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L'ensemble guidato dal violinista Pinchas Zukerman ha riscosso un caloroso successo

Ottima Camerata Salzburg

servizio di Edoardo Farina

Pubblicato il 17 Dicembre 2017

171217_Fe_00_CamerataSalzburg_PinchasZukermanFERRARA - L’ultimo appuntamento dell’anno 2017 con la Stagione Concertista  presso il Teatro Comunale Claudio Abbado, ha ospitato il 12 dicembre la Camerata Salzburg sotto la bacchetta  di  Pinchas Zukerman,  celebre violinista di ritorno nella città estense dopo molti anni di assenza in veste di direttore e solista. Fondata a Salisburgo nel 1952, città natale di Mozart, nel corso di questi anni è divenuta una delle orchestre da camera più attive nel mondo e protagonista assoluta dell’omonimo Festival, vantando oltre 60 incisioni realizzate con i più celebrati e talentuosi artisti della scena contemporanea, da Anne-Sophie Mutter ad Alexander Lonquich, da Andras Schiff a Dietrich Fischer-Dieskau, formazione già nota al pubblico ferrarese essendo stata  ospite di “Ferrara Musica” due edizioni precedenti.                                                                                                                                                
Inizio di serata con la Romanza n.1 op.40 in Sol maggiore di Beethoven; dal modello simile a una  preghiera pacifica riverente e gentile, si caratterizza per la musica piana, serena, senza voli straordinari, concentrata nel tema del solista accompagnata sobriamente dall’orchestra, formata da un flauto, due oboi, due fagotti, due corni e gli archi.  Come affermava anche il noto ricercatore musicale Arrigo Quattrocchi, la produzione concertistica di Beethoven dedicata al violino non lascia un grande spazio. Pianista di formazione affermatosi a Vienna nell’ultimo decennio del XVIII° secolo in qualità di virtuoso della tastiera, egli si dedicò allo strumento ad arco solo in circostanze particolari. Al biennio 1790-92,  ancora nei formativi di Bonn, risale un frammento di un Concerto in do maggiore per violino e orchestra WoO 5 consistente in 259 battute che si arrestano all'inizio dello sviluppo del primo movimento, così come sono attribuite due Romanze similari, la stessa “40” e poi “50”, che appartengono compiutamente al genere delle composizioni d'occasione. Non ne conosciamo con esattezza la data di scrittura ma entrambe sono certamente precedenti all'autunno 1802, poiché in tale periodo Karl van Beethoven, curatore degli affari del fratello, propose alla casa editrice Breitkopf und Härtel la vendita di due «Adagi per violino con un completo accompagnamento strumentale». Le opere possono essere accostate al Concerto n.61 per la predilezione verso una scrittura violinistica levigata, elegante più un'ambientazione espressiva intimistica; se ne distanziano tuttavia per la mancanza di ambizioni che non siano puramente decorative, per l'adesione piena a un'estetica di intrattenimento. Non solamente sotto questo aspetto le pagine appaiono gemelle; uguale è l'organico strumentale cameristico con un episodio in “minore” prima dell'ultima ripresa. In particolare, per l'invenzione melodica di stilizzato manierismo, per l'equilibrio del rapporto fra solo e orchestra, per la compostezza della costruzione formale, la Romanza mostra la prevalenza della qualità della "confezione" sull'impegno nel contenuto e rivela così, della personalità di Beethoven, l'aspetto più squisitamente artigianale e ancien regime.
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Si è proseguito con il Concerto n.5 K.219 in La maggiore per violino e orchestra di Mozart, terminato a Salisburgo il 20 dicembre 1775 a soli 19 anni; pagina elegante, audace e di ampie dimensioni, è celebre per il rondò finale “alla turca”, forse il più importante dei cinque per lo stesso strumento, uno dei più eseguiti per violino ove il solista è trattato con maestria, infatti era tra le altre cose un valente violinista.  Rispetto ai quattro composti nei mesi precedenti è il più elaborato e imponente presentando in certo senso un grado di maturazione ancora più elevato soprattutto per quanto concerne l'originalità del linguaggio. L'ampiezza dei movimenti, la ricchezza tematica delle soluzioni formali sono alcuni degli aspetti salienti, godendo da sempre di una meritata popolarità. Sebbene considerasse il pianoforte come il suo primo strumento, Mozart padroneggiava la tecnica dell’arco in maniera eccellente, come d'altra parte era richiesto dal suo incarico di Konzertmeister presso la corte salisburghese ove nel quartetto, peraltro, preferiva suonare la viola; e tale versatilità, più che al genio, va attribuita alla poliedricità artigianale del musicista. E' piuttosto singolare  che al genere del Concerto per violino e orchestra egli si sia dedicato esclusivamente in un periodo estremamente limitato della sua esistenza, fra l'aprile e il dicembre dello stesso anno, all'inizio di un lungo e penultimo soggiorno nella città austriaca e subito dopo la redazione delle mirabili partiture operistiche della Finta giardiniera e del Re pastore. L'introduzione del primo movimento è eccezionalmente estesa con due temi, il primo ritmato e danzante rispondendo il secondo con elegante ironia: nel giro di poche battute l'incrocio degli stessi va verso una cadenza che prepara la vera esposizione sinfonica. Ma ci sorprende l'apparizione inattesa del solista con un breve Adagio lirico, disteso sul sussurro degli archi. Questa strana parentesi sembra essere un pensiero improvviso di Mozart o una sua dedica speciale a qualcuno. L'elaborazione dello sviluppo, con qualche modulazione regolare, soffre di qualche squilibrio delle proporzioni. L'Adagio è un'espansione melodica di eccezionale bellezza, che il solista canta e decora senza che mai, neppure in una battuta, si indeboliscano l'intensità e la concentrazione del sentimento, ove solo  a tratti la calma contemplativa del canto è turbata da una segreta agitazione. Con garbata decisione il solista suggerisce l'avvio del Minuetto, accolto dall’orchestra con calore e in modo molto originale diventando  l'espediente per introdurre in questo terzo movimento segmenti tematici dal primo.

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Una nuova sorpresa ci attende con il bellissimo Trio, Allegro in La minore, una specie di mascherata fantastica di tutti gli strumentisti, immaginandoli in abiti turchi o zigani. Era un tipo di esotismo allora di moda, spesso presente anche in Haydn, ma qui l'idea ha una sua spavalderia insolita e irresistibile.  Secondo il critico Franco Serpa, vi troviamo riuniti tutti gli elementi linguistici nello stile che determinava  all'epoca  i modelli medio orientali  nella musica colta occidentale: l'irregolarità fraseologica, il cromatismo e gli intervalli esotici, gli effetti percussivi a imitazione degli strumenti in uso presso le bande dei giannizzeri. Mozart qui si adegua a una moda assai diffusa, come farà in seguito nel celebre ultimo movimento ancora  «Alla turca» della Sonata per pianoforte K. 331 e in numerosi passi del Ratto dal serraglio. Tutto l'episodio in stile persiano,  inserisce nel rondò una nota di colore pittoresco e fortemente contrastante interpretabile come il Trio di un Minuetto. Ma l'ambiguità formale del movimento è ancora maggiore, quando sono presenti anche elementi della forma-sonata: infatti il primo episodio, che si svolge alla dominante, è ripreso alla fine nella tonica, ricoprendo così una funzione analoga a quella del secondo tema in uno schema sonatistico.
Ad apertura del secondo tempo e in conclusione, è stata eseguita la Sinfonia n. 83 in Sol minore di Haydn, composta su commissione della Loggia Massonica Olimpica di Parigi. A dispetto del titolo, “La Poule”, la gallina, dal secondo tema del primo movimento richiama proprio l’andamento e il razzolare della chioccia, essendo una pagina fra le più impegnative e ricche di contrasti; scritta nel 1785, si sviluppa nell’Allegro, Andante, Minuetto e Trio, Finale: Vivace. Appartenente alle sei sinfonie composte a metà degli anni Ottanta per la capitale francese che segnarono un nuovo ampliamento di formato orizzonte stilistico, ne deve il nomignolo all'onomatopea del secondo tema del movimento iniziale, appartenente allo spirito e gusto ironico dell’ Haydn più maturo, incline a intrecciare con superba maestria uno stile colto e "popolare", profondità e leggerezza, tensione intellettuale e piacevolezza dell'intrattenimento, probabilmente riscontrabile nell'ironia prodotta all'accostamento di situazioni e comportamenti compositivi quanto mai eterogenei. Così il primo tema dell'Allegro spiritoso è un concentrato di quella gestualità tumultuosa e introspettiva propria delle sinfonie in “minore” di dieci, quindici anni prima: motto in fortissimo che esibisce il tritono con ritmi puntati, cromatismi, brusche interruzioni, accumulo di tensione proseguendo nella transizione sino a motivi di fanfara e a una scala discendente  e in decrescendo dei violini primi. Dopo questo esordio, il secondo tema è quanto di più lontano si potesse immaginare: l'imitazione ammiccante, nei disegni staccati con appoggiature dei violini poi rinforzati dall'oboe per giungere alla sezione conclusiva dell'esposizione, sembrando esprimere un tono ancora diverso e per così dire neutro, in contrasto tra i due temi. La strumentazione è piuttosto sobria, comprendendo flauto, coppie di oboi, fagotti, corni, e archi, escludendo trombe e timpani; quattro sono i movimenti, un Allegro spiritoso, un Andante, un Menuet e un Finale in forma sonata con elementi di rondò. Colpisce nella partitura soprattutto la coerenza del contenuto, in grado di stabilire un netto parallelo fra i due episodi estremi, così come  il gusto della dialettica fra contrasti espressivi imponendosi immediatamente nel tempo iniziale. L'apertura è drammatica, per grandi valori, con una sforzata perorazione degli archi. Ma un breve ponte conduce a un secondo tema dalla fisionomia incerta e poi a un terzo del tutto contrastante, una frase "galante" e ironica dei violini, sull'accompagnamento puntato del flauto; è appunto quest’ultimo che è all'origine della denominazione "La Poule" voluta dall'editore all'atto della pubblicazione della Sinfonia. Entrambi gli episodi innervano la sezione dello sviluppo, prima alternati in forma paratattica e con diverse implicazioni espressive, poi protagonisti di una elaborazione contrappuntistica.
Fuori programma con l’esecuzione del quarto tempo tratto dalla Quinta Sinfonia in Si bemolle maggiore D.485 di Schubert, rondò allegro vivace dal tema spigliato giovanile si snoda con ricchezza di modulazioni ed   effetti timbrici,  considerato dal musicologo Alfred Einstein «forse il pezzo di musica strumentale più puro, più levigato, più equilibrato che il compositore viennese avesse scritto fino a quel momento».  Un movimento quanto mai agile e stringato che conclude in piena felicità armonica una tipologia di sinfonia da camera più classica che romantica.

Crediti fotografici: Cheryl Mazak photographer per Camerata Salzburg
Nella miniatura in alto e sotto: il leader Pinchas Zukerman






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