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L'opera verdiana pių popolare della Trilogia d'Autunno 2018 fa registrare il tutto esaurito

Le due facce di Rigoletto

servizio di Attilia Tartagni

Pubblicato il 30 Novembre 2018

181130_Ra_00_Rigoletto_AndreaBorghini_phZaniCasadioRAVENNA - Il Rigoletto del 28 novembre 2018 andato in scena al Teatro Alighieri è ambientato a Mantova, e possiede, come il suo ambiguo protagonista, due facce:  da una parte  la corte dei Gonzaga lussureggiante di pitture manieriste (la camera degli sposi di Mantegna incornicia il talamo in cui verrà sedotta Gilda rapita), dominata dalla  superficialità e dalla dissolutezza; dall’altra i sobborghi in cui si rifugia il Rigoletto privato, lasciate le vesti del buffone.
Anche quest’opera usufruisce dei cambi di scena istantanei permessi dalle tecnologie digitali: la regista Cristina Mazzavillani Muti si avvale del lighting designer Vincent Longuemare, del visual designer Paolo Micicché, del video programmer Davide Broccoli per creare spazi e atmosfere altrimenti impossibili da realizzare, un habitat realistico e visionario insieme in cui gravitano agevolmente cantanti, coristi, figuranti, senza mai prevaricare la drammaturgia musicale che è per la regista il punto di partenza e di arrivo.
In realtà tutti nell’opera, non solo Rigoletto,  portano una maschera, tranne il Duca che esercitando il potere può manifestarsi per ciò che è. 181130_Ra_01_Rigoletto_AndreaBorghiniAntonioDiMatteo_phZaniCasadio

Questo ci fornisce lo spunto per riflettere su quanto la democrazia ci ha dato sul piano della libertà personale, bene da non dare mai per acquisito definitivamente. Forse anche per sottolineare il divario fra il clima della corte e il mondo dei diseredati, a conclusione del secondo atto il sipario si è riaperto facendo accomiatare il popolo dei cortigiani, degli adulatori, dei lacché e delle donne di facili costumi ("DanzActori" della Trilogia D’Autunno) avvolti in raso dai colori eclatanti, nonché l’attore ravennate Ivan Merlo nei ruoli del satiro con copricapo e piedi da caprone e della nana curiosa che non perde un alito della vita della corte, tutti applauditi con foga dal pubblico.
Non è certamente irrilevante che il costumista Alessandro Lai abbia assegnato a Rigoletto un costume da buffone plumbeo e un lungo pastrano dello stesso non-colore a Monterone (il basso Giulio Boschetti che tuona l’anatema con autorevolezza divina) accomunandoli nel comune destino di padri offesi e perduti.  Monterone, quasi ignorando il Duca, apostrofa il buffone «Tu che di un padre ridi al dolore….sii maledetto
Il baritono Andrea Borghini, che ha assunto il ruolo a prove avanzate sostituendo Francesco Landolfi, si è inserito benissimo nel contesto incarnando un Rigoletto di spiccata e toccante umanità. Egli cela alla figlia, suo unico affetto, la propria identità per tutelarla, ma il Duca l’ha già adocchiata in chiesa e la ragazza lo ricambia. Questo potente signore  si abbandona sul trono, comune alle tre opere, ascoltando pettegolezzi di corte in attesa di essere “punto” da una nuova tentazione femminile che gli movimenti la vita. “Questa o quella…” è la volgare ballata con cui si presenta, ripudiando “la costanza, nemica del cuore” e celebrando la bellezza femminile “che infiora la vita”. E’ il programma del  tenore  Giuseppe Tommaso (già Cassio in Otello), decisamente aitante, che ha sostituito l’indisposto Giordano Lucà, proclamato con timbro colorito e  ribaldo e con un mestiere che può certamente migliorare, come del resto è successo in corso dell’opera. Il desiderio di conquista lo costringe a mutare pelle. Entrando con la complicità della governante Giovanna (Cecilia Bernini) in casa dell’ingenua Gilda, si spaccia per lo studente povero Gualtier Maldé facendola innamorare.  Ma, come vedremo nel terzo atto, neanche la navigata Maddalena (Daniela Pini in un’ottima performance), sa resistergli, al punto da cambiare i piani del fratello Sparafucile (il bravo Antonio Di Matteo), killer assoldato da Rigoletto, e dirottarlo verso un’altra vittima.
L’opera fin  dal debutto a Venezia alla Fenice di Venezia nel 1851 ha conosciuto solo successi.  Sebbene Verdi tenesse tanto al suo personaggio deforme e lo considerasse la sua creatura migliore, questa rappresentazione ravennate non spinge tanto su di essa, quanto sulla sua dedizione di padre pronto a tutto perché “Nulla al mondo più l’uomo paventa se dei figli difende l’onor”.

181130_Ra_02_Rigoletto_facebook_phZaniCasadio

Il secondo atto è palestra di prova per Rigoletto che il baritono Andrea Borghini ha affrontato con inusitata umanità: il recondito disprezzo maturato giorno per giorno tramutato nel grido “Cortigiani, vil razza dannata….”, poi la straziante implorazione di “Ebbene piango… Marullo….signore…”, e infine, dopo il ricongiungimento con Gilda, la “vendetta” che il pubblico aspetta, meno roboante rispetto ad altri interpreti ma intrisa di dolente verità.
Nelle vesti di Gilda è la georgiana Venera Protasova, russa del Tagikistan, già Traviata  in una Accademy del M° Riccardo Muti, che ha incantato il pubblico con il suo fisico adolescenziale e la sua voce cristallina  modulata sulla scrittura verdiana: una voce magica e flautata, di sorprendente limpidezza in una creatura dalle fattezze celestiali.
I quattro personaggi sono insieme nell’atto finale, sulle rive del Mincio, a cantare all’unisono i rispettivi sentimenti; il vendicativo Rigoletto, Gilda disperatamente innamorata, il duca di Mantova preso da una nuova conquista che gli sollecita “Bella figlia dell’amore” e Maddalena che gioca a resistergli, ma già totalmente sedotta, tutto questo dentro alla celebre tempesta di note e di sentimenti: è uno dei momenti più belli di questa rappresentazione che di meriti ne ha davvero tanti e uno dei punti più alti dell’intera storia dell’opera. Se Rigoletto manifesta doppiezza, lo fa anche Gilda rivelandosi al padre prima di morire al posto del Duca. "Vi ho ingannato, colpevole fui, l’amai troppo…" ed è certo che i versi di Francesco Maria Piave e la musica di Verdi, il cantato e il recitato, alitano anche qui, come in tutta l’opera, dello stesso respiro. Altri interpreti sono Paolo GattiGiacomo Leone, Adriano Di Bella, Giulia MattarellaVittoria Magnarello. Parte del Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” (maestri del coro Martino Faggiani e Massimo Fiocchi Malaspina) si protende verso il pubblico dai quattro palchi laterali al palcoscenico, avvolgendolo di sonorità e dilatando la scena.
Strategico il ruolo del direttore d’orchestra Hossein Pishkar i cui gesti appassionati abbiamo seguito nelle due pareti riflettenti ai lati della scena. Formato dall’Accademy del M° Muti, ha guidato con bravura l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini: «Rigoletto è un assoluto capolavoro, una montagna - afferma il giovane direttore iraniano - non c’è nota che non sia dettata da ragioni drammaturgiche, perché prima di tutto è teatro.»
Vedere in questa serata, come in tutte le altre, il Teatro Alighieri pieno in ogni ordine di posti, presenti tanti stranieri, ha dato la certezza che la Trilogia d’Autunno sia non solo un apprezzato appuntamento per melomani, ma uno dei principali motivi per venire a Ravenna città d’arte e sostarvi usufruendo delle sue molteplici offerte. L’opera a Ravenna ha una lunga e importante tradizione e qui è nato Angelo Mariani, uno dei primi direttori d’orchestra apprezzato da Giuseppe Verdi. A ciò si è aggiunta  l’Accademy del M° Riccardo Muti che ha già sfornato appassionati lettori di pagine verdiane e lo studio e la cura della voce artistica del Dr. Franco Fussi, delineando ulteriori sviluppi a favore di  un linguaggio che, anziché logorarsi,  con il tempo si impreziosisce, specie quando è trattato, come in questo caso, con il massimo rispetto da interpreti, esecutori e regista.

Crediti fotografici: Foto Zani-Casadio per il Teatro Alighieri di Ravenna
Nella miniatura in alto: il baritono Andrea Borghini (Rigoletto)
Al centro: ancora Borghini con Antonio Di Matteo (Sparafucile)
Sotto: istantanea di Zani-Casadio sull'allestimento ravennate






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