; Alain Hanel (Monte-Carlo)
Nella miniatura in alto: ritratto del baritono Mario Cassi
Sotto, in sequenza, alcune opere che lo hanno avuto protagonista:
- Il barbiere di Siviglia a Verona
- L'elisir d'amore a Firenze
- I due Figaro a Ravenna
- Faust di Gounod
- La Favorite a Liegi
- La traviata a Liegi
- Il barbiere di Siviglia a Monte-Carlo
- Le nozze di Figaro a Liegi
- Don Pasquale a Ravenna
- Il barbiere di Siviglia a Verona
- Prova costume negli anni del debutto a inizio carriera
- Il trovatore, costume per il prossimo Conte di Luna a Liegi (costumista Alessandro Ciammarughi)






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Xtra per tre
redatto da Athos Tromboni FREE

20240411_Fe_00_FerraraMusicaXtra_NicolaBruzzoFERRARA - Si chiama "Xtra" - un nome avveniristico - ma sarà fatta di musica da grande repertorio cameristico. È la nuova rassegna di Ferrara Musica, ideata per dare una ribalta a formazioni e musicisti solisti di grande talento. Ad illustrare il programma sono intervenuti l'assessore alla Cultura del Comune di Ferrara, Marco Gulinelli, il curatore
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Opera dal Centro-Nord
Quel Don Pasquale sempre fresco
servizio di Simone Tomei FREE

20240325_Fi_00_DonPasquale_MarcoFilippoRomano_phMichele MonastaFIRENZE - Quello che è stato ritorna dicevano sempre i nostri vecchi. Ed è proprio così: in un momento non facile per il Teatro del Maggio, l’idea di rispolverare una vecchia produzione di Don Pasquale di Gaetano Donizetti si è rivelata una scelta molto azzeccata che ha riportato indietro nel tempo i più veterani melomani. La riproposizione dello spettacolo
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Opera dal Nord-Ovest
Beatrice di Tenda da visibilio
servizio di Simone Tomei FREE

2040325_Ge_00_BeatriceDiTenda_AngelaMeadeGENOVA – Procede con scelte azzeccate e particolarmente ricercate la stagione operistica del Teatro Carlo Felice di Genova con un altro capolavoro belliniano, Beatrice di Tenda. Sono già due stagioni che le opere del catanese compaiono nel cartellone del teatro genovese: nel 2021 Bianca e Fernando – secondo l’edizione riservata proprio al teatro ligure
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Opera dal Nord-Est
Nabucco fra Oren e Del Monaco
servizio di Rossana Poletti FREE

20240324_Ts_00_Nabucco_GiancarloDelMonacoTRIESTE - Teatro Lirico “Giuseppe Verdi”. L’avventura del Nabucco in scena in questi giorni al Teatro Verdi di Trieste comincia con una conferenza stampa, nella quale Daniel Oren, maestro concertatore e direttore, ha espresso che questo terzo titolo di Giuseppe Verdi, suo primo grande successo, è molto importante per il popolo ebraico, «... per
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Opera dal Nord-Est
Nel Campielo xe bel quel che piase
servizio di Athos Tromboni FREE

20240318_Vr_00_IlCampiello_FrancescoOmassini_phEnneviVERONA - Fu così che per la prima volta in assoluto Il Campiello di Ermanno Wolf-Ferrari andò in scena nel Teatro Filarmonico di Verona. E fu così che alla "prima" venne accolto da un pubblico numeroso con molti minuti di applausi a fine recita e con vere ovazioni per alcuni protagonisti di quella commedia musicale. Chissà se le cronache del futuro, parlando del
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Opera dal Centro-Nord
Un Trovatore quasi disastro
servizio di Simone Tomei FREE

20240317_Lu_00_IlTrovatore_MatteoDesole_phAugustoBizziLUCCA – Il trovatore di Giuseppe Verdi chiude la stagione lirica 2023/2024 del Teatro del Giglio di Lucca. Si tratta di una coproduzione che vede come attori - oltre l’Istituzione lucchese - la Fondazione Teatri di Piacenza, la Fondazione Teatro Comunale di Modena, la Fondazione Teatro Goldoni di Livorno il Teatro dell’Opera Giocosa di Savona.
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Eventi
Vi presentiamo La Bohème
servizio di Angela Bosetto FREE

20240316_Vr_00_LaBoheme_2024VERONA – Dopo tredici anni di assenza è ufficialmente partito il conto alla rovescia: la prossima estate La Bohème di Giacomo Puccini tornerà in Arena durante il 101° Festival lirico; il capolavoro di Puccini verrà rappresentato il 19 e il 27 luglio 2024 con la direzione di Daniel Oren.
Trattandosi di una nuova produzione di Fondazione Arena
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Opera dal Nord-Ovest
Idomeneo da manuale
servizio di Simone Tomei FREE

20240227_Ge_00_Idomeneo_AntonioPoliGenova – L’ Idomeneo di Wolfgang Amadeus Mozart è un capolavoro che incanta con la sua profonda drammaticità e la sua sublime bellezza musicale. La trama, ambientata nell'antica Grecia, ruota attorno al re Idomeneo, il quale, dopo essere stato salvato da un naufragio grazie all’aiuto divino, si trova costretto a sacrificare suo figlio
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Eventi
Il 35° nel segno della solidarietà
servizio di Athos Tromboni FREE

20240225_Ra_00_RavennaFestival2024_LogoRAVENNA - il Teatro Alighieri era gremito di pubblico, giornalisti, operatori video e radio per la presentazione della 35.ma edizione di Ravenna Festival 2024, che si svolgerà dall’11 maggio al 9 luglio e farà registrare oltre 100 alzate di sipario; gli artisti coinvolti sono più di mille, dai grandi nomi della musica classica e del canto lirico, fino ad alcuni "menestrelli"
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Opera dall Estero
Grande Das Rheingold in piccolo spazio
servizio di Ramón Jacques FREE

20240222_00_LosAngeles_DasRheingold _GustavoDudamelLOS ANGELES (USA) - La sala concerti Walt Disney Hall, sede dell’orchestra Los Angeles Philharmonic, è situata nel cuore della città e ha festeggiato nel 2023 i suoi vent'anni (è stata inaugurata il 23 ottobre 2003). E’ stata progettata e realizzata con la supervisione dal famoso architetto e designer canadese-americano Frank Gehry (1929)
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Opera dal Centro-Nord
Ecco la Butterfly del fiasco
servizio di Simone Tomei FREE

20240219_Lu_00_MadamaButterfly_AlessandroDAgostiniLUCCA – Al Teatro del Giglio approda con grande apprezzamento del pubblico la versione bresciana di Madama Butterfly di Giacomo Puccini (datata 28 maggio 1904) dopo che il clamoroso fiasco del Teatro alla Scala di qualche mese prima, indusse il compositore a rimettere le mani sulla partitura. La scelta dell’adattamento bresciano per il Teatro del
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Opera dal Nord-Est
Arianna tra il buffo e il commovente
servizio di Rossana Poletti FREE

20240218_Ts_00_AriannaANasso_SimoneSchneider_phFabioParenzanTRIESTE - Teatro Lirico “Giuseppe Verdi”.  Ci è voluto Richard Strauss e la sua Arianna a Nasso per far comprendere quanto poco interessasse a certi ricchi la realizzazione di uno spettacolo, quanto poco comprendessero le dinamiche che stanno attorno e dentro la preparazione di un lavoro teatrale.
«Pago e voglio quello che
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Personaggi
Incontro con Lorenzo Cutùli
servizio di Edoardo Farina FREE

20240215_Fe_00_LorenzoCutuliFERRARA - Il 100° anniversario dalla morte di Giacomo Puccini rappresenta un’occasione per commemorare e ripercorrere la vita e la carriera di uno dei più grandi musicisti italiani.  Le sue Opere, ancora oggi, continuano a essere rappresentate sui palcoscenici più prestigiosi del mondo, celebrando lo straordinario valore artistico delle composizioni
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Opera dal Nord-Est
Il Barbiere eccellente
servizio di Nicola Barsanti FREE

20240209_Ve_00_IlBarbiereDiSiviglia_BepiMorassiVENEZIA - Se pensiamo al fascino di un teatro risorto per più di una volta dalle proprie ceneri, e vi aggiungiamo la suggestione di esservi dentro nel vivo del carnevale della “Serenissima” non può venire in mente un gioiello della produzione rossiniana: Il barbiere di Siviglia. Ed è proprio a quest’opera che abbiamo assistito, la seconda in cartellone
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Opera dal Centro-Nord
Manon Lescaut e il gesto della Lyniv
servizio di Nicola Barsanti FREE

20240202_Bo_00_ManonLescaut_OksanaLynivBOLOGNA - Il Teatro Comunale Nouveau inaugura la propria stagione operistica 2024 con il primo vero e proprio gioiello della produzione pucciniana: Manon Lescaut. Ottima scelta per onorare il centenario della morte del compositore lucchese, avvenuta il 29 novembre del 1924 a Bruxelles.  La Manon Lescaut rappresenta per la carriera
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Echi dal Territorio
Bologna Festival numero 43
redatto da Athos Tromboni FREE

20240201_Bo_00_BolognaFestival_TeodorCurrentzis_phAlexandraMuravyevaBOLOGNA - La 43.esima edizione di Bologna Festival 2024, da marzo a novembre, presenta alcuni dei più interessanti direttori dell’odierna scena musicale quali Teodor Currentzis, per la prima volta a Bologna con la sua orchestra musicAeterna, Vladimir Jurowski con la Bayerisches Staatsorchester e Paavo Järvi con la Die Deutsche
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Jazz Pop Rock Etno
Jazz e altro allo Spirito
redatto da Athos Tromboni FREE

20240129_Fe_00_IlGruppoDei10_TutteLeDirezioni_FrancoFasano.JPGFERRARA - Varato il calendario dei concerti "Tutte le Direzioni in Winter&Springtime 2024", organizzata da Il Gruppo dei 10 con qualche novità e collaborazione in più rispetto ai precedenti. La location è (quasi sempre) la stessa: il ristorante lo Spirito di Vigarano Mainarda (Ferrara), nell’intimo tepore delle sue suggestive sale, immerso nella
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Opera dal Centro-Nord
La bohème visual della Muti
servizio di Athos Tromboni FREE

20240127_Fe_00_LaBoheme_ElisaVerzier_phFabrizioZaniFERRARA - Suggestivo l'allestimento di La bohème di Giacomo Puccini curato da Cristina Mazzavillani Muti per il Teatro Alighieri di Ravenna, approdato ieri sera al Comunale "Claudio Abbado" di Ferrara. Pubblico della grandi occasioni ("sold-out" si dice oggi, con un inglesismo ormai sostitutivo di "tutto esaurito" d'italiana fattura); pubblico
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Opera dal Nord-Ovest
Don Pasquale allestimento storico
servizio di Nicola Barsanti FREE

20240127_To_00_DonPasquale_NicolaAlaimo_phAndreaMacchiaTORINO - Il titolo designato per l’inaugurazione del cartellone d’opera 2024 del Teatro Regio di Torino è il Don Pasquale di Gaetano Donizetti. Qui riproposto nel fortunato allestimento della fine degli anni '90 del Novecento, firmato da uno dei maestri della drammaturgia musicale italiana: il regista, scrittore e giornalista Ugo Gregoretti, la cui regia
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Jazz Pop Rock Etno
Jazz Club Ferrara 45 concerti
redatto da Athos Tromboni FREE

20240124_Fe_00_JazzClub_GennaioMaggio2024FERRARA - Dal 26 gennaio 2024, prende il via al Torrione San Giovanni la seconda parte della 25.ma stagione di Ferrara in Jazz. Grandi nomi del jazz internazionale e largo spazio ai giovani, per complessivi 45 concerti accompagnati da eventi culturali collaterali, realizzati con il contributo del Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna, Comune
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Opera dal Nord-Est
Bolena e Seymur destino congiunto
servizio di Rossana Poletti FREE

20240123_Ts_00_AnnaBolena_SalomeJicia_phFabioParenzanTRIESTE – Teatro Verdi. Nell’ Anna Bolena di Gaetano Donizetti, in scena al Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, primeggia la qualità del cast. Un gruppo di cantanti straordinari, che contribuiscono in modo determinante al buon esito della rappresentazione. Se si eccettua qualche piccola quasi impercettibile incertezza nel primo atto la prova
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Opera dal Nord-Ovest
Haroutounian una Butterfly di riferimento
servizio di Simone Tomei FREE

20240121_Ge_00_MadamaButterfly_phMarcelloOrselliGENOVA – Prosegue con successo la stagione del Teatro Carlo Felice grazie ad una bellissima produzione dell’opera “nipponica” di Giacomo Pucccini, Madama Butterfly. Il contesto scenico-registico firmato da Alvis Hermanis si sviluppa in uno spettacolo sostanzialmente classico e iconografico dove l’immagine stereotipata del Giappone
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Opera dal Centro-Nord
Un Trovatore così così
servizio di Nicola Barsanti FREE

20240121_Li_00_IlTrovatore_MatteoDesole_phAugustoBizziLIVORNO - Torna a distanza di 50 anni di assenza al Teatro Goldoni e 27 anni dopo la sua ultima apparizione nella città di Livorno (ma fu al Teatro La Gran Guardia) Il trovatore, uno dei titoli più amati di Giuseppe Verdi. Un ritorno tanto atteso che non convince, pertanto inferiore alle aspettative. Gli anelli deboli di questa produzione riguardano
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Opera dal Centro-Nord
Barbiere di Siviglia stratosferico
servizio di Nicola Barsanti FREE

20240120_Pr_00_IlBarbiereDiSiviglia_DiegoCeretta_RobertoRicciPARMA - Il Teatro Regio di Parma inaugura il cartellone d’opera del 2024 con il fiore all’occhiello di Gioacchino Rossini: Il Barbiere di Siviglia. Com’è noto ai più, nel 1782 Giovanni Paisiello scrisse un’opera dallo stesso titolo e con lo stesso soggetto, da qui la decisione del maestro di Pesaro di intitolare la sua nuova composizione (almeno in un primo
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Gli Amici della Musica giornale on-line dell'Uncalm
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