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Cinque giovani direttori d'orchestra rispondono alle nostre domande e parlano del loro lavoro

Un pentagono per il pentagramma

interviste di Simone Tomei

Pubblicato il 02 Aprile 2021

210402_Personaggi_00_BacchettaDirettoreLUCCA - Se qualche tempo fa ci avessero detto che avremmo vissuto un periodo simile, sarebbe stato difficile crederci, ma la tempesta è arrivata e sembra destinata a durare ancora a lungo: la Musica, il Teatro e l’Arte in generale sono schiacciati (per tanti motivi) dagli eventi che da oltre un anno ci accompagnano e pure la mia penna è un po’ più sfaccendata e fatica a trovare la fluidità di un tempo.
Alle parole di Rita Levi Montalcini Non temete i momenti difficili, il meglio viene da lì  io aggiungerei dunque “proprio in questi momenti possono presentarsi nuovi stimoli e opportunità”.
Ecco dunque che in un tempo così buio “la necessità (del bello e del ritorno ad una vita normale) aguzza l’ingegno” e, complici notti insonni cavalcate da tanti pensieri, ho colto con entusiasmo questo guizzo della mente che mi ha spinto a svelare la luce di un domani (che aspettiamo tutti con gioia ed impazienza) attraverso le parole, le idee e le emozioni di cinque giovani musicisti e Direttori d’Orchestra (preparati, ambiziosi e pieni di entusiasmo), futuri ambasciatori dell’arte musicale italiana nel mondo.
Ecco dunque una penta-intervista che vede protagonisti i Maestri Alessandro Bonato, Vincenzo Milletarì, Lorenzo Passerini, Leonardo Sini e Michele Spotti; attraverso questa chiacchierata andremo a conoscere le loro particolarità, i sogni, le innegabili delusioni e gli aneliti per il futuro dei “figli artistici” in questo momento tra i più difficili della nostra Storia.
Ho rivolto a tutti cinque le stesse domande. Ecco le risposte:

Raccontaci qualcosa di te per farti conoscere meglio.
Bonato - Sono Alessandro Bonato e ho appena compiuto 26 anni. Ho iniziato ad appassionarmi alla musica alle elementari grazie alle mie maestre che, durante le lezioni, ci facevano ascoltare Antonio Vivaldi (come sottofondo). Io mi innamorai di quella musica e decisi che avrei dovuto saperla eseguire, un giorno. E così, a  dieci anni, iniziai lo studio del violino che proseguì, l’anno successivo, al Conservatorio di Verona. Parallelamente, pochi anni dopo, affiancai lo studio dell’armonia e del contrappunto e, in un secondo momento, quello della viola, terminando recentemente con un master in viola barocca e prassi esecutiva. La passione per la direzione d’orchestra l’avevo da sempre (ascoltavo Beethoven e dirigevo con le matite da piccolino) ma la svolta avvenne quando conobbi un direttore d’orchestra che decise di insegnarmi il mestiere. Avevo sedici anni e da lì iniziò il mio percorso parallelo della direzione d’orchestra. A diciassette anni, fortunatamente, incontrai la persona che mi cambiò la vita, ossia il mio Maestro Pier Carlo Orizio. Essendo direttore artistico di un Festival Pianistico di livello internazionale, mi diede la possibilità di assistere alle prove e concerti di tantissimi grandi musicisti e di poterli conoscere e conversare con loro (il più bel concerto che abbia mai visto fu quello di Temirkanov alla guida della sua Orchestra, che diresse la Quinta Sinfonia di Tchaikovsky: magia).
Milletarì - Sono nato a Taranto ma ho studiato musica tra il Nord Italia, la Germania e la Scandinavia. Vengo da una famiglia sideralmente lontana dall’arte e da bambino non avevo mostrato interesse più di tanto per la musica; al contrario ero e sono innamorato dei motori e della velocità. Per puro caso, grazie a un compagno di scuola, ho iniziato a suonare prima il sax appassionandomi al jazz, che divenne subito jazz sperimentale e poi musica contemporanea. Sono arrivato a Mozart andando a ritroso. La mia prima recita d'opera vista come spettatore fu, da ragazzo, a Napoli, nel Teatro di San Carlo: vidi un uomo al centro della buca tenere i fili di un intero spettacolo e ne fui profondamente affascinato. 
Passerini - Sono nato a Morbegno, importante borgo della provincia di Sondrio, dove, per mia fortuna, la musica non è certamente estranea agli interessi della collettività. Vi operano un corpo bandistico ultracentenario che raccoglie intorno a sé oltre cento allievi, una scuola di strumenti ad arco e di pianoforte molto frequentata, un prezioso auditorium ricreato dal restauro di una antica chiesa conventuale, appositamente destinato alla musica classica, ed una scuola media ad indirizzo musicale. Per me, tutto ebbe inizio a soli sei anni, per gioco, grazie alla Società Filarmonica di Morbegno (alla banda insomma), quando dopo un test attitudinale mi venne affidato il trombone, strumento che tuttora mi accompagna nella vita musicale. In seguito, i miei studi musicali sono proseguiti a Como e ad Aosta, dove ho conseguito diploma e laurea in trombone. Alla direzione mi sono avvicinato quasi ventenne, quando, nel 2011, ho deciso di fondare con il caro amico e compositore Piergiorgio Ratti un’orchestra sinfonica, di cui tuttora sono direttore artistico e direttore musicale. L’Orchestra Antonio Vivaldi (così si chiama) mi ha permesso di mettere per la prima volta testa e mani su un organico orchestrale. È stato amore a prima vista. Devo molto, forse tutto, alla “mia” orchestra, con la quale ogni anno affronto il più bizzarro repertorio sinfonico-operistico. Ma non solo: la mia personalità è stata anche forgiata da grandi maestri/mentori, con i quali ho studiato sin da giovanissimo: Ennio Nicotra, Pietro Mianiti, Gilberto Serembe, Oleg Caetani e Nicola Luisotti.
Sini - Vengo da un piccolo paesino dell’entroterra sardo, Ploaghe in provincia di Sassari. Un ambiente di vita molto tranquillo, sano, con dei principi e dei valori ancora molto presenti nella gente e che mi sono stati trasmessi fin da piccolissimo. Ho studiato tromba e dopo il diploma a Sassari sono volato via dalla Sardegna inseguendo il mio sogno della Direzione d’Orchestra, approdando prima a Londra e poi ad Amsterdam dove ho vissuto per tre anni frequentando il corso di Perfezionamento del Conservatorio. Il passaggio dallo strumento al podio è stato rapido e naturalissimo. Ho voluto provare, ho voluto capire come mi sentissi in quella veste differente, ho avuto un’occasione per farlo e  non sono mai più tornato indietro. Lo potrei definire un colpo di fulmine; una meravigliosa folgorazione.
Spotti - Sono nato e cresciuto a Cesano Maderno e ho frequentato il Conservatorio G.Verdi di Milano sin dagli albori dei miei studi. Mi sono diplomato in violino col Maestro Daniele Gay e fin dalla più tenera età ho sempre avuto una forte propensione alla direzione d'orchestra, tant'è che nel mio percorso didattico un ruolo determinante l'hanno avuto anche lo studio del pianoforte, della composizione e del canto lirico. Sono entrato a diciassette anni nella classe del Maestro Daniele Agiman, figura determinante nella mia vita artistica e non, il quale mi ha trasmesso oltre che l'insegnamento di una tecnica solida, anche una smisurata passione per il mondo operistico. Ho completato i miei studi con il Master in direzione d'orchestra e di coro a l'Haute école de Musique di Ginevra.

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La tua prima volta sul podio.
Bonato - A diciotto anni diressi per la prima volta davanti ad un pubblico e fu alla guida dell’orchestra del conservatorio della mia città, ma la prima vera volta che diressi un’orchestra in un teatro fu alla Royal Opera House Muscat nel 2016. L’emozione di entrare in un teatro e, soprattutto, in un Teatro straordinario come quello, lontanissimo da casa, in un Paese con una cultura diversa dalla mia, mi terrorizzava, ma allo stesso tempo mi eccitava. L’emozione che io provo, in generale, prima di una qualsiasi prova, è la paura di non essere mai sufficientemente preparato, di deludere me stesso prima che gli altri, ecco perché lo studio è sempre accanito, forsennato. La prima volta, in particolare, la paura venne messa da parte dell’adrenalina e dalla voglia insormontabile di fare, finalmente, quello che avevo sempre sognato e per il quale avevo speso la mia vita fino a quel momento.
Milletarì - Fu l'Ouverture del "Coriolano" di Beethoven, poco più che ragazzo. Mi piacque fino a sconvolgermi, ebbi la febbre per tre giorni.
Passerini - La mia prima volta sul podio è stata… senza podio, perché alla prima prova l’Orchestra Vivaldi era sprovvista di pedana del direttore. Ricordo sentimenti contrastanti: amore-odio (prevalenza “amore”), sicurezza-insicurezza (prevalenza “insicurezza”), agio-disagio (in egual misura). Non so perché, ma ho capito da subito che quella sarebbe stata la mia vita. La prima volta su un podio, per davvero, è stata pochi giorni dopo, il 16 dicembre 2011, quando ho diretto il mio primo concerto alla guida proprio di questa neonata orchestra e fu una grande festa. Il titolo dell’evento era ECOncerto, dove, oltre alla musica, si trattavano temi legati alla sostenibilità ambientale. Ricordo che eravamo tutti emozionatissimi. Quel giorno è stato il battesimo non solo di un’Orchestra, ma di una nuova vita piena amicizie che ancor oggi accompagnano la mia esistenza.
Sini - La mia prima volta sul podio è stata a Londra, durante i miei studi alla Royal Academy. Fu una sensazione di grande gioia mista a timore fino al momento della prima battuta. Dopo quell’attacco dato all’Orchestra fu come essere trascinato in una dimensione di consapevolezza e di innamoramento da cui, ancora oggi, non sono uscito.
Spotti - Se si parla di prime volte dividerei il debutto sinfonico e quello operistico. Quello sinfonico è avvenuto al Conservatorio di Milano, con l'orchestra del liceo musicale del Conservatorio, dove diressi il Concerto in Re Maggiore K218 di Mozart per violino e orchestra e la Sinfonia  n.104 di Haydn. Ho ricordi vividi e felici di quella sensazione che mi cominciava a scorrere nelle vene. il debutto operistico è avvenuto al Teatro Mancinelli di Orvieto, dove diressi Le nozze di Figaro di Mozart. Avevo circa vent’anni e nello stomaco c'era un vortice di adrenalina, paura ed incoscienza.

La tua” partitura per eccellenza, ossia non quella che consideri la più bella in assoluto, ma quella che ti trasmette delle sensazioni uniche.
Bonato - Sicuramente la Sinfonia n.9 di Beethoven. Su quella carta non c’è solo inchiostro, c’è la storia della musica, c’è semantica, retorica, poesia, filosofia. C’è la lotta ininterrotta di un uomo con sé stesso, di un uomo contro il mondo e contro Dio; ma, allo stesso tempo, racchiude la redenzione eterna dei peccati dell’uomo proprio attraverso sé stesso e induce alla fratellanza e alla gioia, in un percorso non semplice né tantomeno immediato. È un continuo peregrinare e tornare sui propri passi, fino alla consapevolezza: una sorta di Nirvana di sé stesso attraverso sé stesso. Per tutto questo credo che quella Sinfonia sia talmente complessa ed emotivamente potente che mi spaventa.
Milletarì - Senza dubbio La Valchiria di Wagner, che è quella che negli anni rimane nel mio cuore come preferita; ma sto iniziando a subire il fascino del Tristano e Isotta e a guardare più razionalmente Lohengrin, il mio primo amore da ragazzino.
Passerini - È una risposta che, pur volendo, non riesco a dare. Credo che per formare il proprio repertorio un direttore abbia bisogno di tanti anni di studio e di pratica esecutiva. Al momento, la partitura più bella risulta sempre quella che sto studiando. Amo Verdi, alla follia, Donizetti, Mahler… e Beethoven. Quando dirigo la sua Nona sinfonia penso sia l’opera più alta, direi perfetta, creata dal genio umano. Quando dirigo L’elisir d’amore di Donizetti mi convinco che appartenga ai capolavori in musica per eccellenza. Quando in Rigoletto di Verdi giungo a “Cortigiani, vil razza dannata” penso sia l’aria più vera dell’umanità. Nel dirigere la Quarta Sinfonia di Gustav Mahler sono rimasto folgorato dall’essenza della sua poetica, dalla profondità dei suoi temi ma anche dai tratti ironici che la contraddistinguono. Il mozartiano Requiem è un’esperienza quasi mistica. No, purtroppo non so rispondere o, forse, non voglio trovarla la “mia” partitura per eccellenza.
Sini - Salverei da qualunque fuoco o da qualunque inondazione, o mi porterei su qualunque isola deserta il Requiem di Mozart. In questa musica c’è tutto: la profondità della vita, il mistero della morte, la luce e le tenebre presenti in ogni essere umano.
Spotti - Senza dubbio il Guillaume Tell di Giochino Rossini. Un connubio fra arte rossiniana e romanticismo puro. Ha qualcosa di ultraterreno che è difficile poter spiegare
a parole e le sensazioni che dà sono a mio parere ineguagliabili.

Quali sentimenti provi mentre sei sul podio?
Bonato - Le emozioni sono molte. Vorrei però condividere una riflessione che faccio da qualche tempo, di cui ho anche trovato dei riscontri. Io credo, almeno per qual che mi riguarda, che non ci sia tutto questo tempo da lasciare alle emozioni mentre si dirige, perché è tale la concentrazione da mantenere che, in quel momento esatto in cui si pratica l’atto della direzione, si sta facendo il proprio “lavoro”. Ovvero il compito del direttore è dare sicurezza, energia, chiarezza all’orchestra, farla sentire sicura. Questo comporta uno sforzo mentale e di concentrazione notevole, tale da non poter dare adito ad emozioni incontrollate. Anch’io mi emoziono ogni volta sul palco, ma faccio sempre in modo che le emozioni non prevalgano sulla concentrazione. Mi capita sempre, per contro, di emozionarmi mentre non dirigo, quando ascolto o riascolto un concerto o della musica. Allora sì, sono libero di dare sfogo alle emozioni anche più recondite senza paura di condizionare un risultato. L’emozione evidentemente ci deve essere e c’è ogni volta che si mette piede sul podio. Un po' come quando si dice: un artista crea le cose migliori quando soffre e sta male; al contrario Leonard Bernstein diceva invece che una persona che sta male soffre e basta. Non ha tempo né voglia di creare. Soffre. L’opera d’arte invece, nasce in un momento di ricordo di una sofferenza e non durante la sofferenza stessa. Io sono d’accordo. Le vere emozioni immediate le devono provare le persone che vengono a bearsi e a godere delle opere d’arte, della musica.
Milletarì - Dipende da ciò che si dirige, se è qualcosa di già diretto sono più analitico, se è un pezzo che dirigo per la prima volta faccio fatica a mantenere la lucidità, o meglio, la freddezza emotiva.
Passerini - Tanti, e contrastanti, ma se devo ricercarne uno in particolare (e presente in ogni occasione) direi che è il divertimento. Non ovviamente come svago fine a sé stesso, ma come forma di piacere e condivisione. Mi piace comunicare “dal” podio, condividere, divertirmi. I sentimenti che si provano dirigendo sono sempre nuovi e diversi, spesso imprevedibili. È difficile riuscire a codificarli. Un giorno avrò le idee più chiare? Speriamo di no. Amo l’aspetto imprevedibile di questa professione: ogni giorno cambia e ad ogni esecuzione.
Sini - Non saprei rispondere con esattezza; i sentimenti sono tanti ma fondamentalmente potrei dire che la sensazione più intensa e gratificante è quella di “sentirsi al posto giusto nel momento giusto”. In questa affermazione c’è tutto. Ognuno di noi prova questa sensazione almeno una volta nella vita. È impagabile, profonda, rassicurante.
Spotti - Dirigere mi fa sentire vivo a prescindere dal repertorio che si affronta. La gioia nell'esercizio di questa professione è una sensazione che provo costantemente e cerco di trasmetterla ai miei colleghi in orchestra ed al pubblico.

Hai dei miti del passato e/o dei riferimenti nel presente?
Bonato - Ho due grandi miti: Nikolaus Harnoncourt e Carlos Kleiber. Il primo, per me, è artefice di una virata importante del corso della storia della musica. Grazie alle sue intuizioni geniali e alla riscoperta della filologia e della prassi esecutiva ha ricreato un mondo ( quello della musica autentica o storicamente informata ) dal quale, un musicista del giorno d’oggi, non può prescindere. Il secondo, Carlos Kleiber, è stato semplicemente, un Genio. Il più grande genio direttoriale che il mondo abbia avuto l’onore di ospitare. Un uomo che non suonava la musica, ma la dipingeva, la scolpiva nell’aria, la rendeva materia tangibile. Un poeta.
Milletarì - Ho la foto di Herbert von Karajan vicino a me anche adesso che sto rispondendo alla tua intervista; non riesco a immaginare musicista e uomo più incredibile che abbia fatto questo lavoro. Sono affezionato tanto anche a Tullio Serafin, lo trovo di un'eleganza rara.
Passerini - Certamente sì. I miti del passato sono molti ed ognuno ha influenza su di me in maniera diversa. Chi per il suono, chi per la personalità, chi per l’estro, chi per un singolo brano. Claudio Abbado è stimolo per l’intuizione che ha avuto di “affidarsi totalmente all’orchestra”. Riesce così a infondere quella fiducia nei suoi orchestrali (mi riferisco in particolare a quando dirige la “sua” Mozart o la “sua” Lucerne Festival Orchestra) che è palpabile e bellissima, frutto di simbiosi vera tra orchestra e direttore. Poi c’è Carlos Kleiber, che non credo sia solo un direttore d’orchestra, ma un filosofo, un ricercatore, un faro. Di personalità del presente ne ammiro molte, più o meno giovani: ho avuto la fortuna di conoscere e seguire le prove di Gustavo Dudamel, in una strepitosa Nona sinfonia di Beethoven a Madrid, mi piacciono anche Paavo Järvi, Nicola Luisotti e, tra i più giovani, Andrea Battistoni. Sono tre direttori completamente diversi tra loro. Del Maestro Järvi ammiro il ciclo delle sue Sinfonie beethoveniane; di Nicola Luisotti amo il modo di dirigere l’opera italiana, con così tanta conoscenza e profondità; di Battistoni stimo il suo essere un artista poliedrico: compositore, direttore, rockettaro, divulgatore, scrittore.
Sini - Un grandissimo direttore del passato che adoro è Thomas Schippers; nel presente ci sono moltissimi Maestri da cui “rubare” esperienza, ispirarsi e prendere come modelli. Se dovessi riassumere tutte queste caratteristiche in un solo nome farei probabilmente quello di Antonio Pappano per la sua straordinaria duttilità tanto nel repertorio operistico quanto in quello sinfonico.
Spotti - Certo che sì. Arturo Toscanini, Leonard Bernstein e George Szell sono i miei direttori preferiti del passato. Oggi ci sono tantissimi direttori fantastici, ed ogni repertorio ha sempre i suoi specialisti che sono fonte d'ispirazione per chi li osserva con occhio critico.

Essere giovani oggi in questo lavoro è più un’opportunità o una minaccia?
Bonato - La giovinezza crea, giustamente, delle riserve nei nostri confronti. Per la condizione propria dell’essere giovane, manca l’esperienza. E questo, alle volte, può comportare una minima diffidenza nei nostri confronti. Sta a noi, attraverso la nostra preparazione, fare in modo che le persone si fidino e capiscano che possiamo farlo. Io, personalmente, ho sempre trovato, anche nelle grandi orchestre (come la Filarmonica della Scala o l’Orchestra Nazionale della Rai per esempio), un atteggiamento assolutamente collaborativo e disponibile e una piena fiducia. Nonostante tutti i problemi, al giorno d’oggi fare questo mestiere, specialmente da giovani, rimane una immensa opportunità da non sprecare.
Milletarì - Al momento è una condizione. Vorrei che età e genere fossero superati completamente e che si parlasse solo di merito.  
Passerini - Essere giovani non è né l’una né l’altra cosa: è un dato di fatto. È semplicemente bello perché c’è ancora così tanto da vedere, da conoscere, da scoprire, da imparare. Penso che non vi sia un’età più adatta di un’altra per affrontare un determinato repertorio. Lo stesso sarà affrontato diversamente in relazione alla maturità raggiunta. Non bisogna fingere di essere più grandi o più maturi di quello che si è. Cresceremo, cambieremo, scopriremo.
Sini - Essere giovani non la ritengo mai una minaccia, semmai una sfida entusiasmante. Occorre una sola cosa, credo, per evitare di ingenerare “diffidenza” nei musicisti più grandi che incontro quando lavoro: essere preparatissimo. Aver studiato la partitura che devo dirigere perfettamente, conoscerla da capo a fondo e senza lacune. Già questo basta per avere quantomeno il rispetto, se non la stima, degli altri musicisti; bisogna inoltre cercare, con la giusta umiltà, di ascoltare le idee di tutti e sapersi creare un senso dello stile e del proprio gusto indipendenti da ciò che, inevitabilmente, si è ascoltato in precedenza; e questo anche per evitare l’effetto “copia” che può essere molto rischioso. Infine, come dico sempre, bisogna saper chiedere scusa quando si fanno degli errori: errori di emozione, di inesperienza, di confusione. Basta chiedere scusa con un bel sorriso e senza essere intimoriti dal riconoscere un proprio sbaglio.
Spotti - A questa domanda metterei l'etichetta: "Handle with care". Penso che oggi le orchestre cerchino e vogliano gente preparata e pronta caratterialmente a prescindere dall'età. Penso che la "scusante" dell'essere giovani nel 2021 non possa essere più considerata una minaccia.

Secondo te, quali sono le caratteristiche che possono fare grande un Direttore d’Orchestra?
Bonato - Io penso che il grande artista sia quella persona che riesce a vedere dove gli altri non vedono e che riesce a sentire ciò che gli altri non odono. Volendo prendere come riferimento Carlos Kleiber, cosa fece di lui una leggenda? Ciò che vedeva tra le note, come riusciva a trasferire, non attraverso indicazioni già scritte, ma attraverso parafrasi, metafore, immagini, stati d’animo, ciò che la partitura, secondo lui, rappresentava. Penso quindi che indubbiamente, la prima qualità di un grande direttore, sia l’estrema preparazione non solo della partitura che si accinge a dirigere, ma di tutto ciò che intorno ad essa ruota, per ricavarne il massimo. Altra dote importante, correlata con quella precedente, è la sensibilità di capire i segreti più nascosti che si albergano tra le note di un pentagramma ed infine, non ultima, l’umiltà che si deve avere non solo nei confronti delle altre persone e dei musicisti, ma, specialmente, nei confronti della Musica; non mettendosi mai al di sopra di essa, non usandola per far risaltare se stessi, ma servendola.
Milletarì - Te lo dirò fra qualche anno...
Passerini - Sono molte, e ogni giorno ne intravvedo di nuove. Anzitutto, occorre essere preparati a tutto tondo, non solo sulla partitura ovviamente. La preparazione deve avvenire attorno alla conoscenza del compositore, del librettista e deve comprendere gli aspetti più tecnici: l’armonia, la struttura, eccetera. In secondo luogo, ci vuole una grande conoscenza degli strumenti e delle voci. Poi ci sono le “soft skills”, che a mio avviso costituiscono l’altra metà del direttore: saper creare un programma musicale, infondere fiducia nell’orchestra, saper modellare il proprio essere ad ogni situazione, intuire le esigenze umane di musicisti e cantanti, sapersi interfacciare con i direttori artistici, essere disponibili nel rilasciare interviste, avere voglia di coinvolgere le generazioni più giovani attorno al mondo musicale e trasmettere positività.
Sini - L’equilibrio di saper mediare tra le diverse personalità artistiche con cui si deve lavorare, l’equilibrio per infondere serenità in una determinata situazione. Dalla serenità poi deriva la sicurezza e la capacità di trasmettere le proprie idee. Credo che una personalità equilibrata possa raggiungere un risultato artistico di rilievo “concertando” le diverse indoli e aspettative che si trova di fronte e creando una sintesi, filtrando tutte queste componenti con la sua sensibilità ed il suo gusto.
Spotti - La prima caratteristica che secondo me distingue un direttore d'orchestra è la presenza di idee musicali, accompagnate da un gesto che le possa trasmettere. Un grande direttore d'orchestra è un connubio fra tecnica, musicalità, idee e personalità. Il che non significa essere obbligatoriamente autoritari, bensì essere rispettati per il ruolo che si ricopre. 

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Il periodo del lockdown quanto ha inciso positivamente e negativamente sulla tua vita e, di conseguenza, sulla tua professione?
Bonato - Il periodo di chiusura forzata è stato a tratti negativo, a tratti positivo. Mi ha permesso di studiare molto, ma allo stesso tempo mi ha tolto quel fuoco tipico dell’adrenalina pre-concerti, proprio per la mancanza di prospettive a breve-medio periodo. È però servito a fare una analisi introspettiva, a dedicare più tempo ai miei affetti che, ahimè!, durante i periodi di lavoro, tendo a trascurare. Questo periodo di allontanamento ha anche fatto crescere a dismisura, dentro di me, la voglia di fare il Direttore; il desiderio di stare su quel palco, su quel podio.
Milletarì - Quest’ultimo anno per la mia vita privata è stato utile per coltivare idee e progetti che erano in sospeso. Ho avuto tanto tempo per meditare, per la mia famiglia, per i miei amici e per lo sport che mi ha aiutato tanto a mantenere la lucidità. Per il momento, anche se in condizioni completamente diverse, ho diretto gran parte delle cose programmate. 
Passerini - Gli ultimi dodici mesi sono stati densi di contraddizioni. Gli aspetti positivi sono stati la possibilità di conoscere il meglio delle persone che mi stavano attorno e di affrontare la musica con una nuova consapevolezza. Il mio studio ha visto un approfondimento maggiore; sono andato a scavare di più. Di converso, ho visto tantissima sofferenza, e questo mi ha piegato, ma sono sempre convinto che solo attraverso il Bello e la Cultura si possa uscirne rafforzati. La musica è nutrimento per l’anima. Durante il lockdown ho creato una serie TV di sei puntate dal titolo “La Vivaldi a casa tua”, attraverso la quale siamo entrati nella televisione locale di Sondrio e Lecco con concerti-spettacolo spiegati, oltre che da me, dai musicisti della “Vivaldi”. Insomma, ho deciso di dedicarmi alla divulgazione e ho scoperto che piace, che ce n’è bisogno, tanto bisogno.
Sini - Trovare aspetti positivi in questa orribile situazione che ci ha colpito tutti è sicuramente molto difficile. Dire che abbiamo avuto il tempo di coltivare qualche passione, di stare accanto alle persone che amiamo, di avere modo di riflettere su alcuni aspetti della propria vita, sono cose certamente importanti; ma la verità è che questa tragedia ci ha privato di un percorso umano e professionale che è il nostro sogno ed il nostro scopo di vita da tanti anni. Quindi sicuramente speriamo che finisca il prima possibile e che le persone possano presto riappropriarsi dei ritmi di vita e delle relazioni interpersonali che tutti conoscevamo ed a cui eravamo abituati.
Spotti - Sarebbe ipocrita definire il periodo lockdown come periodo positivo per la vita di ognuno di noi. Molti contratti sono saltati, posticipati o annullati. È stato ed è tutt'ora un periodo difficile che anche psicologicamente lascerà qualche scoria. Essendo una persona positiva, faccio sempre di ogni necessità virtù. Mi sono dedicato totalmente allo studio e alla mia famiglia; inoltre ho compreso quanto questa professione sia vitale per la mia esistenza. 

Quali sono i tuoi sogni e le tue aspettative per i prossimi mesi ancora difficilissimi e per quelli, si spera più sereni, che verranno in futuro?
Bonato - Il mio sogno è quello di poter continuare a fare il mio mestiere e diventare un grande direttore d’orchestra (e la strada è ancora lunga)
Milletarì - Quelli di tutti, credo e, su tutto, che finisca il prima possibile.
Passerini - I miei sogni (musicali) personali sono semplici. Non posso fare a meno di vivere in simbiosi con la musica, è solo questo che mi auguro di poter continuare a fare. Mi trovo in una condizione privilegiata perché nei prossimi mesi lavorerò in parti del mondo dove i teatri sono aperti. I sogni veri che ho, però, sono quelli che includono tutto l’apparato educativo-culturale. Mi auguro, come tanti, che i teatri possano riaprire presto, così come i musei, come i cinema, ma, soprattutto, che riaprano subito le scuole. Dobbiamo tornare a parlare di cose belle; i ragazzi devono socializzare, è una imprescindibile necessità.
Sini - Il mio sogno più grande e la mia personale sfida sono quelli di avere l’occasione di rimboccarmi le maniche, dimostrando, a me stesso in primis, che questa bruttissima esperienza è stata soltanto una parentesi e che ho più entusiasmo e determinazione di prima; che voglio assolutamente tornare a fare ciò che amo: io sono un musicista; fare musica è l’unico modo che conosco di fare il mio dovere come professionista, come cittadino e come uomo
Spotti - La mia speranza principale è che torniamo presto a sentire il calore del pubblico nelle sale. Sono ottimista perché questo periodo di lontananza forzata dai teatri creerà una voglia viscerale di musica che saremo pronti a soddisfare.

La tua giornata “tipo” vs la tua giornata “ideale”.
Bonato - Non ho una giornata “tipo” né una “ideale”. Questo perché vivo moltissimo “alla giornata”. Faccio ciò che mi va di fare in quel momento o mi viene proposto di fare; sono molto libero. Non programmo mai a lungo termine, per evitare di dover rinunciare ad alcune cose. Amo la vita e la voglio vivere al meglio e a pieno. L’importante è che non manchi il caffè: i miei cinque caffè al giorno non si toccano
Milletarì - Al momento non c'è molta differenza, se insieme agli allenamenti in piscina, alle passeggiate col cane e agli amici potessi ogni tanto prendere un aereo e dirigere un'orchestra, la mia giornata tipo sarebbe quella ideale.
Passerini - Una giornata tipo non ce l’ho e non l’ho mai avuta. La mia giornata ideale dovrebbe avere il doppio delle ore rispetto a quelle canoniche: mi alzo presto (ma non prestissimo), studio, mangio, studio, passeggio, studio, guardo film, leggo libri. Mi diverto, penso, lavoro, organizzo concerti con la “mia” Vivaldi; mi informo, seguo le notizie. Vorrei avere il doppio del tempo per ciascuna di queste cose.
Sini - La mia giornata tipo è scandita dagli orari del teatro in cui mi trovo a lavorare in quel momento. Ogni esperienza professionale crea una “routine” quotidiana differente a seconda delle esigenze del piano prove. La mia giornata ideale sarebbe invece: sveglia alle dodici, una specie di brunch, fare una bella passeggiata o corsetta, giocare una bella partita a scacchi, fare una bella cena davanti ad un film sorseggiando un ottimo vino abbinato.
Spotti -  La mia giornata tipo quando lavoro in teatro prevede una sveglia con colazione e ripasso di lingue straniere che tengo sempre fresche (in particolare il tedesco), prove in teatro, pausa pranzo, prove pomeridiane, videochiamata di rito serale a mia moglie e serata di esercizio fisico e studio/commissioni, doccia e finalmente a letto. Nella mia giornata ideale vorrei tre ore di orchestra e il resto dipende un po' dal mood della giornata, avendo la libertà di scegliere cosa poter fare.

Cosa c’è nella tua vita oltre alla musica?
Bonato - Nella mia vita ci sono molte cose, tantissime entrano e altre escono. Le mie passioni più grandi sono lo sport, la cucina, il ballo e Diabolik. Amo molto viaggiare, vedere le città, visitare i musei, le gallerie d’arte; gli amici non possono mancare: in particolare i due con cui sono nato e cresciuto; con loro ci si confida, si parla, ci si sostiene a vicenda.
Milletarì - Amo il nuoto e sto avendo finalmente il tempo per fare tanto sport, ho un cane che porto spesso con me e sono appassionato dello studio delle lingue.
Passerini - Anzitutto la mia compagna Irene, con la quale discuto di tutto e tutti, sempre. Poi la mia famiglia, i miei amici, i libri non di musica (che vorrei fossero di più), le passeggiate, i film, le serie TV, lo sport, le chiacchierate al telefono per lavoro e non. Fra i miei sogni, rientra quello di poter dar vita ad una Fondazione che opera nel solco del Terzo Settore (non so bene ancora in che ambito; certo la musica non ne è esclusa). Mi piace capire il funzionamento degli aeroplani. Vorrei imparare a cucinare bene, ma non mi applico abbastanza. Mi diverte intervistare le altre persone perché sono curiosissimo, di tutto. Mi piace il buon vino.
Sini - Ci sono molte passioni, molti “amori” che si intersecano con la musica e che se ne distanziano nettamente. Sono un grande appassionato di vini, la cui conoscenza è come la musica, va approfondita e studiata a lungo. Amo moltissimo la coltivazione dei bonsai che trovo essere piccoli grandissimi capolavori della natura e poi in ultimo direi che sono un appassionato giocatore di scacchi; li considero un vero e proprio sport per la mente ed uno dei modi in cui più mi piace trascorrere il tempo libero quando non studio o non lavoro.
Spotti - Per fortuna ho una vita ricchissima, amo la lettura, l'arte in generale, lo sport (o meglio il calcio, o meglio la Juventus) la buona cucina, il bricolage l'attività fisica, ogni genere musicale, viaggiare. Ho la fortuna di avere moglie e amici splendidi che non rendono mai banali o ordinarie le mie giornate.

Come vivi il rapporto con i Social Media, che oggi rappresentano forse il più potente mezzo di comunicazione con gli appassionati e gli altri professionisti del settore?
Bonato - Cerco di usare i social media per quel che servono, ovvero come mezzo di comunicazione che consente un bacino di utenza moto ampio; al contempo non ne sono schiavo e non voglio diventarlo: la mia vita preferisco viverla che postarla. I social, purtroppo, hanno sbiadito la linea di confine tra la realtà e la fantasia, tra ciò che è tangibile e ciò che è invenzione. Io non voglio vivere una realtà parallela a discapito di quella reale. Per cui uso i social come distrazione e non come rifugio; li “sfrutto” quasi esclusivamente per lavoro, per condividere ciò che faccio o devo fare.
Milletarì - Comunico più che altro stati d’animo, ma quando ne ho voglia. Sì, anche le tappe della mia agenda perché è doveroso. Mi piace far sapere che ho una vita oltre il podio. La verità è che, per fortuna, non ne sono ossessionato.
Passerini - Difficilmente si trovano informazioni relative alla mia vita privata sui social. Li utilizzo in maniera mirata per la mia professione e alle volte per scrivere qualche pensiero, ma ne faccio un uso moderato. Trovo che siano un mezzo bellissimo per esprimersi e per farsi conoscere, ma io sono molto cauto e intendo distinguere la mia vita privata da quella pubblica. Credo che i social siano al contempo prigione e libertà il cui confine è tanto sottile. Ad ogni modo, ovviamente, mi diverto la sera a curiosare un po’ su Facebook, ma mai per più d'una ventina di minuti.
Sini - Sicuramente i Social Media hanno rappresentato una grande opportunità in questo momento di chiusura e di distanziamento sociale. Paradossalmente ci hanno consentito di essere “vicini” e di poter continuare ad avere un rapporto diretto con gli affetti, gli amici, il pubblico e gli appassionati, ma è necessario fare attenzione. È un rapporto diretto ma fittizio. Nessuno strumento “sociale” potrà mai sostituirsi all’esperienza diretta, viva, "in presenza" come si dice oggi; i profumi, i colori, le sensazioni, le gioie ed i dolori, le emozioni sono tutte cose che vanno assaporate e provate dal vivo e nessun supporto tecnologico potrà mai sostituirle.
Spotti - I Social Media sono sicuramente un mezzo di comunicazione essenziale per un artista di spettacolo oggi. Però attenzione... vanno usati con cautela e anche valutati cum grano salis, perché a volte sui web le inezie vengono innalzate a grandissimi eventi e viceversa. Essi devono raccontare l'artista per quello che è veramente e supportarlo nella divulgazione del proprio percorso artistico; l'artista, secondo me, deve evitare però di dare l'impressione d'essere troppo autocelebrativo. La nostra frequentazione dei Social non deve mai distogliere l'attenzione dalla vita reale, dal teatro e dallo studio, altrimenti proprio i Social diventano dannosi e controproducenti.

Qualora tu dovessi esprimerti in un “post” sulla pagina Facebook di ognuno degli altri tuoi quattro colleghi (anche in virtù di una vostra vitalità sui Social molto frizzante, sono certo che siate un pochino “follower” gli uni degli altri), cosa scriveresti?
Bonato - Conosco i miei colleghi, alcuni li ho visti dal vivo, altri purtroppo non ancora. Io semplicemente li ringrazierei per quel che fanno perché, come me, cercano di portare il nostro Paese nel mondo attraverso l’arte; e questo per me è importantissimo. Non li considero dei nemici o dei competitors, anzi, degli amici e dei colleghi che hanno il mio stesso obiettivo e condividono lo stesso sogno.
Milletarì - Non mi permetterei altro che un saluto; se ho da dire cose importanti ad uno dei miei colleghi lo chiamo direttamente.
Passerini - Porrei delle domande; la condivisione è la cosa che mi stimola di più. Inizierei a discutere con loro e cercherei un confronto, sui più svariati temi. Sono certo sapremmo improvvisare. Mi piace tantissimo fare domande, è la mia specialità.
Sini - Ad Alessandro chiederei mille e più curiosità delle sue meravigliose ricette cercando di “rubargli” qualche segreto gastronomico. A Vincenzo chiederei moltissimi suggerimenti per la gestione della nostra vita professionale con la possibilità di convivere con un cucciolo di cane visto che sto per adottarne uno. A Michele, che nella vita è anche un caro amico, scriverei che sono un fan sfegatato del sarto che gli fa alcune di quelle giacche stupende e, senza che ne abbia a male, me ne farei fare qualcuna “simile”. A Lorenzo chiederei di “duettare” la Ciarda di Monti per vedere a che velocità riusciamo ad arrivare con la tromba ed il trombone; sarebbe una bellissima sfida tra “ottoni”.
Spotti - Sicuramente mi complimenterei con loro per l'ottima e meritata carriera che stanno facendo. Augurerei a loro tutto il bene possibile. Informarsi sui colleghi è sempre stimolante; con Leonardo in particolare, conoscendoci meglio ed essendo amici, ci incoraggiamo a vicenda per le nostre presenti e future direzioni.

Lasciaci con una massima per concludere: una frase, un aforisma, un tuo motto...
Bonato - Se un musicista commette un errore perché rischia tutto per ottenere la cosa più bella, e sbaglia, allora gli sono grato per quel fallimento perché soltanto con questo rischio si può ottenere la bellezza, la vera bellezza. La vera bellezza non è facilmente disponibile a tutti. Se cerchi la sicurezza, fai un'altra professione”. (Nikolaus Harnoncourt).
Milletarì - Uno finlandese che mi piace parecchio in questo periodo: "I cani abbaiano ma i treni corrono".
Passerini - “Chi educa alla musica prepara un artista ad affrontare il pubblico; chi educa con la musica prepara un uomo ad affrontare la vita.” (anonimo)
Sini - “La vita è come uno specchio: ti sorride se la guardi sorridendo” (Jim Morrison).
Spotti - Visto il periodo che stiamo passando, spesso penso a Madama Butterfly quando dice a Suzuki: "diedi il mio pianto alla zolla, ed essa i suoi fior mi dà". La sofferenza e le difficoltà che abbiamo passato, faranno nascere dei nuovi fiori di speranza per un futuro roseo e ricco di musica e soddisfazioni.

Una piccola chiosa personale.
Nel comporre questo puzzle mi sono fatto cullare dalle note del Concerto per pianoforte n.3 in Re minore, op.30 di Sergej Vasil'evič Rachmaninov; egli provò la parte solistica, terribilmente impegnativa (come ci ricorda il film Shine, dove il protagonista impazzisce per suonare la sua musica), mentre attraversava l'Atlantico in battello per raggiungere l’America: non disponeva di un pianoforte, ma studiò su una tastiera muta, fino a padroneggiare la parte che si era scritto.
Il parallelo con questi giovani direttori e tanti altri musicisti è stato subito immediato.
Adesso - momento in cui si sta attraversando l’oceano turbinoso in battello - è il tempo nel quale le orchestre sono quasi “mute” (come la tastiera di Rachmaninov) e lo studio personale è un’ancora di salvezza; ma verrà il tempo in cui, come nelle ultime pagine della composizione, vi sarà una fusione magica tra solista e orchestra in un unico abbraccio, come in un fragoroso inno che invita l’ascoltatore alla massima partecipazione emotiva.
Perché dunque, non vivere sperando che questo succeda presto anche nei nostri teatri?
Sarà un incontro emozionante tra direttore, professori di orchestra, interpreti ed il loro importante pubblico; un ritorno alla “normalità”.
Perché non lasciarsi andare a questo anelito?

Crediti fotografici: Marco Borrelli, Elena Cherkashina, Clarissa Lapolla, Laila Pozzo e Roberto Ricca
Nella miniatura in alto: mani e bacchetta, gli "strumenti" del Direttore
Sotto, da sinistra a destra, sia nella composizione fotografica, sia nelle foto singole in sequenza: Alessandro Bonato, Vincenzo Milletarì, Lorenzo Passerini, Leonardo Sini e Michele Spotti






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Orlando nelle trame di Alcina
intervento di Athos Tromboni FREE

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Ottima messa in scena, oltre che per la comprovata efficacia di Sardelli nell'esecuzione del repertorio barocco, soprattutto per la visionaria regia di Marco Bellussi, coadiuvato da Fabio Massimo Iaquone (ideazione e regia video), Matteo Paoletti Franzato (scene), Elisa Cobello (costumi) e Marco Cazzola (luci).
La visionaria regia ci trasporta nel poema ariostesco (o quantomeno in ciò che del poema dell'Ariosto utilizzò a suo tempo il librettista Grazio Braccioli) dove tutto è fantascientifico
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La Euyo prende residenza a Ferrara e Roma

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Echi dal Territorio
Una Tempesta molto gradevole
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20240412_Fe_00_TheTempestOLIsolaIncantata_DanieleSconosciutoFERRARA - Difficile assistere oggi a qualche masque messo in scena nei nostri teatri, nonostante la freschezza musicale e la bellezza di questi veri capisaldi della più radicata cultura musicale britannica; il masque era in auge prima dello "spodestamento" operato anche in Gran Bretagna dall'opera settecentesca italiana o in stile italiano. Ebbene
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Xtra per tre
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20240411_Fe_00_FerraraMusicaXtra_NicolaBruzzoFERRARA - Si chiama "Xtra" - un nome avveniristico - ma sarà fatta di musica da grande repertorio cameristico. È la nuova rassegna di Ferrara Musica, ideata per dare una ribalta a formazioni e musicisti solisti di grande talento. Ad illustrare il programma sono intervenuti l'assessore alla Cultura del Comune di Ferrara, Marco Gulinelli, il curatore
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Opera dal Centro-Nord
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Incontro con Lorenzo Cutųli
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20240202_Bo_00_ManonLescaut_OksanaLynivBOLOGNA - Il Teatro Comunale Nouveau inaugura la propria stagione operistica 2024 con il primo vero e proprio gioiello della produzione pucciniana: Manon Lescaut. Ottima scelta per onorare il centenario della morte del compositore lucchese, avvenuta il 29 novembre del 1924 a Bruxelles.  La Manon Lescaut rappresenta per la carriera
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Echi dal Territorio
Bologna Festival numero 43
redatto da Athos Tromboni FREE

20240201_Bo_00_BolognaFestival_TeodorCurrentzis_phAlexandraMuravyevaBOLOGNA - La 43.esima edizione di Bologna Festival 2024, da marzo a novembre, presenta alcuni dei più interessanti direttori dell’odierna scena musicale quali Teodor Currentzis, per la prima volta a Bologna con la sua orchestra musicAeterna, Vladimir Jurowski con la Bayerisches Staatsorchester e Paavo Järvi con la Die Deutsche
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Jazz Pop Rock Etno
Jazz e altro allo Spirito
redatto da Athos Tromboni FREE

20240129_Fe_00_IlGruppoDei10_TutteLeDirezioni_FrancoFasano.JPGFERRARA - Varato il calendario dei concerti "Tutte le Direzioni in Winter&Springtime 2024", organizzata da Il Gruppo dei 10 con qualche novità e collaborazione in più rispetto ai precedenti. La location è (quasi sempre) la stessa: il ristorante lo Spirito di Vigarano Mainarda (Ferrara), nell’intimo tepore delle sue suggestive sale, immerso nella
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Opera dal Centro-Nord
La bohčme visual della Muti
servizio di Athos Tromboni FREE

20240127_Fe_00_LaBoheme_ElisaVerzier_phFabrizioZaniFERRARA - Suggestivo l'allestimento di La bohème di Giacomo Puccini curato da Cristina Mazzavillani Muti per il Teatro Alighieri di Ravenna, approdato ieri sera al Comunale "Claudio Abbado" di Ferrara. Pubblico della grandi occasioni ("sold-out" si dice oggi, con un inglesismo ormai sostitutivo di "tutto esaurito" d'italiana fattura); pubblico
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Opera dal Nord-Ovest
Don Pasquale allestimento storico
servizio di Nicola Barsanti FREE

20240127_To_00_DonPasquale_NicolaAlaimo_phAndreaMacchiaTORINO - Il titolo designato per l’inaugurazione del cartellone d’opera 2024 del Teatro Regio di Torino è il Don Pasquale di Gaetano Donizetti. Qui riproposto nel fortunato allestimento della fine degli anni '90 del Novecento, firmato da uno dei maestri della drammaturgia musicale italiana: il regista, scrittore e giornalista Ugo Gregoretti, la cui regia
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Jazz Pop Rock Etno
Jazz Club Ferrara 45 concerti
redatto da Athos Tromboni FREE

20240124_Fe_00_JazzClub_GennaioMaggio2024FERRARA - Dal 26 gennaio 2024, prende il via al Torrione San Giovanni la seconda parte della 25.ma stagione di Ferrara in Jazz. Grandi nomi del jazz internazionale e largo spazio ai giovani, per complessivi 45 concerti accompagnati da eventi culturali collaterali, realizzati con il contributo del Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna, Comune
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Opera dal Nord-Est
Bolena e Seymur destino congiunto
servizio di Rossana Poletti FREE

20240123_Ts_00_AnnaBolena_SalomeJicia_phFabioParenzanTRIESTE – Teatro Verdi. Nell’ Anna Bolena di Gaetano Donizetti, in scena al Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, primeggia la qualità del cast. Un gruppo di cantanti straordinari, che contribuiscono in modo determinante al buon esito della rappresentazione. Se si eccettua qualche piccola quasi impercettibile incertezza nel primo atto la prova
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Opera dal Nord-Ovest
Haroutounian una Butterfly di riferimento
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20240121_Ge_00_MadamaButterfly_phMarcelloOrselliGENOVA – Prosegue con successo la stagione del Teatro Carlo Felice grazie ad una bellissima produzione dell’opera “nipponica” di Giacomo Pucccini, Madama Butterfly. Il contesto scenico-registico firmato da Alvis Hermanis si sviluppa in uno spettacolo sostanzialmente classico e iconografico dove l’immagine stereotipata del Giappone
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Opera dal Centro-Nord
Un Trovatore cosė cosė
servizio di Nicola Barsanti FREE

20240121_Li_00_IlTrovatore_MatteoDesole_phAugustoBizziLIVORNO - Torna a distanza di 50 anni di assenza al Teatro Goldoni e 27 anni dopo la sua ultima apparizione nella città di Livorno (ma fu al Teatro La Gran Guardia) Il trovatore, uno dei titoli più amati di Giuseppe Verdi. Un ritorno tanto atteso che non convince, pertanto inferiore alle aspettative. Gli anelli deboli di questa produzione riguardano
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Opera dal Centro-Nord
Barbiere di Siviglia stratosferico
servizio di Nicola Barsanti FREE

20240120_Pr_00_IlBarbiereDiSiviglia_DiegoCeretta_RobertoRicciPARMA - Il Teatro Regio di Parma inaugura il cartellone d’opera del 2024 con il fiore all’occhiello di Gioacchino Rossini: Il Barbiere di Siviglia. Com’è noto ai più, nel 1782 Giovanni Paisiello scrisse un’opera dallo stesso titolo e con lo stesso soggetto, da qui la decisione del maestro di Pesaro di intitolare la sua nuova composizione (almeno in un primo
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